CAVAZZA, Gabriele
Nacque a Venezia, attorno al 1540, da Francesco e Ippolita: il nome del casato della madre non emerge neppure il 6 maggio 1594 quando risulta morta, all'età di settant'anni, nella casa di S. Samuele.
Solo il 9 marzo 1570, da una lettera del provveditore dell'Armata, Giacomo Celsi, a Marin Dandolo, "sopracomito de' condannati", compare il ruolo che il C. ricoprì nella burocrazia veneziana, quello di segretario del Senato: sin dall'inizio, pertanto, egli appare come uno dei rappresentanti di quella nobiltà, di non grandi possibilità finanziarie, impegnata nella burocrazia statale, che vede trasferirsi in Levante il nerbo del proprio impegno: uomo della Dalmazia, lo ritrae la pubblicistica contemporanea. Di conseguenza, il modello di resoconto diplomatico che fuoriesce dai dispacci del C. risulta importante per comprendere la mentalità, e le peculiarità culturali, di gran parte della classe dirigente della Repubblica alla fine del sec. XVI, dopo la crisi di Lepanto.
Relativamente all'Impero turco, le sue analisi non mancano di investire i due problemi che circolano con insistenza nella cultura veneziana: il funzionamento, militare e religioso, delle città turche e la struttura burocratica dell'impero nei suoi rapporti con le "provincie" asiatiche. L'arsenale di Costantinopoli, soprattutto, richiama le sue maggiori attenzioni. La notizia, dell'11 febbr. 1579 che il governo turco ha dato ordine di "armar dusento galee" (Arch. di St. di Venezia, Costantinopoli. Dispacci amb. al Senato, filza 13, c. 510r) permette al C. di riportarne una descrizione che possa risultare utile per l'aggiornamento della struttura navale veneziana. Se nell'arsenale turco solo trenta galee risultano costruite a partire dal 1577, mentre trenta "galiotte" sono in Algeri, disponibili per un attacco improvviso, su un totale di circa duecentocinquanta galee, per gran parte vecchie o inadeguate, la stessa caotica organizzazione non ne permette un funzionamento efficace. Proprio la mancanza di mano d'opera specializzata che costringe, "di notte", a inviare "una galeotta per levar maestranze nell'Arcipelago; et questa mattina sono partiti homeni per chiamar dalle rive del Mar Nero" (27 febbr. 1579: ibid., c. 537r), e che conduce a una progressiva incapacità di tener fronte militarmente al controllo del Mediterraneo, centrale e orientale, incide contemporaneamente sulla resistenza dei materiali navali impiegati nei trasporti marittimi: fra il 21 e il 26 febbraio ben sette vascelli "carichi di formento, orzo et lagumi" risultano persi "per fortuna". Il mondo turco, per il C., inizia a risentire del venir meno progressivo dell'emigrazione, dalle città della penisola, di tecnici e personale specializzato da utilizzare nell'armamento come nelle tecniche urbane; mentre, il 2 marzo 1580 (ibid., filza 14, cc. 8v-9r), una nave inglese, "carica per il più di panni fini di Londra è gionta a Sio..., et passa sotto la bandiera di Franza. Ha fatto il viaggio in 3 mesi et giorni senza haver preso porto in altro loco", poneva in risalto quegli spostamenti verso la Francia e l'Inghilterra che, sul piano tecnico ed "industriale", stavano avvenendo in Europa. Pure l'approvvigionamento del "biscotto", come nell'organizzazione veneziana, presenta difficoltà e ritardi: così il 17 marzo 1580 (ibid., cc. 27v, 29v), quando ne vengono ordinate venticinquemila cantara sia nelle "scale" della Morea, di Lepanto e Patrasso, come diecimila cantara a Costantinopoli, per il bisogno di cento galee, la cui autonomia dovrebbe protrarsi sei mesi. D'altronde, è la stessa composizione sociale delle città turche, la presenza composita di minoranze instabili a creare difficoltà alle possibiltà produttive, oltre che al funzionamento dello Stato. Se nel Serraglio praticano medici ebrei è il milieu ebraico a essere osteggiato nei momenti delle crisi politiche e militari: il 24 marzo 1580 (ibid., cc. 34v., 36r) agli ebrei viene vietato "tener schiavi, né schiave, onde questa canaglia è tutta dimessa et in confusione", mentre il 17 dello stesso mese era stato loro proibito, unitamente ai "cristiani", di "portar panni di seda, et di lana, fini, et turbanti". Tuttavia, spetta proprio al ceto ebraico esplicare un ruolo, politico ed economico, fra Venezia e la Porta, in grado di condizionarne i commerci ed i rapporti economici: il 7 genn. 1580 il C. riporta (ibid., filza 13, c. 447r) come "li tristi hebrei non cessano di parlar superbamente..., vantandosi di haver ben i mezzi et il modo di far che Vostra Serenità li pagherà se vorrà l'amicitia di questo Signor", sottolineando un problema che può gettare nuova luce sulla circolazione, culturale ed economica, del Mediterraneo.
