MUCCHI, Gabriele
– Nacque il 25 giugno 1899 a Torino, figlio primogenito di Anton Maria e di Lucia Tracagni. Dopo di lui nacquero i fratelli Anna nel 1900, Leonardo nel 1903, Ludovico nel 1904.
Seguendo i genitori viaggiò molto durante tutta la gioventù: rimase a Torino soltanto fino al 1911, quando si trasferì ad Albano Laziale; abitò poi a Velletri, Roma, Catania e Correggio. Il padre, pittore, svolse da subito un ruolo cruciale nella sua educazione, indirizzandolo a studi d’arte. Nell’ottobre 1916 arrivò a Bologna, ove si iscrisse al Politecnico. Essendo tra i cosiddetti Ragazzi del ’99, fu chiamato in guerra, impegnato con la carica di sottotenente sul Grappa e sul Piave. Rientrato dal fronte dopo aver contratto l’ittero, allo scadere del decennio fu ancora a Bologna: qui portò avanti gli studi e fece il suo esordio artistico, esponendo alcune opere nelle mostre dell’Associazione Francesco Francia.
Come ricordò egli stesso, al tempo di questi suoi primi passi bolognesi guardò anzi tutto alla modernità d’Oltralpe: «Al Caffè della Barchetta, dove ci si trovava ogni giorno, le prime ribellioni politiche nascevano in modo naturale ed ovvio insieme con le discussioni sull’arte. Allora era di Cézanne soprattutto che si parlava, con [Nino] Bertocchi, [Corrado] Corazza e [Alessandro] Cervellati ponendoci contro il diffuso postimpressionismo di quel dopoguerra, ma io cominciavo a guardare anche a Picasso e ai cubisti, col ritardo della provincia, meno alle tele di Morandi metafisiche» (Tassi, 1975, p. 21).
Laureatosi nel 1923 in ingegneria civile, tra il 1924 e il 1925 soggiornò a Roma, dove frequentò l’ambiente artistico del caffè Aragno e conobbe, oltre a molti artisti e intellettuali (tra i quali Massimo Bontempelli, con cui avviò una collaborazione), la scultrice Jenny Wiegmann (detta poi Genni), futura compagna di vita, allora sposata con lo scultore Berthöld Müller. Tra il 1926 e il 1928 visse a Milano, lavorando intensamente nello studio di Gigiotti Zanini, da cui trasse importanti insegnamenti: «da lui imparai il gusto per i primitivi. Frequentavo con Zanini i "novecentisti": Carrà, Tosi, Sironi, De Grada, Funi, Marussig, ma […] preferivo l’incontro con spiriti più riservati e a me consoni, come Tullio Garbari, toltomi dalla morte, e Sergio Solmi» (ibid.). Al 1928 risalgono le prime opere note, tra cui un ritratto del fratello Leonardo di sapore novecentista (Il calcolatore, coll. priv, ripr. in G. M., 1999, p. 59, fig. 2) e, soprattutto, una Madonna con Bambino (ripr. ibid., p. 61, fig. 3) nella quale il sapiente prelievo dal Quattrocento toscano si affianca a ingenuità infantili alla Garbari. Nel 1928 partì per Berlino, dove rafforzò il legame con Genni e dove organizzò, fra l’altro, un’importante Mostra del Novecento italiano, che destò un certo clamore e fu identificata – suo malgrado – come mostra di arte fascista (Le occasioni perdute..., 2001, pp. 86 s.). A Berlino realizzò le prime puntesecche (aprendo così una lunga e felice attività di incisore) e pubblicò disegni su importanti riviste quali Der Querschnitt e Die Neue Revue.
