SALVAGO (Selvago), Gabriele
SALVAGO (Selvago), Gabriele. – Nacque a Genova in data ignota, rampollo della nobile famiglia Salvago, ma non si conoscono i nomi dei genitori. Nel Convito, overo Del peso della moglie di Giovanni Battista Modio, pubblicato a Roma nel 1554 e ivi ambientato durante il carnevale dello stesso anno, è detto quarantaquattrenne (Modio, 1913, p. 340), dunque la nascita va collocata intorno alla fine del primo decennio del secolo.
Scarse le notizie biografiche. All’inizio degli anni Quaranta doveva già trovarsi a Roma attirato dalla prospettiva di percorrere la carriera prelatizia, ma non risulta abbia pronunciato i voti, né che abbia ottenuto uffici di qualche rilievo in Curia. La prima lettera nota, alla Signoria di Genova, è datata Roma 21 aprile 1546. Solo il 10 luglio 1559 scriveva al cardinale Alessandro Farnese di essere stato convocato di frequente dal papa e il 1° agosto 1563 al cardinale Girolamo da Correggio comunicò di essere stato preso a servizio dal pontefice. Che si trattasse dell’ufficio di cameriere pontificio si ricava dai Detti e fatti di Gabbriello Salvago Cavaliere, Gentiluomo Genovese sotto Pio IV, quando fu introdotto in Palazzo, opera di Bernardo Navagero, che fu residente veneto a Roma dal 1555 al 1558, opera composta probabilmente poco dopo (sono noti tre esemplari manoscritti: Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. XI, 76 [= 6732]; Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.84 sup. e R.95 sup.; lo scritto è edito in Ceruti, 1880, pp. 725-740).
Vi si legge un ritratto di Salvago distribuito in 74 aneddoti da cui emerge un carattere bizzarro ed estroso, protagonista di stravaganze e balordaggini che lo rendevano imprevedibile e divertente, ma anche autore di clamorose millanterie, indicative di un’indole ambiziosa e velleitaria. Il suo comportamento umorale – vantava relazioni illustri, vestiva con sfarzo, maltrattava i domestici, aveva casa in un quartiere abitato da prostitute – gli attirò anche giudizi severi e scherno. Navagero riporta che era oggetto di numerose pasquinate, satire, disegni caricaturali e altre amenità del genere.
Di tale produzione è emerso poco. Un carme incluso tra le poesie latine di Giovanni Della Casa (inc. O cadavere tabido) a partire dai Carmina illustrium poetarum Italorum di Giovanni Matteo Toscano (I, Lutetiae, J. Gorbin, 1576, cc. 255v-256v) lo presenta in maniera ripugnante; un epigramma «Sopra Gabriele Salvago e il suo naso» compose Trifone Benci (Aurea cum repetens sibi debita sidera quartus) nel ms. Vat. lat. 5226, I, c. 245r; un sonetto di Francesco Contrini da Monte San Savino «A Gabriel Selvago che perseguitava i gatti» (inc. Che briga è questa, signor Gabriello) è nel ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VII.877, cc. 11v-12r (e nei descritti Roma, Biblioteca dell’Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana, 44.C.22, cc. 142r-143r; Milano, Biblioteca Trivulziana, 954, p. 2). In positivo, un motto gli è attribuito nel ms. Roma, Biblioteca nazionale, 1062, c. 43r, autografo di Camillo Capilupi.
Nel Convito di Modio Salvago è tra gli interlocutori del dialogo, che si tiene nella loggia di Psiche nella villa Farnesina in una compagnia di letterati per lo più legati al cardinale Alessandro Farnese. Il vescovo di Piacenza Catalano Trivulzio, che è l’anfitrione del convivio nel giardino della villa, stabilisce le regole, intervengono, oltre all’autore, Lorenzo Gambara, Giacomo Marmitta, Trifone Benci, Anton Francesco Raineri, Giovanni Cesario. Argomento è l’origine e il significato delle corna, oggetto di un confronto di tesi ora erudite ora di tenore più leggero. Salvago è presentato come «uomo di pronto ed acuto ingegno» (Modio, 1913, p. 336), ma irrequieto e smanioso di fare bella figura; insofferente dell’ordine prescritto per parlare, quando arriva finalmente il suo turno provoca il riso dei presenti.
