RICCARDI (Rizzardo, Licciardi, Lecciardi, Lecciardo), Gabriele
RICCARDI (Rizzardo, Licciardi, Lecciardi, Lecciardo), Gabriele. – Ignoti sono gli estremi biografici di questo artista leccese, che fu il più eminente scultore e architetto del Cinquecento salentino. Attivo entro il 1574, è oscura l’attività di bottega che lo portò a maturare un linguaggio stilistico fortemente connotato verso il recupero dell’antico, con cui gettò le basi del cosiddetto barocco leccese. Unica opera firmata e datata sono le quattro colonne lapidee del ciborio per le reliquie dei Martiri di Otranto (canonizzati solo nel 2013), recanti in due cartigli le problematiche epigrafi «OPUS GA[BRIELLIS] MA[GI]STRI/ [RI]CCARDI/ LICINI» e «MCCCCCXXIIII».
Le fonti cinquecentesche attestano almeno cinque varianti del nome. Oltre al genitivo «[Ri]ccardi» dell’epigrafe idruntina, si riscontrano «magister Gabriele Rizzardo» (dove la doppia ‘z’ è forse una correzione seriore: Lecce, Biblioteca provinciale, Protocolli notarili, notaio G.B. Filippello, 40/1, 1565, c. 602r); il genitivo «Beli Licciardi» (Archivio di Stato di Lecce [ASLe], Sez. not., Protocolli, notaio C. Pandolfo, 46/4, 1567/68, c. 8r); il genitivo «Gabrielis Lecciardi» (ASLe, Sez. not., Protocolli, notaio L. Perrone, 46/2, 1574/77, c. 176r (= a. 1577, c. 27r); oltre a «Bello Lecciardo» nell’erudito leccese Scipione Ammirato (1595, ora in Il Salento, 1931, vol. 5, p. 343). Si adotta la formula di compromesso Riccardi nel solco di una tradizione consolidata di studi.
Tra i contemporanei, Riccardi fu molto apprezzato da Ammirato, il quale ne ricordò il Presepe di pietra allestito nel duomo di Lecce (tuttora in situ, ma in altra collocazione rispetto a quella originaria) e un fratello più anziano: un «onorabil vecchio [che sebbene fosse] brigliajo [e] senza lettere […] aveva l’occhio in certi […] libri di teologia in fogli et quaderni partiti» (ibid.). Ciò suggerirebbe di calare Riccardi in un contesto umanistico e di bottega che necessita approfondimenti, tenendo in conto il complesso scenario religioso nel Viceregno spagnolo e in particolare in Salento, in epoca preconciliare.
Il corpus di opere ricostruito si fonda sulle indicazioni offerte da Giulio Cesare Infantino che, nella Lecce sacra, opera periegetica del 1634, definì «Beli Licciardi [ma a volte «Lecciardo»] scultore e architetto [«leccese»] eccellente» (pp. 230, 344). Vertici indiscussi sono la basilica di S. Croce a Lecce e le colonne del ciborio a Otranto: due casi di sincretismo iconografico e iconologico, attribuiti a Riccardi in modo unanime dalle fonti e dagli studiosi.
La prima, iniziata nel 1549 (?), ma completata nel secolo successivo, è il frutto di una crasi di tradizioni sapienziali erudite e folkloriche, sacre e profane (Cassiano - Cazzato, 1997). Le altre, magistralmente scolpite con motivi antiquari a grottesca, veicolano una narrazione biblica che culmina in una visione escatologica. La loro cronologia ha suscitato legittime perplessità, poiché le epigrafi riportate in esordio sono state manomesse (se ne accorge Houben, 2005). Le colonne furono una prova risolutiva nell’istruttoria avviata dalla S. Sede nel 1770-71, per l’accertamento del martirio subito dagli ottocento idruntini decapitati dai turchi nel 1480, che si concluse con la loro beatificazione. Chi scrive giustifica una proposta di esecuzione tra il 1539 e il 1556, su basi iconografiche e documentarie (Monaco, 2008).
