FUSIONE (dal lat. fundo "verso"; fr. fusion; sp. fundición; ted. giessen; ingl. founding)
Nella tecnica metallurgica è l'operazione per cui alcuni metalli o leghe vengono ridotti allo stato liquido e colati in recipienti o stampi aventi la forma degli oggetti da ricavare. L'operazione si compie nelle cosiddette fonderie.
Fusione di ghisa e di acciaio.
Ghisa. - La fusione di ghisa sorse cronologicamente prima di quella di acciaio, essendo stata ottenuta la ghisa prima dell'acciaio. La sua esecuzione comportava d'altronde minori difficoltà. Solo in tempi recenti, perfezionata la tecnica, si tende a sostituire la fusione in acciaio alla fusione, fucinazione o altra lavorazione in ghisa. I primi getti in ghisa risalgono al principio del sec. XIV e riguardarono ordigni guerreschi; verso il 1450 cominciarono a comparire i primi tubi per condotte d'acqua. In questa prima fase le fonderie utilizzarono la ghisa prodotta direttamente all'alto forno, e soprattutto la ghisa grigia, sia perché, possedendo la proprietà di aumentare di volume nella solidificazione, aveva il vantaggio di riempir bene tutte le cavità della forma, sia perché, essendo essa molto tenera, bene si prestava a un'ulteriore lavorazione meccanica di finitura. Ben presto, però, per l'incostanza della qualità della ghisa ottenuta all'alto forno e per le accresciute esigenze in tema dei requisiti meccanici dei getti, divenne indispensabile abbandonare, per usi di fonderia, la ghisa di prima fusione e utilizzare la cosiddetta ghisa di seconda fusione, cioè la ghisa d'alto forno colata in pani e poi rifusa.
Attualmente, per praticare la seconda fusione, si prepara la miscela di ghisa e la si riscalda in speciali forni, dei quali i più diffusi sono i cubilots, poi i forni a fiamma e i forni elettrici. La miscela è necessaria perché, variando la composizione chimica di una ghisa, se ne variano notevolmente le proprietà fisiche e meccaniche. Un tenore elevato di fosforo rende la ghisa molto fluida e quindi adatta per getti con pareti molto sottili o per getti artistici, ma al contrario inadatta per pezzi sottoposti ad urti perché fragilissima. Il manganese aumenta la durezza e la resistenza fino a un certo limite, oltrepassato il quale le abbassa. Se il carbonio si trova nella ghisa combinato con il ferro, la rende dura, mentre se è sotto forma di grafite, la rende tenera. Il silicio facilita la precipitazione del carbonio sotto forma di lamelle di grafite. Oggi le ghise da fonderia si trovano in commercio suddivise per qualità, secondo la provenienza e la composizione, e quasi sempre vengono utilizzate mescolandole in varie proporzioni.
Il cubilot o gli altri forni hanno la funzione di ridurre allo stato liquido la miscela di ghisa destinata alla fusione dei getti. È da notare che, per essere colata in getti, la ghisa oltre che fusa deve essere anche surriscaldata per annullare le perdite di calore che si verificano nel passaggio dal forno alla secchia, durante il trasporto alle staffe e durante la colata dei getti stessi. La quantità di calore necessaria viene ottenuta con la combustione di coke alimentata con aria sotto pressione. La temperatura di fusione, secondo le qualità, varia da 1075° (ghisa bianca) a 1250° (ghisa grigia) e perciò nel forno si debbono poter facilmente raggiungere temperature varianti fra 1450° ÷ 1600°.
Lavorazione al cubilot. - Si è detto che un tipo comune di forno, in uso nella fonderia di ghisa, è il cosiddetto cubilot.
Il forno a cubilot si riduce, nella sua più semplice espressione, ad un cilindro di lamiera con altezza da 4 a 6,5 m. in rapporto col diametro interno variabile da 0,50 a 1 m. (fig.1), secondo la produzione oraria che si vuol ottenere. Un forno di m. 4 d'altezza e di m. 0,50 di diametro interno può fornire circa 1 tonn. all'ora di ghisa liquida, mentre uno di m. 6 di altezza e di m. 1 di diametro può darne fino a 7 tonn. Il forno è rivestito all'interno di mattoni di chamotte dello spessore di 200 ÷ 300 millimetri a seconda del diametro. L'altezza del piano di carica è regolata dalla considerazione che per risparmiare combustibile è bene che i gas combusti cedano il loro calore alla carica e non escano ad una temperatura superiore ai 150° ÷ 200°: essa è in funzione del diametro. Alla base del cubilot mediante appositi ugelli si soffia aria sotto pressione fornita da ventilatori rotativi o centrifughi. Contrariamente a quanto avviene nell'alto forno, l'immissione dell'aria non deve qui favorire nessuna riduzione o reazione chimica, ma solo servire alla combustione del coke per ottenere la fusione della ghisa, ed in modo che i prodotti della combustione contengano la maggior quantità possibile di anidride carbonica e la minore d'ossido di carbonio. È invece importante, sempre allo scopo di ottenere una fusione rapida della ghisa, che l'aria di combustione sia distribuita in tutta la sezione in abbondanza e con ugelli razionalmente disposti. In alcuni tipi di forni si hanno anzi due piani di ugelli. La sezione degli ugelli deve esser scelta in modo che l'aria non risulti eccessivamente strozzata, e dipende dalla marcia del forno, dal tipo di ghisa e di combustibile adoperato, ecc., e perciò varia da 1/2 a 1/7, della sezione del forno. Quando siano adottati due piani di ugelli la sezione di quelli posti nel piano superiore è uguale a 1/3 ÷ 1/2 di quella totale. L'altezza degli ugelli dal piano della