Nel 1565, inappagato, Salvago si trasferì a Venezia, forse per un impiego ottenuto presso la nunziatura apostolica: nella lettera a Gian Vincenzo Pinelli del 3 marzo 1567 si dichiara «delegato della sede apostolica» (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., A.51 inf., c. 5r). Il soggiorno a Venezia fu occasione per conoscere e stringere rapporti con Pinelli, di cui fu uno dei principali corrispondenti nei decenni Sessanta-Settanta fino al 23 gennaio 1574, quando il carteggio termina. Pinelli si diede a raccogliere scritti di Salvago e su di lui, che dopo la morte dell’erudito finirono con parte della sua biblioteca nella Ambrosiana: le lettere e le rime, i Detti e fatti di Navagero, la satira dellacasiana, estratti delle lettere.
Il ms. A.51 inf. contiene 105 lettere autografe, la più parte scritte a Pinelli tra il 18 gennaio 1567 e il 14 febbraio 1573. Il contenuto verte sulla cronaca veneziana, notizie sul Turco, l’elezione dogale, conversazioni diplomatiche, altrimenti piccolo cabotaggio: modesti servizi richiesti da Pinelli da Padova, solitamente non andati a buon fine per disavventure sopraggiunte, notizie di cronaca minuta, aneddotica personale (il trasloco in una nuova dimora, nel sestiere di S. Paolo in rio delle Erbe), insistenti richieste di vino senza pagare il dazio o di fichi freschi.
Il ms. S.84 sup. contiene copie di lettere indirizzate a personaggi illustri, prelati, governanti, diplomatici in cui Salvago manifesta disinvoltura nel trattare da pari a pari. Egli esibisce una informazione su avvenimenti contemporanei, a cui forse aveva accesso in virtù del suo ufficio presso la nunziatura, e la frequentazione di personaggi addentro a quel mondo, ai quali elargisce pareri, consigli, precetti, presentandosi come attore sulla scena degli affari di Stato e vantando una rete di informatori distribuiti in altre città italiane: Napoli, Bologna, Roma.
Ma dietro ciò non c’era molto più della costruzione di una identità perseguita attraverso un tenace esercizio della scrittura epistolare. È lodata la forma di governo veneta, l’11 febbraio 1570 si congratula con Cosimo I di Toscana (Ceruti, 1880, pp. 811-813) per il titolo granducale conferitogli da Pio V (1570), ma il discorso volge presto al satirico e Cosimo è deriso in quanto quel titolo esiste già in Stati di minori dimensioni, come Parma, Modena o Urbino, e perché non possiede neppure l’intera Toscana.
Un Discorso circha la lega del papa del re cattolico da farsi con venetiani per difensione dell’isola di Cipro contro il Turco inviato nel luglio 1570 al cardinale di Correggio e riguardante la situazione precedente alla battaglia di Lepanto (Ceruti, 1880, pp. 818-826 con data 8 luglio) ebbe una certa diffusione: è trasmesso anche dal ms. 1747, cc. 155r-160v, della Biblioteca Angelica di Roma (con data 1570), e dal ms. F.VII.2, cc. 37r-41v, della Biblioteca universitaria di Genova (con data 10 luglio). Due epistole furono accolte nelle Lettere di principi, III, Venezia, G. Ziletti, 1581, cc. 100v-104r: in una, consultato dal cardinale Alessandro Farnese, il 25 novembre 1549 esprime pareri sui candidati alla successione di Paolo III (è ristampata nell’Idea del segretario di Bartolomeo Zucchi, Parte quarta, Venezia 1606, pp. 335-341); l’altra è una Relazione del decreto di Papa Paolo IV contro a’ nepoti alla Signoria di Genova, 2 febbraio 1559 (Lettere di principi, cit., cc. 189r-191v).