Riccardi realizzò simulacri di pietra leccese di qualità apprezzabile. Consapevole degli espedienti tecnici correttivi delle deformazioni ottiche derivanti dalla collocazione in alto, li rifinì (probabilmente con l’ausilio di altre maestranze specializzate) con policromie oppure con indorature (S. Nicola, dopo il 1531 ma prima del 1552, Lecce, chiesa dei Ss. Niccolò e Cataldo: Monaco, 2013b, p. 359 n. 9; David che scrive i salmi, terzo quarto del XVI secolo, Lecce, Museo provinciale: Monaco, 2013a, pp. 306 s.; S. Antonio da Padova, 1569, Lecce, chiesa di S. Giuseppe: Monaco, 2014a; le Colonne di ciborio a Otranto).
Nonostante il cattivo stato di conservazione, è tuttora possibile rintracciare le coordinate stilistiche e iconografiche che caratterizzano le opere di scultura: una matrice di plastica rinascimentale partenopea; una di iconografia veneto-adriatica tardoquattrocentesca. Entrambe caratteristiche della scultura rinascimentale pugliese, frutto di una koinè culturale adriatica messa a fuoco da Clara Gelao (1998).
Nel S. Nicola rivive un certo naturalismo alla Tommaso Malvito (come già notò Cassiano, 1996, p. 111), del quale pure le grottesche nel succorpo del duomo di Napoli non dovettero essere sconosciute al Riccardi del ciborio di Otranto. La coordinata veneto-adriatica gli giunse dall’osservazione almeno dei due noti polittici dei Vivarini, all’epoca uno a Lecce (oggi a Bari, Pinacoteca provinciale) e uno a Galatina (oggi a Lecce, Museo provinciale). Colpiscono, del S. Nicola, la mitria e il piviale ingemmati e indorati; del David la testa riccioluta e il panneggio frastagliato (definito da Gelao «curiosamente nordico, nel suo classicismo quasi gotico», citata da ultimo in Monaco, 2013a, p. 306). Le panoplie, i cammei, i castoni di gemme di Otranto e gli spilloni a margherita che chiudono i mantelli dei santi e del profeta sono preziosismi ornamentali raffinatissimi.
Problematica è la questione dell’attività di architetto svolta da Riccardi. Il corpus di fabbriche attribuito nell’arco di oltre un secolo è stato aggregato su base indiziaria. Fu fondamentale l’adesione del maestro al più ampio fenomeno del recupero dell’antico nel Cinquecento in regione, non immemore del glorioso Medioevo architettonico, che egli declinò, per committenti laici e religiosi, alla luce della tradizione e dei materiali locali. In questo senso andrà aggiornato il concetto espresso da Mario Manieri Elia e Maurizio Calvesi, nel pionieristico studio sul barocco leccese (1966), ripreso in seguito da Francesco Abbate (2001), di una contestazione sottile, da parte di Riccardi, «al classicismo di importazione» (Abbate, 2001, p. 165) e di una «riduzione dell’architettura a fatto artigianale» (Manieri Elia - Calvesi, 1966, p. 22). Eppure, fu in virtù di una formazione ‘classica’ di cui nulla si conosce, che Riccardi e bottega eressero tipologie consapevoli del valore retorico di moduli architettonici segnatamente aulici, come, per esempio, la porticus persica di Vitruvio, rivisitata nella balaustra di S. Croce, e l’arco di trionfo, riconfigurato nella porta Napoli a Lecce, del 1549 (Gelao, 2005, p. 267).
Che Riccardi sia stato tra gli artifices più eminenti del suo tempo è testimoniato tanto dalla diffusione delle soluzioni architettoniche da lui ideate (e anche scultoree: basti guardare al S. Benedetto nella facciata di S. Giovanni Evangelista a Lecce, opera secentesca, vera e propria copia del S. Nicola), quanto dalla coniazione di una perifrasi adeguata per mettere a fuoco un fenomeno distinguibile, altrimenti difficile da spiegare: cioè «maniera riccardesca» (da ultimo si legge in Cazzato, 2015, p. 648) o riccardiana. Fortemente connotata, tale maniera, o piuttosto linguaggio, che in S. Croce è espresso nel modo più maturo ed eloquente, si fonda su una grammatica di griglie architettoniche portanti (l’abside a ombrello di origine tardogotica, la facciata con portale a semicolonne e timpano); beneficia di una retorica degli elementi plastici (mensole, peducci d’imposta, ghiere di rosoni, capitelli, tutti figurati); manifesta una dialettica costante tra antico e Medioevo (per esempio, nella colonna ingabbiata nel pilastro).