Nel 1930 rientrò in Italia per decorare con immagini sacre la cappella del Sudario di Moglia, nel Mantovano (ibid., pp. 100 s.), alla quale collaborò anche Genni. L’anno successivo partì per Parigi, dove prese a frequentare Mario Tozzi e, con lui, tutto il gruppo dei cosiddetti Italiens de Paris. Espose più volte insieme a Severini, de Pisis e gli altri, fra l’altro alla galleria Bonaparte. Tra le opere presentate nella capitale francese è Il viandante stanco (coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 63, fig. 8), in cui oltre a evidenti rimandi a de Pisis e de Chirico è già una chiara e precoce notazione realista. A Parigi visse insieme a Genni, che sposò – una volta rientrato a Milano – il 30 settembre 1933. A partire da questo momento, intensificò la sua attività di architetto e designer, partecipando alla V e poi alla VI Triennale (1933 e 1936), progettando un piccolo palazzo a Milano e alcuni mobili in metallo per l’azienda di Emilio Pino.
A partire dal 1934 si stabilì in via Rugabella: la sua casa presto diventò un importante punto di incontro per gli artisti e intellettuali che allora operavano nel capoluogo lombardo. Nacque qui il movimento di Corrente, che avrebbe animato la scena culturale italiana tra la fine degli anni Trenta e il tempo di guerra.
Ricordò in proposito Renato Guttuso: «in casa di Mucchi ci si vedeva con [Renato] Birolli, [Giacomo] Manzù, [Fiorenzo] Tomea, [Aligi] Sassu, [Domenico] Cantatore e [Salvatore] Quasimodo e i De Grada, regolarmente un giorno ogni settimana […]. Discutevamo di pittura e di antifascismo, vedevamo libri e riviste, gettavamo uno sguardo nell’Europa proibita (era il tempo dell’aggressione all’Etiopia e delle sanzioni). Si parlava con Sassu di Diego Rivera, si polemizzava sulla pittura sovietica che s’era vista qualche tempo prima alla Biennale di Venezia, si iniziava in modo incerto ma appassionato un discorso che doveva poi svilupparsi e precisarsi negli anni futuri» (in M., 1954, p. n.n.).
Risalgono alla metà del quarto decennio opere quale Nudo su un panno verde (1935; coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 68, fig. 12), che – in anticipo su Corrente – coniugava istanza realista e espressività del colore. Nel 1935 espose tre dipinti alla II Quadriennale d’arte nazionale di Roma, tra i quali ancora Il viandante stanco (ripr. in catal.). Partecipò inoltre alla XX Biennale del 1936 e all’Esposizione universale di Parigi del 1937.
Nel 1939 allestì la prima personale in Italia, ricca di 30 dipinti, nelle sale della galleria Genova di Genova. Giuseppe Marchiori, nella presentazione pubblicata in catalogo (M., 1939, p. n.n.), sottolineò il suo «raffinato lirismo coloristico», collegandolo così agli gli artisti di Corrente, movimento al quale Mucchi non dette mai apertamente la sua adesione. Alla fine dell’anno insieme a Birolli e Cantatore tenne una personale alla galleria Barbaroux di Milano, presentato in questa occasione dall'amico Sergio Solmi che pure sottolineò il suo forte senso del colore: «dopo un primo periodo dalle tinte chiare e smorzate, quasi che egli procedesse con cautela nel suo studio di raffinati rapporti, di caute giustapposizioni, succede oggi un periodo di colore più risentito, di più densa pasta pittorica: come una voce che s’alza di tono e trova a poco a poco il suo accento più robusto» (in Birolli Cantatore M., 1939, p. n.n.).
Durante il tempo di guerra partecipò alla III e alla IV edizione del premio Bergamo (1941 e 1942), dominate dal gruppo di Corrente, ma fu anche alla XXIII Biennale di Venezia del 1942. In quello stesso anno fu richiamato alle armi come capitano di artiglieria, pur rimanendo lontano dal fronte e riuscendo, almeno sporadicamente, a dipingere. Al 1943 risalgono alcuni dipinti vicini all’astrazione, che nei titoli però serbano espliciti riferimenti alle tragiche vicende del conflitto, a situazioni reali. Parallelamente realizzò il primo quadro di denuncia della guerra, una cupa scena dai toni drammatici, esposta in un primo momento come Madre con bambino e più tardi intitolata, appunto, La guerra I (coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 80, fig. 25).