Il ms. Ambrosiano S.84 sup. contiene anche 26 estratti di lettere del ms. A.51 inf. che dimostrano l’interesse di Pinelli a catalogare il materiale aneddotico delle lettere salvaghiane per comporre il profilo di un personaggio faceto, di buffone proverbiale, e confermano il carattere artificioso dell’epistolario, non scambio autentico di missive, ma raccolta di epistole in cui Salvago aveva dato sfogo alla sua megalomania maniacale. L’Ambrosiano D.456 inf., cc. 1r-3v, infine, trasmette con il nome di Salvago un Elenco dei grandi ecclesiastici e laici di Spagna, Portogallo, Ungheria, Polonia e Francia destinati a un non meglio identificato Trattato del cerimoniale di Genova (cfr. Ceruti, 1880, p. 855 nota).
Nel 1573 Salvago era nuovamente nell’Urbe, dove abitò di fronte a palazzo Rusticucci, in Borgo. La morte dovette sopravvenire poco dopo questa data.
Sette sonetti burleschi tratti dall’Ambrosiano S.84 sup. sono stati editi in modo parziale e alquanto scorretto da Antonio Ceruti in Rime di poeti italiani del secolo XVI, Bologna 1873, pp. 88-94; lo stesso Ceruti (1880, pp. 88-94) li ripubblicò meglio con due sonetti in più e una premessa Al candido lettore, presente nel codice, di un veneziano intimo dell’autore, il quale dichiara di avergli sottratto le poesie, autorizzato dal fatto che ne circolavano numerose, parte di una copiosa produzione in rima. Lo stesso personaggio corredò i sonetti di brevi riassunti in prosa. I sonetti, aumentati infine di una ulteriore unità, sono disponibili oggi con adeguate cure testuali per la cura di Fabien Coletti (2014), che però ne respinge l’autenticità, alla luce del fatto che dall’epistolario di Salvago non emerge alcun accenno a una produzione in versi e i sonetti sono alquanto autodenigratori, cosa difficile da attribuire a Salvago vista la smodata autostima che emerge dall’epistolario. Databili tra il 1566 e il 1572 e di ambientazione veneziana, le poesie sarebbero opera di un contraffattore che avrebbe confezionato versi in burla sul prototipo del tipo buffonesco che si era creato intorno al personaggio.
Le 150 lettere tratte dai codici della Ambrosiana edite in Ceruti, 1880, sono ora indicizzate sul sito Archilet (http://www.archilet.it, 9 giugno 2017). A sé era stata in precedenza edita Della città di Venezia, lettera inedita di Gabriele Selvago genovese a messere Camillo Paleotto, a cura di E. Cicogna, Venezia 1842.
Fonti e Bibl.: M. Giustiniani, Gli scrittori liguri descritti, Parte prima, Roma 1667, p. 258; F.S. Quadrio, Indice universale della Storia e ragion d’ogni poesia, Milano 1752, p. 102; A. Marsand, I manoscritti italiani della Regia Biblioteca parigina, Parigi 1835, p. 328; A. Ceruti, G. S. patrizio genovese - Sue lettere - Notizie e documenti, in Atti della Società ligure di storia patria, XIII (1880), pp. 701-905; G.B. Modio, Il convito, in Trattati del Cinquecento sulla donna, a cura di G. Zonta, Bari 1913, pp. 309-365 passim; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, London-Leiden 1967, p. 539; F. Berni - B. Castiglione - G. Della Casa, Carmina, a cura di M. Scorsone, Torino 1995, pp. 93 s.; F. Coletti, Dieci sonetti burleschi attribuiti a G. S. (1570): dall’ambiguità fidenziana alla censura ottocentesca nel fondo Pinelli dell’Ambrosiana, in Line@editoriale, 2014, n. 006, http://revues.univ-tlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=559 (9 giugno 2017); Id., Fra antologia faceta e raccolta di notizie: le lettere di G. S. a Gian Vincenzo Pinelli (1570-1573), in Per uno studio delle corrispondenze letteraire di età moderna. Atti del seminario internazionale di Bergamo... 2014, a cura di C. Carminati et al., Verona 2016, pp. 259-269.