Promettente si annuncia il restauro in corso della basilica di S. Croce, con cui si recupera memoria di alcuni corpi di fabbrica inglobati entro la muratura nei restauri del 1833: in particolare, la base del torrione campanario cinquecentesco, di cui scrisse l’erudito leccese Luigi Giuseppe De Simone già nel 1874 (in Vacca, 1964, p. 332).
Non si hanno più notizie dell’attività di Riccardi già dal 1574 (come nota Cazzato, 1999, p. 85), quando il suo nome non compare in un consulto di maestri occorso in quell’anno per ovviare all’imminente crollo del campanile del duomo di Lecce (Lecce, Archivio curia arcivescovile, Scritture diverse, fascio XX, libro VIII, Relazione sulle condizioni statiche del campanile, pp. 205-208 [la trascrizione della relazione è in Monaco, 2006-07, pp. 210 s.]).
Tra le altre opere di scultura attribuite in epoca moderna si ricordano: Lecce: S. Rocco, 1566, chiesa di S. Giuseppe (Negri Arnoldi, 1997, p. 226; Monaco, 2006-07, pp. 175-178); due bassorilievi raffiguranti una sirena bicaudata e Giona, nella chiesa dei Ss. Niccolò e Cataldo (Cazzato, 1996); decorazione plastica della sala del trono del Castello di Carlo V (Monaco, 2014b); da verificare è l’attribuzione di un S. Michele Arcangelo «di vibrante bellezza», in coll. privata (Cassiano, 2013, p. 11); sono tardocinquecenteschi, e pertanto estranei, i due bassorilievi di palazzo Giaconia attribuiti da De Marco, 1992. Campi Salentina: debole è l’attribuzione del Monumento sepolcrale di Belisario Maremonte, 1540, nella collegiata (riportata in Cazzato, 2015, p. 648). Otranto: poco convincente è l’attribuzione del fonte battesimale cinquecentesco nel Museo diocesano (Cazzato, 1999, p. 94 n. 6), come argomentato in Monaco, 2006-07, pp. 197-207.
Tra le altre opere di architettura e portali attribuiti (tutti elencati, da ultimo, in Cazzato, 2015, pp. 648 s.) si ricordano: Lecce: S. Marco dei Veneziani, 1543; chiostri dei Ss. Niccolò e Cataldo, prima metà del XVI secolo; S. Francesco di Paola, portale con l’Incoronazione della Vergine, entro il 1527; porzioni di palazzo Castromediano in vico Vernazza, prima metà del XVI secolo; ninfeo della villa suburbana Fulgenzio della Monica (seconda metà del XVI secolo), fabbrica assegnata al contemporaneo Gian Giacomo dell’Acaya. Arnesano: altare maggiore dell’ex parrocchiale, 1560. Novoli: tempietto ottagono del S. Salvatore per i conti Mattei, prima del 1570. Carpignano: S. Maria della Grotta, iniziata verso il 1569. Minervino: chiesa matrice, entro il 1573. Campi Salentina: collegiata, circa 1545-70. Portali delle chiese matrici di Corigliano (1573?), Melpignano, Parabita e Villa Convento.
Fonti e Bibl.: Lecce, Biblioteca provinciale, Protocolli notarili, notaio G.B. Filippello, 40/1, 1565, c. 602r; Archivio di Stato di Lecce [ASLe], Sez. not., Protocolli, notaio C. Pandolfo, 46/4, 1567/68, c. 8r; ASLe, Sez. not., Protocolli, notaio L. Perrone, 46/2, 1574/77, c. 176r (= 1577, c. 27r); Lecce, Archivio curia arcivescovile, Scritture diverse, fascio XX, libro VIII, Relazione sulle condizioni statiche del campanile, pp. 205-208.