suola dipende tra l'altro dal genere di lavorazione: se la ghisa viene colata di frequente, essa varia da 175 a 380 mm; se meno di frequente e in maggiore quantità, l'altezza deve esser maggiore. Come regola generale il cubilot deve lavorare con la massima quantità di aria soffiata alla minima pressione possibile e in modo che il rapporto "sezione degli ugelli: sezione del forno" risulti il massimo. La pressione dell'aria, secondo la quantità del coke, la qualità della ghisa che si vuole ottenere e la quantità e velocità in cui l'aria stessa è soffiata, varia da 150 a 250 mm. di colonna d'acqua. Quando il cubilot deve poter fornire forti quantità di ghisa in una sola volta, viene ordinariamente munito di un crogiolo ove si raccoglie il metallo, volta a volta che fonde, e dove, pur restando caldo, viene sottratto all'effetto della zona di combustione (fig. 2). La ghisa liquida, al momento della colata, viene versata in secchie azionate meccanicamente per i grossi cubilot, in crogioli a mano per i piccoli. Sopra al piano di carica del cubilot vi è ancora un cilindro di lamiera di altezza variabile, che serve da camino e impedisce la fuoruscita di scintille.
Il consumo di coke necessario per la fusione della ghisa dipende dalla sua qualità (ceneri, potere calorifico, pezzatura, ecc.) e da quella della carica, e varia dal 10 al 13% comprendendo in questa cifra anche il combustibile di dotazione del forno, cioè quel combustibile che serve a scaldare il forno prima della fusione.
Prima che il cubilot sia messo in marcia occorre riparare il rivestimento murario, e cioè suola, pareti, foro di colata, ecc. Particolari cure si debbono avere per il foro di colata, affiché non risulti troppo grande e perché non vi sia il pericolo che durante l'operazione lasci sfuggire improvvisamente parte della ghisa raccolta sul fondo del crogiolo. Si comincia quindi a riscaldare il forno prima con legna indi con coke riempiendolo fino alla zona di fusione. Quando il coke è incandescente s' inizia l'infornamento della carica, portata al piano di caricamento mediante appositi ascensori. I materiali ghisa e coke vengono caricati divisi in strati alternati; lo spessore del coke deve essere tale che la quasi totalità dell'ossigeno contenuto nell'aria soffiata lo attraversi trasformandosi in anidride carbonica ed impedendo così che ossigeno libero venga in contatto col ferro, ossidandolo: lo spessore migliore varia da 130 a 160 mm. A neutralizzare le ceneri contenute nel coke, la sabbia aderente ai pani di ghisa e lo zolfo in essa contenuto, si fanno anche aggiunte di calcare (dal 20 al 50% del peso del coke) che serve alla formazione delle scorie.
Quando in fondo al crogiolo si è raccolta una certa quantità di ghisa, si apre il foro di colata e la ghisa raccolta in una secchia guarnita di materiale refrattario viene versata nelle staffe. Il defluire della ghisa nella secchia di colata viene arrestato quando al foro di colata si presenta la scoria. Questa viene di tanto in tanto eliminata facendola uscire da un apposito foro situato a un livello superiore a quello di colata.
Il calo nella ghisa varia fra 3 ÷ 8% ed è dovuto a quella parte di ferro, manganese e silicio che passa nella scoria e a quella parte di ferro che va perduta sotto forma di gocce, di scintille, ecc. La perdita di manganese può arrivare fino al 25%, mentre lo zolfo, a causa di quello contenuto nel coke può aumentare anche del 35 ÷ 40%.
Lavorazione al forno a fiamma. - Quando si vogliono ottenere qualità speciali di ghisa (specialmente a basso tenore di carbonio) o quantità assai rilevanti per grossi getti (cilindri di laminatoio, grossi cilindri per motori a gas, ecc.) si ricorre al forno a fiamma, il quale offre anche il vantaggio di rendere possibile il prelevamento di provette di metallo durante l'operazione, permettendo così di seguirne la variazione di composizione.
Il forno a fiamma si riduce a un forno a suola scaldato coi prodotti della combustione di carbone a fiamma che brucia, su una griglia annessa al forno, e separata dalla suola con un muretto (fig. 3). La suola del forno è di solito di natura acida, costruita cioè con sabbia quarzosa, come pure di silice sono tutte le murature. Il forno poi è solidamente armato e ancorato con placche e tiranti per resistere alle dilatazioni. Normalmente i forni a fiamma sono a tiraggio naturale e perciò occorre avere un camino notevolmente alto; questo tiraggio è tuttavia regolabile mediante appositi registri posti sul canale dei gas combusti. Poiché questi giungono al camino a temperatura elevata, è possibile dare ad essi una forte velocità; ma se questa da una parte è favorevole per ottenere una combustione rapida sulla griglia e per poter facilmente elevare la temperatura nel laboratorio, dall'altra agisce in senso sfavorevole sul consumo di combustibile. In alcuni forni si è cercato di riunire la forte velocità dei gas all'economia di combustibile facendo la vòlta a "dorso di cammello" (fig. 4). Si ottiene così un aumento del volume del laboratorio e quindi una diminuzione, in esso, della velocità dei gas e per conseguenza un miglior rendimento termico. Questo aumento è anche dovuto al calore riverberato dalla vòlta. Il consumo di carbone varia, a seconda del tipo di forno, della costruzione più o meno razionale, della capacità, della qualità del metallo prodotto ecc., dal 20 al 40% del prodotto.
