CARNAZZA, Gabriello
Nato a Catania il 24 ott. 1809 da Giuseppe, avvocato di notorietà cittadina, e da Maria Puglisi, si formò, come molti giovani liberali catanesi della sua generazione, alla scuola di E. Rossi, antico giacobino e carbonaro. Amico di Diego Fernandez e frequentatore della sua casa, che era il punto di incontro della gioventù antiborbonica di Catania, nell'agosto 1828 venne arrestato, insieme con altri giovani, sulla base di sospetti di affiliazione carbonara e di cospirazione contro lo Stato, e, benché non si trovassero prove contro di lui, fu rinchiuso nel carcere palermitano della "Quinta casa". Uscitone dopo un anno, tornò a Catania, dove nel 1830 si laureò in giurisprudenza.
Nel giugno 1831, per sfuggire alla polizia che tentava di arrestarlo ancora per "affari d'opinione", fu costretto a rendersi latitante finché, nel gennaio 1832, il mandato di cattura venne ritirato; convocato a Palermo, ad "audiendum verbum viceregium", il C. vi fu trattenuto a domicilio coatto per alcuni mesi. Alla fine dell'anno poté tornare a Catania, dove iniziò una promettente carriera di avvocato e riprese l'attività cospirativa, accogliendo, tra i primi in Sicilia, le idee della Giovine Italia. Nel 1834 sposò una cugina, Venera Puglisi, dalla quale ebbe due figli.
Nel giugno-agosto 1837 il C. fu uno dei protagonisti della rivolta scoppiata a Catania e, insieme con Barbagallo-Pittà, ne espresse le istanze più avanzate in senso democratico e repubblicano. Quando, a metà giugno, giunse a Catania la notizia che il colera, pandemico in Italia dal 1832, cominciava a mietere vittime in Sicilia, il C. fu tra quei cospiratori che, per sollevare la città contro il governo di Napoli, alimentarono la credenza che l'epidemia fosse causata dal veleno disseminato dai funzionari borbonici. Nominato componente della Commissione di vigilanza sanitaria, istituita il 7 luglio dall'intendente del Valle di Catania, per prevenire il male, il C. contribuì ad avviare il moto rivoluzionario nella sua città, portandovi da Siracusa, il 24luglio, il famoso manifesto, redatto da M. Adorno nel quale si dichiarava definitivamente dimostrata l'origine venefica del colera e si annunciava che i rappresentanti siracusani di Ferdinando II erano stati massacrati dagli insorti.
Questo proclama incitò i Catanesi alla ribellione aperta, che, peraltro, anche per l'impegno del C., procedette in modo incruento. Travolte, comunque, le autorità legittime, venne costituita in luogo di esse una Giunta di pubblica sicurezza, presieduta dal marchese di San Giuliano, della quale il C. fu membro influente, sia per le doti oratorie, sia perché "la Giunta sentiva in lui il cosiddetto popolo e non si ardiva fargli molta resistenza", secondo la testimonianza di un memorialista di parte reazionaria (Gemmellaro p. 119). Il 30luglio la Giunta di pubblica sicurezza si trasformò in Giunta provvisoria di governo, che proclamò l'indipendenza siciliana e si preparò alla resistenza armata, incaricando il C., il San Giuliano e D. Arangio di acquistare armi all'estero.
Nella giornata del 3 agosto, in cui la nobiltà legittimista, dopo aver simulato di aderire alla rivolta, mise a segno un colpo di mano controrivoluzionario, precedendo l'arrivo della spedizione di Del Carretto, il C. evitò l'arresto nascondendosi nella campagna intorno a Catania. Tradito dalla persona che l'ospitava e arrestato morente, perché intanto si era ammalato di colera, scampò alla sentenza capitale grazie al suo stato di salute che gli consentì di non comparire davanti alla corte marziale insieme con Barbagallo-Pittà, Caudullo e Mazzaglia, tutti fucilati.
Condannato, con sentenza del 12dic 1837, a venticinque anni di ferri, che vennero ridotti a sette dall'amnistia del 28 maggio 1838, il C. fu trasferito nel settembre 1839 al bagno penale di Nisida. La permanenza in questa galera, più tardi rievocata in un'opera memorialistica (Persecuzioni politiche sotto Ferdinando II. 1830-1859, Catania 1860), coinvolse il C. in un serrato dibattito con prigionieri politici di disparata provenienza ed estrazione ideologica, che giovò alla maturazione del suo ideale unitario.