L’8 settembre 1943, di stanza a Milano, abbandonò le armi, cominciando a partecipare insieme alla moglie alla lotta partigiana e aderendo al Partito comunista. Distrutta dai bombardamenti dell’agosto 1943 la casa di via Rugabella, prese a dipingere crudi ritratti di partigiani uccisi (Il fucilato, 1944; coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 78, fig. 26), madri che stringono tra le braccia il proprio bambino (Piccola maternità, 1944; coll. priv., ripr. ibid., p. 79, fig. 28), opere che per la loro stretta aderenza al dato di natura e per il forte senso di denuncia inaugurano, insieme a dipinti di Guttuso e Ernesto Treccani realizzati in quegli stessi mesi, il linguaggio realista che si sarebbe di lì a poco affermato.
Dopo la Liberazione si fece promotore di numerose iniziative volte a marcare il forte impegno dell’arte per la ricostruzione dell’Italia democratica e per la difesa dei diritti dei lavoratori. Organizzò dapprima la Mostra della Liberazione (settembre 1945); fu tra gli autori del cosiddetto «Piano AR», per un «nuovo, razionale e morale assetto della città [di Milano], cresciuta nel disordine dello sviluppo industriale» (Mucchi, 2001, p. 210); collaborò intensamente al Calendario del popolo pubblicandovi numerosi scritti e disegni; progettò le nuove abitazioni contadine di Valeria Fratta. Tra il 1948 e il 1950, fu un vero e proprio capofila di quel realismo socialista, in linea con la posizione zdanoviana, che il PCI sostenne apertamente. Libero più di altri suoi compagni di strada dall’allora dominante lezione di Picasso, prese a rappresentare nei suoi quadri il lavoro e le lotte dei contadini e degli operai, tornando spesso a ricordare la barbarie della guerra, e, segnatamente, dell’occupazione nazifascista. Nel 1948 tenne una personale – la prima mostra del tutto realista in Italia – allestendola significativamente a Sesto San Giovanni, all’interno della fabbrica della Magneti Marelli. Nel 1949 organizzò un’altra importante personale nelle sale della casa della Cultura di Milano e, nel 1950, nella stessa città, fu tra i principali organizzatori della mostra di gruppo dei realisti allestita nelle sale della galleria Bergamini.
Alla XXV Biennale di Venezia, nel 1950, espose fra l’altro Legittima difesa (coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 93, fig. 38), opera polemica nella quale Mucchi denunciò la violenza delle cariche della polizia nei confronti dei lavoratori manifestanti. Alla rassegna partecipò, con opere realiste, anche nel 1952 e nel 1954 (in quest’ultima occasione con un quadro, Il partigiano assetato, omaggio a Eugène Delacroix. L'opera in collezione privata, è riprodotta nell'autobiografia di Mucchi, Le occasioni perdute..., 2001, p. 259). Tra le numerose mostre allestite in questi primi anni Cinquanta, è necessario ricordare la personale tenuta nel 1951 alla galleria Bergamini, ove fu esposto per la prima volta La rotta del Po (coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 100, fig. 45), grande quadro in cui Mucchi sembra quasi risalire alla tradizione di Courbet, il padre del realismo francese di metà XIX secolo.
Iniziò in questo stesso periodo a collaborare con Realismo. Mensile di arti figurative, rivista portavoce del movimento, pubblicata a Milano tra il 1952 e il 1956. Nel 1956 si trasferì nuovamente in Germania, assumendo l’incarico di docente di pittura alla Hochschule für Kunst di Berlino Est (dove aveva tenuto una mostra di grande successo l’anno precedente, nel 1955).