Per la lavorazione al forno a fiamma il materiale da fondere viene caricato nel forno freddo, e subito dopo viene acceso il carbone sulla griglia. In principio dal camino esce una forte quantità di fumo perché il forno e la carica sottraggono una tale quantità di calore che le materie volatili distillate nella combustione non raggiungono la temperatura di accensione. Col progredire dell'operazione aumenta la temperatura della carica e del forno di modo che i gas distillati s'incendiano, e la fiamma che ne risulta è nettamente ossidante per la presenza costante di un eccesso d'aria. Si ha in questo periodo l'ossidazione, in ordine d'importanza, del manganese, silicio, carbonio e ferro; ma quando la carica è completamente fusa e quindi coperta dalla scoria, l'azione ossidante della fiamma sul metallo diminuisce di molto. Raggiunta la temperatura di colata, il metallo viene raccolto in una secchia e versato nelle staffe.
Lavorazione ai forni elettrici. - In questi ultimi anni si va diffondendo anche nelle fonderie di ghisa l'impiego di forni elettrici i quali, pur presentando gli stessi vantaggi dei formi a suola, hanno ancora quello di poter portare e mantenere ad alta temperatura la ghisa. Questo fatto, come risulta da studî recenti, ha una notevole influenza sulle proprietà meccaniche della ghisa ottenuta, sulla formazione e grossezza delle lamelle di grafite, ecc.
Sabbie da fonderia. - Per ottenere un getto di forma determinata è necessario che la ghisa fusa sia colata in uno stampo che rappresenti a rovescio il pezzo che si vuol ottenere, che presenti cioè un vuoto o un pieno dove sul pezzo deve essere un pieno o un vuoto. Per la preparazione degli stampi è usata una sabbia speciale detta sabbia da fonderia, ed essa viene distinta, appunto, in corrispondenza alle necessità della formatura, in sabbia per staffe e sabbia per anime. Per staffa s'intende un telaio di ghisa o acciaio in cui la sabbia è compressa, attorno a un modello, generalmente di legno, avente le forme del pezzo da colare. Per anima s'intende quella parte della formatura di un getto, che viene a trovarsi, durante la colata, completamente circondata da metallo e che serve a ottenere in corrispondenza di sé stessa un vuoto nel pezzo fuso.
La sabbia da fonderia deve possedere alcuni requisiti speciali, e cioè avere un punto di fusione superiore a quello della ghisa, una coesione e plasticità che permetta la formatura, e grande porosità per permettere l'uscita dei gas che si sprigionano dalla massa della ghisa fusa. La maggiore o minore refrattarietà dipende dal contenuto in ossidi di ferro, calcio, magnesio e in alcali. Una buona sabbia da fonderia non deve contenere più del 6% dei primi, del 2,5% di ossidi di calcio e magnesio, del 0,75% di alcali. La plasticità dipende dal contenuto in argilla, agendo questa da sostanza agglomerante i varî granelli di quarzo che compongono la sabbia. Sabbie contenenti meno del 15%, di argilla sono plastiche solo in quanto siano umide (col 6 ÷ 10% d'acqua) e vengono adoperate solo per getti colati in staffe non seccate (in verde), mentre sabbie plastiche, contenenti cioè più del 15% di argilla, dopo la formatura possono essere essiccate e divenire dure e resistenti. La permeabilità ai gas, o porosità, dipende dalla grossezza e forma dei granelli di cui è costituita e dalla quantità di argilla, e quindi diminuisce con l'aumentare della plasticità. La grossezza dei grani di sabbia ha anche importanza sulla superficie esteriore dei getti che risulta tanto più liscia quanto più la grana della sabbia è fina. Per ottenere una sabbia che riunisca al massimo grado tutti i requisiti necessarî, si ricorre frequentemente a miscele di tipi diversi. La sabbia già usata per una fusione perde di plasticità, e quindi per poter esser utilizzata nuovamente va mescolata con altra fresca.
Uno schema d'impianto per la lavorazione della sabbia da fonderia è rappresentato alla fig. 5. La sabbia fresca, giungendo dai depositi, passa, se necessario, in un essiccatoio a dal quale viene condotta in un laminatoio o sotto una molazza per esser ridotta in polvere; quindi viene vagliata in c: la parte a grossezza voluta è immagazzinata nel silo d, mentre la parte ancora grossa viene ricondotta alla molazza. La sabbia già usata, invece, dopo esser stata pulita in e mediante arrostimento delle impurezze che contiene (carta, stracci, legno ecc.), passa in un laminatoio b ed in un separatore magnetico g per esser liberata dai pezzi di metallo che contiene. Dal separatore la sabbia viene raccolta nel silo i. La voluta miscela viene ottenuta prelevando sabbia fresca, quella usata, nonché polvere di carbone dai singoli depositi d, i, l, mescolandole in macchine apposite (mescolatrici) e inumidendole con getti d'acqua m; quindi portando il tutto nei disintegratori o. L'aggiunta di polvere di carbone nella misura del 5 ÷ 14% viene fatta per impedire che i granelli di sabbia a contatto della ghisa liquida fondano agglomerandosi tra di loro e attaccandosi alla superficie del getto.