L'amnistia del 29 maggio 1842 gli ridiede la libertà ma l'obbligò al domicilio forzoso a Napoli. Il governo borbonico gli concesse di chiamare presso di sé la famiglia ma non lo autorizzò ad esercitare la professione; gli offrì in compenso una carica prestigiosa nella Gran Corte di Napoli, che però egli rifiutò. In questi anni il C. allacciò rapporti con i liberali napoletani, specialmente con M. De Augustinis, inducendoli ad accettare la tesi che l'iniziativa del prossimo moto rivoluzionario sarebbe dovuta toccare non più alla Sicilia ma a Napoli (G. Raffaele, Rivelazioni storiche della rivoluzione dal 1848 al 1860, Palermo 1883, pp. 41 s.).
Nella rivoluzione siciliana del 1848, il C. capeggiò insieme con P. Calvi la combattiva minoranza democratica e fu tra i pochissimi che il Calvi sottrasse ai suoi severi giudizi sul conto degli uomini politici isolani. Inviato, il 2 febbr. 1848, come rappresentante del Comitato di Catania al Comitato generale di Palermo, fu da questo inserito nella commissione incaricata di preparare l'atto di convocazione del Parlamento (20-24 febbraio). Eletto alla Camera dei comuni, nei comizi del 15 marzo, come rappresentante della città di Catania, fu membro della commissione creata il 31 marzo per formulare proposte di modifica alla costituzione del 1812.
Il 13 aprile partecipò alla riunione privata tenuta in casa di Ruggiero Settimo, nella quale M. Stabile propose che il Parlamento dichiarasse decaduta dal trono di Sicilia la dinastia dei Borboni; il C. si oppose risolutamente al progetto, cogliendovi l'intenzione del conservatorismo indigeno, in accordo con la diplomazia britannica, di bloccare la discussione sull'istituto monarchico e di prevenire i possibili sviluppi del moto siciliano in direzione repubblicana e unitaria.
Dopo l'approvazione del decreto di decadenza, temendo che la reazione di Ferdinando II trovasse impreparata militarmente la Sicilia, sollecitò il governo ad acquistare le armi necessarie alla difesa (Assemblee del Risorgimento, Sicilia, I, seduta del 16 apr. 1848, p. 225; seduta del 4 maggio 1848, p. 393) e, rimasti inevasi gli impegni da esso assunti in proposito, lo attaccò in una interpellanza (ibid., seduta del 30 maggio 1848, p. 732), che ebbe vasta eco nell'opinione pubblica e provocò una durissima risposta dei moderati. Infatti il 31maggio venne affisso sui muri di Palermo un manifesto, firmato da tutti i ministri nonché dal Presidente del governo, che accusava i democratici di agitare il problema dell'armamento allo scopo di suscitare disordini nel paese a vantaggio di Ferdinando II; al manifesto era allegata una stampa anonima, in realtà redatta dal deputato Paternostro, manovrato dallo Stabile, nella quale il Calvi, il Crispi e il C. venivano indicati come agenti borbonici.
Dopoché la commissione per la riforma costituzionale ebbe presentato i risultati dei suoi lavori (2 giugno 1848), il C. intervenne il 14 giugno nel dibattito sui poteri del re (ibid., I, pp. 890 s.), proponendone rigorose limitazioni di cui tenne conto la redazione finale degli articoli dello statuto relativi alla posizione del sovrano. Il 17 luglio fu scelto dal presidente del governo come membro della commissione destinata ad offrire la corona siciliana al duca di Genova e partì per Torino, allontanandosi dalla scena politica isolana. Restaurato il Borbone in Sicilia, il C. fu tra gli esclusi dall'amnistia generale, l'unico della provincia di Catania, e visse in esilio, a Torino e a Parigi, fino al 1860.