Alla Porta il C. svolse un'ampia attività di riscattatore di schiavi cristiani in mano turca, soprattutto di uomini da remo o di mercanti e nobili, per arginare la fuga di capitale umano verso l'Oriente: il 24 gennaio liberò Orazio Benvenuti, di Crema, caduto in mani turche a Famagosta, mentre il 29 aprile si interessò a uno schiavo musulmano in mano del principe di Salerno, dietro le pressioni del "conservator della fede" musulmana. Pure col C. la ritrattistica eroica veneziana, come già con Marin Cavalli, invase la Porta: il 30 marzo del 1580 egli aveva "ricevuto anche un cassone con quattro ritratti delli Signori della casa Otthomana, li quali, così soli, et non conosciuti, per non esservi sopra notati i nomi loro, non sarian stati presente compitamente grato al magico Mehemet Bassà, che li dimandò tutti" (ibid., filza 14, c. 47r). Questa problematica che si snoda durante le sue due missioni, come segretario del Senato, alla Porta, del 1571 e del 1579-80, costituisce la tela di fondo che permetterà la stesura del Viaggio a Costantinopoli di sier Lorenzo Bernardo per l'arresto del Bailo sier Girolamo Lippomano... 1591, pubblicato a Venezia nel 1886, a cura di F. Stefani. Inviato, infatti, nel gennaio 1591 a Corfù ed a Cefalonia "per negotio di formenti", partì per Costantinopoli al seguito della "famiglia" di Lorenzo Bernardo del fu Sebastiano, inviato il 26 apr. 1591 per l'arresto del bailo Girolamo Lipponiano, sospettato di aver svelato segreti militari.
Il Viaggio riafferma i motivi offerti dall'analisi delle strutture dell'Impero turco, descrivendole come il prodotto di una organizzazione statale che merita di essere comparata a quella veneziana: le stesse "scuole" di "Monasterio" risultano "il luogo come di studio, dal quale riescono huomini sufficienti ed atti ad amministrar giustizia" (p. 44) e che perciò "si mandano per cadì in diverse parti dell'imperio turchesco".La missione alla Canea, iniziata il 10 luglio 1591, al servizio di Zuanne Mocenigo, che divenne il "protettore" della sua "casa", gli permise di ampliare notevolmente i propri capitali, con investimenti in rendite commerciali nell'isola. D'altronde, nel testamento del 15 luglio 1592, steso a Candia, quando era ammalato di "dolori di fianco, et colici", non mancava di sottolineare la funzione di "informatore" svolta per la nobiltà veneziana.
Dopo aver affermato che il testamento deve avere lo stesso "vigore" di come fosse fatto a Venezia, "comprendendosi l'Isola di Candia in uno delli sestieri di Venetia", desidera che il suo corpo, in caso di morte, venga vestito "dell'habito di San Francesco", ed accompagnato da "un solo prette, et un solo zago". A Venezia, qualora la "sorte" deciderà che vi muoia, desidera essere sepolto nell'"arca" di famiglia, ma con l'insegna di ca' Duodo, nella chiesa dell'Orto, "per mezo l'altar della Madonna", ove fu sepolto suo padre. Una piccola parte del patrimonio, composta di vesti, di coltelli "turcheschi", viene divisa fra i suoi parenti; mentre somme di 5 ducati vengono lasciate all'ospedale della Pietà, a Venezia, al monastero delle Convertite, alla scuola del SS. Sacramento della sua contrada (S. Angelo). Ma il nerbo del patrimonio, composto di un insieme di rendite avute dallo Stato, viene lasciato ai nipoti, figli del fratello Giovanni: Francesco, Gabriele e Girolamo. A Francesco, il maggiore, viene offerta la nomina "al possesso, et investitura, degl'officij di una soprastantaria a Doana da Mar, et di una fantaria a Doana da terra", concesse da Zuanne Mocenigo. Inoltre, a Francesco va la "soprastantaria delle saline della Suda"; ai due fratelli è invitato a versare annualmente, ognuno, 50 ducati, fino all'età di ventitré anni. Francesco, deve essere "come lor padre, et governarli, havendo cura di farli crescere in virtù, et buoni costumi, sì che riescano huomini da bene, et atti a servire in alcun carico i nostri Ser.mi Signori, con honor della casa". Pure l'"hostaria", posta nel borgo di S. Maria di Mestre, che "tiene per insegna la Corona", passa a Francesco. Solo qualora ai nipoti mancassero figli legittimi, o "naturali", ordina che tutto il patrimonio "vada nella Cancelleria Ducal di Venetia... l'usufrutto... partito ogn'anno fra li mag.ci Secretarij, et ordinarii, che si troveranno presenti il giorno della 3ª domenica di luglio, che si celebra la festività del Redentore alla Giudeca", attribuendo 36 ducati l'anno a "due povere dongelle di buona conditione, et fama, per aiuto del loro maritare". Al contrario i suoi drappi, le vesti, i mobili verranno "venduti al pubblico incanto", ed il ricavato, con il denaro liquido e da riscuotere, "sia investito quanto prima si potrà in tanti livelli leciti, o in tanti fondi sicuri": l'intreccio fra la tendenza del capitale mercantile all'investimento e il contemporaneo volgersi verso la sicura rendita di Stato si allea ad una religiosità che si compenetra dell'ideale francescano.
Il C. morì a Venezia, a S. Barnaba, il 12 giugno 1593.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità. Necrologio, reg. 825; Ibid., Costantinopoli. Dispacci ambasciatori al Senato, filze 13 (10 febbr. 1579-9 febbr. 1580), 14 (2 marzo 1580-2 giugno 1580); Ibid., Testamenti. Atti Secco, b. 1191, n. 289; Ibid., Testamenti. Atti Cavanis, b. 194, n. 476; Venezia, Civico Museo Correr, Mss. Dandolo, Prov. Div., c. 951, n. 11; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 223-224; T. Bertelè, Il palazzo degli ambasciatori di Venezia a Costantinopoli e li sue antiche memorie, Bologna 1932, p. 121.