In quanto alla sabbia per la preparazione delle anime, essa deve rispondere più particolarmente ai seguenti requisiti: avere porosità sufficiente; resistere al calore senza provocare screpolature nell'anima; permettere che l'anima, dopo il raffreddamento del getto, possa facilmente rompersi ed essere estratta; permettere che l'anima non si deformi. Per soddisfare contemporaneamente a tutte queste condizioni, si usa adoperare sabbia che contenga poca argilla. Ad essa si mescola un po' di sabbia da staffe, e se ne ottiene la coesione con agglomeranti speciali, quali colofonia, melassa, olio, ecc. (per es.: 93 ÷ 94 parti di miscela di sabbia e 6 ÷ 7 parti di colofonia). Per la confezione delle anime si può usare anche sabbia grassa che si rende più magra con aggiunta di silice; la porosità è ottenuta mescolandovi sostanze organiche (per es., 20 parti di paglia tritata).
Formatura. - Si è già detto che per ottenere un getto occorre prima preparare la forma che deve contenere il metallo fuso. Questa forma viene preparata comprimendo entro la staffa o telaio, ordinariamente di ghisa o acciaio, la sabbia attorno a un modello, il più delle volte in legno, del pezzo da riprodurre. I modelli vengono costruiti di legno ben stagionato che non presenti nodi (per solito legno di cirmolo), con dimensioni rispetto a quelle del pezzo che deve essere fuso, aumentate di 1/100 per tener conto del ritiro che subisce la ghisa nel raffreddamento. Secondo la forma dei getti i modelli possono essere in un sol pezzo o in due metà. Per la fabbricazione delle anime si usano forme in legno che son conosciute sotto il nome di casse d'anima.
La forma più semplice della staffa è quella di scatola rettangolare o quadrata priva di fondo e di coperchio, munita all'esterno di appendici le quali servono a congiungere insieme due o più elementi per formare una staffa più grande. Le figg. 6-9 rappresentano varî tipi di staffe. La formatura di una staffa avviene pigiando la miscela di sabbia, precedentemente preparata, sul fondo, fino a ottenere un piano sul quale viene posato il modello attorno e sotto al quale viene pigiata altra sabbia (a mano o con utensili speciali o pestelli pneumatici). Quando i modelli sono divisi in due parti, ognuna di esse viene formata in una staffa separata: tolto il modello in legno, le due staffe sono unite tra di loro, e dopo aver messo a posto l'anima se necessaria, la formatura è ultimata (fig. 9).
La fig. 10 mostra chiaramente come avvenga la formatura di una puleggia. Il modello è formato in due mezze staffe, nell'interno delle quali, dopo che sono state riunite, viene posta l'anima che darà il foro per il passaggio dell'albero. Nella figura si vede anche il foro per l'entrata della ghisa e quello per l'uscita dell'aria. Per impedire che la sabbia aderisca alla superficie del getto si usa spalmare la superficie interna della formatura con una sostanza infusibile, generalmente una miscela di grafite e polvere di carbone di legna stemperato in acqua con un agglomerato, ordinariamente argilla. Per ottenere getti sani è indispensabile che essi siano colati con una materozza molto abbondante la quale col metallo contenutovi fornirà la ghisa liquida necessaria a riempire le cavità del getto determinate dal ritiro del metallo.
Quando si debbano formare dei pezzi piccoli in serie molto numerose, la formatura a mano non riuscirebbe economica, né sarebbe possibile usare modelli di legno perché sarebbero presto deteriorati. In questi casi si ricorre a modelli metallici (ghisa, acciaio, leghe di zinco e piombo, piombo e antimonio) e alla formatura meccanica.
Lo sviluppo della formatura meccanica è stato in questi ultimi anni assai grande per i numerosi vantaggi che essa porta con sé, tra i quali economia di mano d'opera e di spazio, maggiore produzione, maggior precisione della formatura, ecc. Le macchine a formare possono essere raggruppate secondo diversi punti di vista, e cioè sia secondo l'uso al quale sono destinate, sia per il modo come sono azionate, sia per qualche altra particolarità. Rispetto al genere del lavoro compiuto, si distinguono in macchine per formare staffe; macchine per formare anime; macchine per il piazzamento delle anime. Ognuna di queste classi comprende poi molte suddivisioni secondo che le macchine sono azionate a mano con pressione idraulica o con mezzi meccanici (a pressione, a scosse, ecc.). Non è possibile descrivere il funzionamento dei singoli tipi. Il principio comune è di comprimere fortemente la sabbia contro il modello in modo da ottenere rapidamente la formatura perfetta evitando l'opera lunga e costosa della compressione della sabbia con la mano dell'uomo. La macchina a scosse è in particolare basata sul principio che la densità apparente di una massa composta di granelli di diverse grandezze aumenta notevolmente quando la massa è sottoposta a urti ripetuti e continuati. In una macchina di questo tipo (fig. 11), in un cilindro robusto munito di fori per l'ingresso e l'uscita di aria compressa, vi è uno stantuffo mobile terminato con una testa a forma di piatto. Sul piatto superiore trova posto, ove viene fissata, la staffa ripiena di sabbia col relativo modello. Aperto l'accesso all'aria, lo stantuffo si alza fino a che la base di esso raggiunge il livello del foro di scarico. Automaticamente l'accesso d'aria sotto pressione viene interrotto e lo stantuffo ricade per peso proprio per rialzarsi nuovamente col riaprirsi dell'aria. Normalmente le macchine lavorano a 4 ÷ 6 atm. con 120 ÷ 150 colpi al minuto. Le figg. 12-15 rappresentano alcuni tipi principali di macchine per formatura.