In questo periodo andò precisando il suo pensiero politico in opuscoli ed articoli, muovendo dalla riflessione sul fallimento della rivoluzione in Sicilia, che imputò alla dirigenza moderata, colpevole ai suoi occhi di aver puntato sulla diplomazia piuttosto che sulla mobilitazione popolare, sul separatismo regionale piuttosto che sull'inserimento della questione siciliana nella questione italiana (Aidocumenti della rivoluzione siciliana illustrati da G. La Masa aggiunte e chiose, Torino 1850; La politica inglese e francese in Sicilia negli anni 1848-1849, Parigi 1853;di questa opera il C. pubblicò contemporaneamente un'ediz. francese, La politique anglaise et française en Sicile pendant les années 1848-1849, Paris 1851, sotto lo pseudonimo di Vite Ragona). Difese con vigore la tesi unitaria sia contro le ipotesi rinascenti di confederazione monarchica (La monarchia costituzionale e la federazione sono impossibili in Italia, in La voce nel deserto, Torino 29 sett. 1850), sia contro il federalismo repubblicano di G. Ferrari (La rivoluzione e l'unità d'Italia. Lettera a Giuseppe Ferrari, Italia 1851), del quale respinse altresì la prospettiva socialista. Infatti se il C. esaltò costantemente la democrazia intesa come radicale eversione della feudalità e come sistema di eguaglianza formale dei diritti, espunse ogni implicazione socialista dalla sua idea democratica, teorizzando che, al pari della libertà, "la proprietà [e] la concorrenza sono e debbono esser cosa sacra" (Rispostadi un italiano al sig. Guizot sulla democrazia in Francia, Torino 1849, p. 24 e passim).Nel biennio 1856-57, seguendo un itinerario comune alla gran parte dei democratici siciliani, conquistati dalla propaganda piemontese, accantonò, in nome dell'unità, la pregiudiziale repubblicana.
Tornato a Catania dopo la liberazione garibaldina della Sicilia, il C. ne caldeggiò l'annessione incondizionata all'Italia mediante plebiscito e polemizzò contro le posizioni regionalistiche, pur richiedendo allo Stato unitario che stava per costituirsi ampie autonomie amministrative provinciali e comunali (Studisulle due Sicilie, Catania 1860; L'annessione. Risposta agli autonomisti, ibid. 1860). Dal governo prodittatoriale fu nominato procuratore presso la Gran Corte civile di Catania (settembre 1860) e professore di diritto pubblico nella università della stessa città (ottobre 1860), e conservò tali incarichi dopo l'unificazione. Nell'anno accademico 1862-63, essendo stata sdoppiata la cattedra di diritto pubblico in quelle di diritto costituzionale e di diritto amministrativo, al C. fu assegnata la prima. Eletto deputato al Parlamento italiano nell'aprile 1861 dal collegio di Paternò, la sua elezione fu annullata per incompatibilità d'impiego; dimessosi dalla magistratura e rieletto nel dicembre 1862 dal collegio di Catania I, l'elezione fu annullata per essere completo il numero dei deputati impiegati. Si ritirò allora, progressivamente, dalla vita politica, dedicandosi alla professione di avvocato.
Morì a Catania il 29 marzo 1880.
Opere: Difesa per il barone d. Enrico Pisani Ciancio e consorti contro d. Carmelo Floreno e consorti alla Gran Corte Civile di Catania, Catania 1846; Difesa pel capitolo della metropolitana chiesa di Siracusa contro i signori De Marco e consorti, ibid. 1846; Ragioni per la signora duchessa di Villarosa contro il comune di Zafferana e consorti nella Gran Corte civile di Catania, ibid. 1846; Il suicida è alienato di mente. Ragioni spiegate dalla signora donna Concetta Velis contro i sig. d. Salvatore e d. Concetto fratelli Velis nella causa di nullità del testamento del suicida Agostino Velis, ibid. 1847; Sulla nullità del testamento di Agostino Velis, ibid. 1847; L'unità d'Italia, Italia 1851; La monarchia è impossibile in Italia, ibid. 1851; Discorso per l'apertura dell'accademia tenuta in Catania in occasione della presa di Gaeta, Catania 1862; Discorso inaugurale pronunziato all'udienza della Gran Corte Civile di Catania il 5 gennaio 1861, ibid. 1861; Discorso inaugurale al corso di diritto pubblico nell'università degli studj di Catania, ibid. 1861; Il giurì. Discorso inaugurale pronunziato presso la G. Corte Civile di Catania all'apertura della Corte d'Assise il dì 18 Dicembre 1861, s. l. né d.; Discorso inaugurale pronunziato all'udienza della Gran Corte Civile di Catania il 4 gennaio 1862, ibid. 1862; Pel circolo degli operaj. Introduzione al diritto costituzionale, ibid. 1863; Necrologia di Diego Fernandez, ibid. 1875; Cesare Rosseroll (sic). Necrologia, ibid. 1875; Sopra una sentenza del tribunale civile di Catania riguardante deposito, mandato, donazione manuale, in Ilcircolo giuridico, VIII(1877) pp. 206-226; Intorno al cavamento di acque, ibid., IX(1878), pp. 137-175; Sull'organizzyione giudiziaria, ibid., X (1879), pp. 61-83; Il diritto costituzionale italiano, Catania 1886.
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