S. Ammirato, Della famiglia Paladini di Lecce, Firenze 1595, rist. in Il Salento, 1931, vol. 5, pp. 329-343; G.C. Infantino, Lecce Sacra, Lecce 1634, pp. 13, 120, 180, 199, 209; L.G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti [1874], ediz. postillata da N. Vacca, Lecce 1964, p. 332 e passim; C. De Giorgi, La provincia di Lecce. Bozzetti, II, Lecce 1882, p. 275 e passim; A. Foscarini, Arte e artisti in Terra d’Otranto [circa 1920], trascrizione del ms. n. 329 della Biblioteca provinciale N. Bernardini di Lecce, a cura di P.A. Vetrugno, Lecce 2000, p. 189 e passim; M. Calvesi - M. Manieri Elia, Personalità e strutture caratterizzanti il “Barocco” leccese, Milano 1966, p. 22 e passim; M. De Marco, Il Salento tra Medioevo e Rinascimento, Lecce 1992, p. 98; A. Cassiano, Il rinnovamento olivetano. Sculture e arredi, in Il Tempio di Tancredi, a cura di B. Pellegrino - B. Vetere, Lecce 1996, pp. 111-118; V. Cazzato, Il Salento, le acque e il pozzo del chiostro, ibid., pp. 133-144; A. Cassiano - V. Cazzato, Santa Croce a Lecce, Galatina 1997; M. Fagiolo, Introduzione a S. Croce, ibid., pp. 31-64; F. Negri Arnoldi, La scultura del Cinquecento in Italia meridionale, Napoli 1997, p. 226; C. Gelao, La scultura pugliese del Rinascimento nel contesto della koinè culturale adriatica, in Andar per mare: Puglia e Mediterraneo tra mito e storia (catal., 1997) a cura di R. Cassano - R. Lorusso Romito - M. Milella, Bari 1998, pp. 383-388; M. Cazzato, La prima attività di G. R.: le colonne dell’altare dei Martiri nella Cattedrale di Otranto (1524), in Studi Salentini, LXXVI (1999), pp. 77-98; Palazzo Adorno, a cura di R. Poso, Matera 2000; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, Roma 2001, p. 165; A.M. Monaco, La ‘Gerusalemme celeste’ di Otranto. Il mito degli ottocento martiri nelle sue riconfigurazioni memoriali, Galatina 2004, pp. 29-97 e passim; C. Gelao, Puglia Rinascimentale, Milano 2005, p. 267 e passim; H. Houben, Gabriele Licciardo (Riccardi), una figura enigmatica del Barocco leccese, in Kronos, IX (2005), pp. 167-178; A.M. Monaco, La memoria dell’antico in Salento. G. R. scultore e architetto, tesi di dottorato di ricerca, XVIII ciclo, Università del Salento, facoltà di beni culturali, Lecce a.a. 2006-07 (tutor prof. M. Rossi); Id., Continuità e distanza nell’iconografia del Presepe pugliese: la Cavalcata dei Magi di G. R. e l’Adorazione del Bambino nel Duomo di Lecce, in La scultura meridionale in età moderna nei suoi rapporti con la circolazione mediterranea. Atti del Convegno, Lecce... 2004, a cura di L. Gaeta, II, Galatina 2007, pp. 379-397; P.A. Vetrugno, Rinascimento «tradito», Galatina 2007, pp. 29, 59 e passim; A.M. Monaco, «Qui sunt et unde venerunt?». Topoi iconografici per il consenso agiografico nel culto degli ottocento Martiri di Otranto, in La conquista turca di Otranto (1480) tra “storia e mito”. Atti del Convegno, Otranto-Muro Leccese... 2007, a cura di H. Houben, II, Galatina 2008, pp. 157-195; A. Cassiano, In extremo Italiae angulo, in La Puglia, il Manierismo e la Controriforma (catal., Lecce-Bitonto, 2012-13) a cura di A. Cassiano - F. Vona, Galatina 2013, pp. 9-15; A.M. Monaco, La ‘memoria dell’antico’ in un’epoca di riforme, ibid., 2013a, pp. 17-26 e 306 s.; Id., Una inconsueta occorrenza iconografica. Adonay: il nome ebraico di Dio sul San Nicola di G. R. a Lecce (XVI sec.), in Gli ebrei in Salento (IX-XVI secolo), a cura di F. Lelli, Galatina 2013b, pp. 355-362; Id., Un Sant’Antonio di pietra leccese a estofado de oro. Una conferma per G. R., in Kronos, XV (2014a), 1, pp. 151-160; Id., La decorazione plastica della Sala del Trono: iconografia e una proposta attributiva, in Il Castello Carlo V. Tracce, memorie, protagonisti (catal., Lecce), a cura di F. Canestrini - G. Cacudi, Galatina 2014b, pp. 55-59; M. Cazzato, Riccardi ( Licciardo/ Licciardo - sic ) G., in Lecce e il Salento, I, I centri urbani, le architetture e il cantiere barocco, a cura di V. Cazzato - M. Cazzato, Roma 2015, pp. 648 s.