Alcuni grossi getti possono venire formati senza modello, utilizzando solamente una sezione della loro forma (formatura a sagoma). In questo caso una sezione del pezzo da formare viene fatta ruotare nella sabbia intorno a un asse longitudinale o verticale, sagomando la sabbia stessa con forma uguale a quella del pezzo da fondere (fig. 16).
Le staffe per piccoli pezzi, che contengono cioè poca quantità di ghisa, possono essere colate appena formate o, come si dice, "in verde". Quelle invece per getti di maggiore importanza e che contengono grandi quantità di metallo debbono essere essiccate in appositi forni a circa 300°, costituiti da camere nelle quali sono fatti passare i prodotti della combustione di coke bruciato con eccesso d'aria, su una rigida griglia esterna ad esso. Il consumo di coke varia da kg. 3 a 4 per mc. di forno. Più recentemente in America si usano anche stufe riscaldate elettricamente. L'essiccamento deve essere lento o graduale per impedire screpolature nella massa della sabbia. Talvolta le staffe invece di essere essiccate in stufa sono asciugate sul posto (specialmente nel caso di grossi getti) usando stufe portatili che soffiano aria calda nell'interno delle staffe stesse (fig. 17). Dopo che i getti sono stati colati e raffreddati vengono distaffati e puliti della sabbia rimasta aderente alla loro superficie, smaterozzati, sbavati, ecc.
I getti grossi sono generalmente sbavati con utensili pneumatici e la rifinitura può essere talvolta completata con piccole mole portatili collegate ad alberi flessibili. Piccoli getti, purché di grandezza simile e privi di parti molto sottili, possono essere liberati dalla crosta di sabbia e da piccole bave introducendoli in robusti tamburi di ferro ruotanti intorno al loro asse orizzontale. In seguito agli urti reciproci la crosta di sabbia e le piccole bave cadono naturalmente (fig. 20). Un altro sistema di pulitura dei getti, assai diffuso, consiste nell'esporre il pezzo da sbavare all'azione di un getto di sabbia sotto pressione. La sabbia deve essere perfettamente asciutta, vagliata, a spigoli vivi. La pressione, ottenuta con aria compressa, varia da 0,4 a 2 kg./cmq. a seconda della grandezza dei getti e se si tratta di ghisa o di acciaio. Il sistema più semplice è quello in cui la sabbia viene aspirata per la rarefazione prodotta da un getto di aria sotto pressione (fig. 18). Altro sistema consiste invece nel far uscire la sabbia sotto pressione da un recipiente chiuso nel quale sia immessa aria compressa (fig. 19).
Per la pulitura dei grossi getti, la sabbia è portata al posto di lavoro con tubazioni speciali e gli operai protetti con maschere dalla polvere: nel caso di getti piu piccoli questi sono mcchiusi entro camere nelle quali sono sottoposti ai getti di sabbia.
Una particolare lavorazione della fonderia di ghisa è rappresentata dalla fabbricazione di tubi per condotte di acqua o gas per i quafi si richiede un'attrezzatura speciale e la cui formatura può essere fatta meccanicamente. La fig. 21 rappresenta una staffa pronta per essere calata nella fossa, la fig. 22 rappresenta alcuni tipi di supporti di anime per tubi, la fig. 23 rappresenta invece una macchina per la formatura meccanica. Essa è composta di un'armatura che sorregge l'apparecchio di stampatura, il quale è mobile in senso verticale e si sposta gradualmente verso l'alto mediante un sistema di leve ad ogni giro dell'albero motore. Nella fabbricazione dei tubi è stato recentemente introdotto un nuovo metodo basato sul principio della forza centrifuga secondo il quale un corpo animato da un movimento di rotazione tende ad allontanarsi con tanto maggior forza quanto più forte è la sua velocità di rotazione. I primi tentativi di produzione di getti basati su questo principio rimontano al 1809; furono perfezionati in seguito fino al sistema Briede, brevettato nel 1910 (v. tubo).
Ghisa malleabile. - Una speciale qualità di ghisa, con la quale pure si fabbricano getti, è quella chiamata malleabile. Essa, oltre ad una resistenza alla trazione più alta che non la ghisa grigia comune, possiede anche un certo allungamento; e per tali sue caratteristiche può, in molti casi, sostituire l'acciaio fuso. La fabbricazione di questo materiale, diffusa soprattutto in America, è basata sulla trasformazione, con opportuno trattamento termico, della ghisa bianca dura in ghisa dolce. Condizione essenziale affinché il trattamento raggiunga il suo scopo è che lo spessore dei getti non superi i 25 mm.
