CHELLI, Gaetano Carlo
Nacque a Massa il 29 ag. 1847 da Girolamo e Ruffina Bernieri. Ottenuto, nel 1878, un impiego alla Regia dei tabacchi, si trasferì a Roma, dove trascorse una vita ritirata, rifiutando impegni di collaborazione fissa con periodici che si sarebbero potuti trovare contro il governo. Dal 1883 risulta redattore della Cronaca bizantina; non resta però alcun documento comprovante familiarità o amicizia o rapporto di lavoro con letterati del tempo. Nella capitale rimase fino alla morte, avvenuta per paralisi cardiaca il 22 febbr. 1904.
Esordì sulla Cronaca bizantina del 16 ott. 1882 con Questioni di danaro, la storia di una donna, diventata a fatica una "lionne" del mondo romano, che, per paura della "lercia miseria" che la travolgerebbe dopo il fallimento del marito, sacrifica gli ultimi scrupoli. Il racconto già presenta uno dei temi che più saranno cari allo scrittore. Il C. infatti, a prescindere dal Faldella dei bozzetti romani, è il primo narratore ottocentesco ad ambientare le sue storie nella capitale, cogliendone l'aspetto di città tesa ad un rapido e disordinato sviluppo; ne profitta soprattutto la borghesia, che il C. privilegia, sulle orme di Capuana (Giacinta, del 1879) e Verga (Il marito di Elena, del 1882). La Roma degli anni Settanta può offrire il successo a lavoratori infaticabili, a idealisti fortunati (Giulio Levignani di La colpa di Bianca, Roma 1884 [ma 1883], o il protagonista de La vendetta del marito, in La Domenica letteraria, 28 sett. 1884), ma il più delle volte è terreno infido ove "l'intelligenza e la buona volontà non bastano ad assicurare la vittoria" (Abnegazione,ibid., 15 marzo 1885); occorrono piuttosto mancanza di scrupoli, spregiudicatezza e tempestività delle iniziative, indifferenza ai casi altrui e una fibra fisica e psichica assai robusta per resistere ai rovesci improvvisi. Su questo aspetto corrotto e corruttore della città (già presente nella letteratura francese, e scapigliata in alcuni tratti, specie nella dialettica opposizione città-campagna), il C. imposta i due romanzi, La colpa di Bianca e L'eredità Ferramonti (Roma 1884 [ma 1883], editi dal Sommaruga); al primo dà il sopratitolo "I drammi della vita romana", e presenta il secondo come iniziatore di un ciclo "Vita romana", "un'opera di vasta osservazione" della "battaglia umana".
Nella Colpa di Bianca, in particolare, il C. è attento al racconto minuto delle trasformazioni che avvengono nell'animo della protagonista a contatto con la città. La giovane e povera maestra, venuta a Roma dalla provincia, vede messi in crisi tutti i suoi principî morali; si lascia attirare dall'esistenza agiata e disinvolta dei nuovi ricchi; il suo mondo morale, una volta appagato dalla serietà del lavoro e dall'onestà degli affetti domestici, si indebolisce tra ribellioni, rimpianti, autocompatimento; fragile come è diventata, Bianca cede alla colpa, ma non è sufficientemente spregiudicata per sopportarne il peso: tormentata da passione e rimorso, è colpita da una febbre cerebrale che la uccide in tre giorni. Affine, sotto il profilo della colpa e per le sue circostanze, la vicenda di Vendetta (in La Domenica letteraria, 15 febbraio 1885), ove l'esigenza di sintetizzare rende più incisiva ed efficace che non nel volume l'analisi psicologica. La "vita romana" è nel romanzo in secondo piano, come movente essenziale, ma fuori scena, del dramma; non mancano però alcune messe a fuoco caratterizzanti, come la pagina sul carnevale. Il C., anche se propende per un'interpretazione deterministica della colpa, secondo il cliché dei romanzi naturalistici, resta fedele alla tradizionale tecnica narrativa di stampo romantico, descrivendo con attenzione la psicologia inquieta di Bianca.