Precisò in proposito Mucchi: «io sapevo bene quale doveva essere il mio impegno [...]non avrei potuto insegnare la pura tecnica della pittura, lasciando agli allievi la scivolosa ‘libertà’ di scegliersi una convinzione estetico-ideologica qualunque – o nessuna. Io avrei insegnato un’arte legata al pensiero della filosofia materialistica-dialettica e avrei lasciato agli allievi questa libertà: di interpretare il mio insegnamento nelle forme suggerite a loro in pittura dal loro proprio talento» (Le occasioni perdute..., 2001, p. 274). Spiegò ancora nel 1955: «Fra noi pittori realisti è venuto l’uso in tutti questi anni, di uscire dagli studi, di andare tra la gente, e non già in cerca di più o meno interessanti ‘motivi’, ma in cerca di vita. Vivere fra questa gente, comprenderne l’animo, le aspirazioni e le condizioni d’esistenza, è diventato per noi un ‘metodo di lavoro’» (cit. in Tassi, 1975, p. 24).
Alla fine degli anni Cinquanta e tutti gli anni Sessanta continuò a perseguire gli obiettivi della pittura realista, documentando alcuni importanti fatti di cronaca con opere di denuncia, chiaramente schierate. È il caso, per esempio, dei dipinti intitolati Bomba atomica (tra questi è Bomba atomica II del 1967, coll. priv., ripr. in G. M., 1999, p. 120, fig. 67), Appello (coll. priv., dedicato alla guerra in Vietnam), o ancora di Morte di Che Guevara (1968; coll. priv., ripr. in Le occasioni perdute..., 2001, p. 303) . Nel 1969, dopo una prolungata malattia, morì Genni, a Berlino. Mucchi continuò a tenere mostre e a lavorare nel solco della tradizione realista. Il 20 giugno 1973, in un periodo di frequenti spostamenti ed esposizioni tra l’Italia e la Germania, sposò Susanne Arndt, conosciuta tempo prima, e da lei ebbe presto un figlio, Gabrio. Al 1976 data un ciclo di disegni e dipinti dedicati alla morte di Pier Paolo Pasolini, incentrati sulla figura di un angelo e della morte. Verso la fine degli anni Settanta dedicò un ciclo di opere, intitolato Il vate, a Giorgio de Chirico, rispolverando l’antico amore per il pittore di Volos, padre della metafisica, al quale aveva guardato con tanta attenzione durante i giovanili anni del soggiorno parigino, all’inizio del quarto decennio.
Lungo tutti gli anni Ottanta e Novanta continuarono frequenti le mostre. Produsse molto, rimanendo ancora entro l’alveo del realismo, deciso a raccontare fino all’ultimo la verità della vita degli uomini. Nel 1994 dette alle stampe Le occasioni perdute. Memorie 1899-1993 (Milano; rist, ibid., 2001), una corposa autobiografia nella quale Mucchi non solo racconta di sé, ma tratteggia con precisione le maggiori esperienze artistiche della metà del XX secolo.
Morì a Milano il 10 maggio 2002.
Fonti e Bibl.: G. M. (catal., galleria Genova), a cura di G. Marchiori, Genova, 1939; Birolli Cantatore M. (catal., galleria Barbaroux), Milano 1939; M. (catal., galleria La colonna), a cura di R. Guttuso, Milano 1954; S. Solmi, G. M., Milano 1955; G. M. (catal., galleria d’arte 32), a cura di G. Marchiori, Milano 1968; C.L. Ragghianti, G. M. Opera grafica fino al 1970, Milano 1971; G. M. Disegni e acquerelli (catal., galleria La meridiana), a cura di M. De Micheli, Marostica 1972; R. Tassi, G. M. (catal., Reggio Emilia), Venezia 1975; M. l’officina grafica (galleria Aleph), Milano 1982; G. M. ( catal, galleria Farsetti, 1988-89), Milano 1988; G. M. Cento anni (catal., Milano), a cura di R. De Grada, Cinisello Balsamo 1999.