Il trattamento avviene in forni speciali e secondo due procedimenti diversi: 1. Trattamento in forni contenenti sostanze capaci di cedere ossigeno (ossido di ferro, scaglia di fucinatura e laminatoio), nelle quali vengono immersi i pezzi da trasformare. Hanno luogo le seguenti reazioni: scissione del carburo di ferro (cementile) in carbonio di ricottura e ferro puro (Fe3C = 3 Fe + C) e ossidazione del carbonio di ricottura per mezzo dell'anidride carbonica (C + O2 = CO2, CO2 + C = 2CO, 2CO + O2 = 2CO2). Il processo è continuo. Il prodotto ottenuto ha frattura bianca e prende il nome di ghisa malleabile bianca. 2. Trattamento in forni nei quali i getti sono racchiusi in ambiente neutro (p. es. sabbia) e nei quali avviene la sola reazione della scissione del carburo di ferro come detto più sopra. In questo caso tutto il carbonio contenuto nella ghisa del getto viene a trovarsi sotto forma di carbonio di ricottura: la sezione del getto è grigia e la ghisa ottenuta prende il nome di ghisa malleabile grigia. Una sottospecie di questo genere di getti è quella detta ghisa malleabile a cuore nero. Il trattamento ha luogo in forni nei quali è contenuta una sostanza leggermente ossidante (sostanze ossidanti già usate col primo procedimento): la ghisa che se ne ricava ha uno strato superficiale bianco ed il nocciolo grigio.
La trasformazione chimica che avviene nella composizione di una ghisa prima (I) e dopo (II) il trattamento è la seguente:
Il valore 1,97 comprende grafite + carbonio di ricottura (per le proprietà caratteristiche della ghisa malleabile v. ghisa).
La ghisa fusa destinata ad essere trasformata in malleabile deve essere bianca, cioè non deve contenere grafite, la quale impedirebbe il normale svolgimento del processo di ossidazione creando dei punti deboli. Tipi adatti per la trasformazione sono:
La fusione della ghisa, che deve poi essere trasformata in malleabile, può avvenire in qualunque tipo di forno; la carica è fatta mescolando generalmente diverse qualità di ghisa ed aggiungendo una certa quantità di rottami d'acciaio. Nella formatura dei getti, poi, occorre portare molta attenzione alla suddivisione delle masse metalliche evitando spigoli ed angoli vivi i quali possono essere origine, nel susseguente trattamento termico, molto più facilmente che non nei getti di ghisa comune, di rotture e cricche. I pezzi aventi spessori forti possono poi presentare, nel centro, zone grigie ricche di grafite che facilmente possono compromettere la buona riuscita del trattamento e perciò, come è già stato detto, è consigliabile che gli spessori dei pezzi di ghisa malleabile non superino i 25 mm. Il ciclo di lavorazione di questo prodotto è per la ghisa malleabile bianca e grigia il seguente: 1. Ghisa malleabile bianca: i getti, dopo essere stati colati e distaffati, vengono chiusi in cassette metalliche riempiendo gl'interstizî con sostanze ossidanti, e queste cassette alla loro volta sono messe in un forno: uno di questi, riscaldato a coke, è rappresentato nella fig. 24. La durata di queste cassette varia da 8 a 12 trattamenti, se costruite in ghisa, da 20 a 25 trattamenti se costruite in acciaio, più ancora se costruite in acciaio inossidabile (con elevato tenore di Cr e Ni). Secondo la composizione chimica e lo spessore dei getti, secondo la dimensione delle cassette di ricottura, il processo termico dura circa 8 giorni dall'inizio del riscaldo alla fine del raffreddamento che deve essere molto lento. La temperatura di ricottura deve essere uniforme in tutto il forno e variare tra 850° e 1000°. Il consumo di combustibile con riscaldamento a carbone è di 100 ÷ 180 kg. per 100 kg. di getti trattati; con riscaldamento a gas di 70 ÷ 140 kg. 2. Ghisa malleabile grigia: i getti da ricuocere sono caricati in cassette e gl'interstizî riempiti con sabbia o con miscela di minerale ossidante nuovo e usato nella proporzione da 1 : 6 a 1 : 7. La temperatura di ricottura viene ordinariamente raggiunta in 36 ore; le cassette sono mantenute a questa temperatura (870° ÷ 900°) per 70 ore, quindi in altre 36 ore la temperatura è portata fino a 600°. A questo momento le cassette sono estratte dal forno e lasciate raffreddare all'aria. La sbavatura e pulitura dei getti di ghisa malleabile viene eseguita come nel caso di getti comuni.
Acciaio. - I primi getti in acciaio risalgono al 1851 quando la ditta Krupp riuscì a colare un lingotto di 2150 kg. riunendo l'acciaio di molti crogioli. Nella stessa epoca J. Mayer della Bochumer Verein riuscì a colare l'acciaio dei crogioli in una staffa in sabbia, e da allora la pratica di fondere acciaio in getti è andata continuamente divulgandosi e perfezionandosi tendendo a sostituire sempre più i getti in ghisa.