Con L'eredità Ferramonti aderisce invece pienamente al verismo; si ispira ad un aspetto della realtà che lo circonda: gli sforzi di bottegai, burocrati di terz'ordine e piccoli imprenditori per raggiungere la ricchezza che, sola (dal loro punto di vista), consente di mutare stato sociale e acquistare rispettabilità. L'ordine tradizionale che prevedeva un lento miglioramento da conquistarsi con operosità e fatica è sovvertito: prevalgono le speculazioni e il gioco di borsa (Mario), gli intrighi e le ipocrisie (Furlin), la mancanza di scrupoli e la volontà di sfruttare gli altri ai propri fini, plagiandoli (Irene). Gli sforzi dei giovani Ferramonti (Mario, Pippo con la moglie Irene, Teta col marito Furlin) per impadronirsi delle ricchezze accumulate con pochi scrupoli dal vecchio fornaio, non sono che un pretesto per cogliere questo aspetto inedito della vita romana. L'impianto narrativo rispetta l'esame obiettivo del reale, caro alla poetica veristica; gli interventi dello scrittore sono irrilevanti e per lo più assumono carattere sentenzioso e quindi pressoché impersonale; l'azione è come riferita da un "coro" di osservatori che vivono all'interno della vicenda, o, ancor più spesso, secondo l'ottica di uno dei protagonisti, via via privilegiato rispetto agli altri; scarseggiano quindi i passi descrittivi, mentre predominano il dialogo e il discorso indiretto libero. I caratteri vengono delineati e messi in luce nelle loro pieghe insospettabili a mano a mano che la vicenda lo consente nel suo sviluppo; su tutti predomina la figura di Irene, ottimamente delineata specie nelle manovre di seduzione del vecchio Ferramonti.
Al romanzo, che è il capolavoro del C., non arrise il successo predetto dal Lodi; la Serao lo giudicò non omogeneo, frutto della crisi e delle incertezze letterarie del tempo, tra vecchia e nuova scuola. Il C. non ripeté l'esperimento verista.
Le novelle successive si possono ben definire bizantine. Il racconto non sembra più "essersi fatto da sé", ma è offerto agli abbonati in una trama abbastanza semplice e scontata (inizio in medias res e lunghi flash-back sulle circostanze che hanno determinato l'immancabile dramma), ma con ricchezza di notazioni psicologiche e cura sofisticata (anche se non con gli eccessi dannunziani) dei particolari (un interno raffinato, un abito, un volto, un atteggiamento). Sono quasi tutte ancora di ambiente romano, ma i protagonisti sono ormai dei parvenus, non più dominati dalla sete del denaro, ma agitati da nevrosi, inquietudini, turbamenti (Nevrosi, in Cronaca bizantina, 1º dic. 1883; Fantasie di quaresima,ibid., 1º febbr. 1884; Rancori,ibid., 1º marzo 1885); sono caratteri costituzionalmente deboli, al limite del patologico, o resi tali dall'ambiente. Il C. si lascia coinvolgere: non cerca le cause dei fatti (come nel primo romanzo), né il loro imparziale rendiconto (come nel secondo); vuole soltanto raccontare, con il disimpegno del mondo letterario romano alle soglie del decadentismo, secondo una svolta del gusto cui non appare estraneo.
Nel 1885 con Amori claustrali (in Cronaca bizantina - Domenica letteraria, 13 dicembre) si interrompe la produzione del C., anche se nelle colonne de La Domenica letteraria del febbraio di quell'anno figura in preparazione un suo nuovo romanzo, I caduti; la sua attività letteraria appare così strettamente legata alle fortune del Sommaruga, che fallì appunto nel marzo di quell'anno. Le sue opere, già non molto apprezzate dai contemporanei, furono presto dimenticate. Il Croce nella Letteratura della Nuova Italia le cita tra i romanzi-documenti della vita romana dopo il '70, accanto a quelle di altri autori, Serao, Castelli, Fortis, Bizzoni, Del Balzo, Colautti. La loro riscoperta in epoca recente si deve al Bigazzi che ha curato anche la riedizione de L'eredità Ferramonti (Torino 1972).
Altri scritti: Grazia, in Cronaca bizantina, 16 nov. 1884; Burocrazia, in Nabab, 29 dic. 1884; Fantasticando, in Cronaca bizantina, 16 marzo 1885; Abissi, in Domenica letteraria - Cronaca bizantina, 19 luglio 1885.
Bibl.: Il Saraceno [L. Lodi], L'eredità Ferramonti, in Capitan Fracassa, 2 sett. 1883; Id., Un buon romanzo, in La Domenica letter., 9 sett. 1883; Id., Quel che si è fatto,ibid., 30 dic. 1883; M. Serao, Quel che si farà,ibid., 13 genn. 1884; B. Croce, Romanzi-documenti, in La letter. della Nuova Italia, VI, Bari 1940, pp. 171 ss.; R. Bigazzi, Un verista dimenticato: G. C. C., in La Rass. della letter. ital., s. 7, LXVIII (1964), pp. 111-129; Id., Introduzione a L'eredità Ferramonti, cit., pp. V-XXIX; I. Calvino, Presentazione dell'Eredità Ferramonti (post-face dell'ediz. 1972 pit.); M. Savini, Il mito di Roma nella letter. della nuova Italia, Roma-Caltanissetta 1974, ad Indicem.