Per la fusione dell'acciaio si usano tutti i tipi di forno, e cioè: forni Martin acidi e basici, Bessemer e Thomas, forni elettrici. I forni Martin (generalmente a suola acida) hanno di solito piccola capacità (5 ÷ 10 tonn.) e si prestano bene anche per getti di una certa importanza, ma hanno l'inconveniente di richiedere continuità di marcia. I Bessemer differiscono da quelli impiegati per la grossa produzione di acciaio perché generalmente l'aria, anziché essere soffiata dal fondo, è soffiata in superficie allo scopo di diminuire il ribollimento violento del bagno e le perdite per ossidazione: essi hanno normalmente una capacità di 2 ÷ 3 tonn. e sono alimentati con ghisa fusa al cubilot. Molto correntemente è oggi usato il forno elettrico perché oltre alla possibilità di produrre qualsiasi tipo di acciaio offre anche il vantaggio di una grande elasticità di marcia.
La formatura, come per la fonderia di ghisa, è fatta con sabbia speciale refrattaria contenuta entro staffe di metallo, ed è costituita da una miscela di diversi tipi di sabbia per ottenere la voluta plasticità e coesione; quindi in ogni fonderia occorre provvedere a un impianto per la lavorazione delle sabbie. Tutte le staffe devono essere accuratamente essiccate.
I getti finiti e distaffati passano alla sbavatura, ove con martelli e scalpelli pneumatici vengono liberati dalla materozza e dalla sabbia aderente. Se i getti presentano difetti superficiali possono essere riparati mediante saldatura (ossiacetilenica o elettrica). Poiché i getti hanno in generale forma irregolare, il loro raffreddamento non avviene uniformemente in ogni punto del loro intenno e sussistono perciò notevoli tensioni interne che talvolta possono portare anche alla rottura spontanea del getto. Per eliminarle si ricorre alla ricottura dei getti prima che questi siano avviati alla lavorazione meccanica, in forni scaldati a olio pesante o a gas, nei quali la temperatura viene lentamente portata fino a 900°. Il consumo di olio pesante si aggira intorno a kg. 7 per ogni tonnellata di getti ricotti. È indispensabile che la temperatura sia innalzata lentamente e dolcemente, come pure lento deve essere il raffreddamento. La durata della ricottura varia da 8 a 20 ore a seconda della dimensione dei pezzi. Per la fusione di piccoli getti in serie è anche qui utilizzata la formatura meccanica.
Tanto nel caso della fonderia di ghisa che della fonderia di acciaio, specialmente se si tratta di lavorazioni in serie (elementi per radiatori, parti di automobili, ecc.), è della massima importanza lo studio del problema dei trasporti delle staffe e dei pezzi fusi nei varî reparti di lavorazione. Infatti tutte le operazioni di una fonderia richiedono un notevole movimento di materiali e per conseguenza un grande impiego di mano d'opera. Allo scopo di ridurre le spese di costo, si è riusciti a trasformare radicalmente il movimento dei materiali sostituendo alla costosa mano d'opera mezzi meccanici quali nastri e rulli trasportatori, apparecchi di sollevamento ad aria compressa, ecc. Unitamente a queste applicazioni meccaniche è stato studiato soprattutto dalle fonderie americane (quella della Ford prepara giornalmente i pezzi necessarî al montaggio di 7000 automobili) anche il ciclo di lavorazione più razionale per ridurre al minimo il numero dei movimenti dei pezzi.
Bibl.: C. Geiger, Handbuch der Eisen- und Stahlgiesserei, voll. 3, Berlino 1925-28; W. Rawlinson, Modern foundry operations and equipment, Londra 1928; A. Lelong e M. e E. Mairy, Traité pratique de fonderie, Parigi 1929; C. Busquet, La fabrication de la fonte malléable, Parigi 1929; L. Mugnani, Manuale pratico di fonderia, Milano 1928.
Fusione delle principali leghe del rame.
Bronzi e ottoni. - Il rame è un metallo che, per le sue caratteristiche meccaniche e fisiche particolari (grande malleabilità, duttilità e tenacità, forte conducibilità termica ed elettrica, considerevole resistenza all'ossidazione, ecc.), trova frequentemente impiego, solo o in lega con altri metalli, nelle costruzioni meccaniche. Fra i metalli che più comunemente si aggiungono in lega col rame vanno innanzitutto menzionati lo stagno e lo zinco che esercitano sul rame un effetto indurente. Si ottengono nel primo caso i bronzi, nel secondo gli ottoni. Mentre gli ottoni s' impiegano per lo più laminati o in pezzi stampati, i bronzi vengono frequentemente fusi in getti le cui proprietà meccaniche se sono inferiori a quelle dei getti di acciaio, risultano superiori a quelle dei getti di ghisa, e presentano inoltre il grande vantaggio della considerevole resistenza all'azione degli agenti atmosferici. Storicamente, la fonderia delle leghe del rame ha preceduto quella della ghisa e dell'acciaio. La fonderia dei bronzi per ricavarne vasi, specchi, scudi, monete, era in uso in civiltà remotissime (v. bronzo).
Tipi di bronzi da fonderia. - Com'è stato già detto (v. bronzo), la durezza e la fragilità del bronzo aumentano col crescere del tenore di stagno. Il bronzo al 10% di stagno è malleabile a freddo ed è fornito di buone proprietà meccaniche: costituisce il bronzo tipico o bronzo cannone di grande importanza industriale. Il bronzo col 16% di stagno ha un allungamento percentuale pressoché nullo, ma è utilizzato industrialmente come bronzo da cuscinetti. Col 20 e 25% si hanno bronzi molto duri, fragili, a grana grigia assai fina e dotati di grande fluidità: sono i msiddetti bronzi per campane. Col 30-35% di stagno si hanno bronzi durissimi, di color grigiastro, che acquistano per pulitura una bella lucentezza inalterabile: sono i bronzi da specchi che, tuttavia, per il loro costo, sono oggi fuori d'uso.
Oltre al rame e allo stagno, il bronzo può contenere altri elementi capaci di dargli proprietà e caratteristiche particolari. Si hanno così bronzi allo zinco, al piombo, al ferro, al manganese, al fosforo, ecc. I bronzi allo zinco contengono ordinariamente 1-2% di questo elemento: talvolta anche di più. Lo zinco aumenta la fluidità, diminuisce le soffiature, attenua le liquazioni del bronzo; ne peggiora però lievemente la resistenza e la duttilità. Ecco le composizioni di alcuni bronzi allo zinco: per monete e medaglie, rame 86-88%, stagno 4,2%, zinco tracce; per ingranaggi, premistoppa ecc., rispettivamente, 87,5%, 10,50Ó, 2%; per rubinetterie di macchine a vapore, 88%, 8%, 4%; per segmenti di pistoni, 88%, 3%, 9%; bronzo "Fenton" antifrizione, 55,6%, 27,8%, 16,6%.
Nei bronzi al piombo questo elemento non entra in lega col rame o con lo stagno ma tende, a causa del suo punto di fusione assai basso e della sua forte densità, a raccogliersi nella parte bassa del getto, tanto che si consiglia in pratica, quando si debba fondere del bronzo con elevato tenore di piombo, di girare di 180° le staffe non appena colato per contrastare il movimento discendente del piombo stesso. I bronzi al piombo vengono adoperati nella fabbricazione di pezzi soggetti a sfregamento (cuscinetti) nei quali sembra che il piombo eserciti un'azione autolubrificante. Seguendo quest'ordine d'idee si è anzi successivamente aumentato il tenore di piombo per questi pezzi sino ad arrivare a composizioni comprese fra i seguenti limiti: rame 64-77%; stagno 6-8%; piombo 15-30%. A prescindere da questi casi particolari la presenza di piombo nel bronzo meccanico dev'essere generalmente evitata, giacché essa nuoce alle proprietà meccaniche ed ai requisiti di omogeneità, impermeabilità, ecc.
Il ferro, il manganese e, più raramente, il silicio, sono usati come disossidanti del bronzo. Nei bronzi al ferro questo elemento aumenta la resistenza della lega ma ne diminuisce la duttilità. Nei bronzi al manganese tutte e due queste caratteristiche vengono invece migliorate.
I bronzi al fosforo o bronzi fosforosi si ottengono aggiungendo al bronzo comune piccole quantità di fosforo sotto forma di rame o di stagno fosforoso. Il fosforo indurisce il bronzo e ne migliora in generale la qualità riducendo l'ossidulo di rame che si trova disciolto nel rame fuso; più incerta è invece la sua azione riducente sull'ossido di stagno perché questo non si presenta "disciolto" ma solo "disperso" nel bagno metallico. La disossidazione del bronzo con fosforo, quando si prepari il metallo "di prima lega", sarà quindi conveniente eseguirla dopo la completa fusione del rame, e prima dell'aggiunta dello stagno. Se la fusione è stata ben condotta è sufficiente aggiungere al bagno 0,01-0,02% di fosforo. Come indurente per bronzi da cuscinetti, ruote dentate, viti senza fine, eec., il fosforo viene aggiunto in proporzioni maggiori (0,2-0,3%).
I bronzi artistici, oltre al rame ed allo stagno, contengono quasi sempre anche piombo e zinco. Così alcuni bronzi statuarî contengono 92% di rame, 6% di zinco, 2% di stagno; altri 82,5% di rame, 10,5% di zinco, 4% di stagno, 3% di piombo; o 78,5%, di rame, 17,2% di zinco, 2,9% di stagno, 1,4% di piombo. Questi bronzi devono essere dotati di fluidità sufficiente affinché possano riempire perfettamente le forme e riprodurre tutti i particolari del modello; debbono inoltre potersi lavorare alla lima, allo scalpello, al bulino (v. bronzo). I bronzi statuarî con molto zinco (25%) sono particolarmente adatti per la doratura.
Da poco tempo è stata scoperta una nuova lega che si può considerare come un bronzo cannone in cui tutto lo stagno sia stato sostituito da un indurente complesso, contenente in prevalenza silicio. Questo bronzo o metallo PMG sostituirebbe vantaggiosamente il bronzo cannone perché di tecnica di fonderia più facile, di proprietà meccaniche superiori specialmente a temperature elevate, e infine di costo inferiore.
Anche il bronzo d'alluminio può esser considerato, nella sua formula, come un bronzo cannone in cui lo stagno sia sostituito integralmente dall'alluminio. È materiale molto interessante perché ha quasi, fuso, la resistenza di un buon acciaio dolce al carbonio; resiste bene all'usura ed all'azione corrosiva dell'acqua di mare e di parecchi agenti chimici (acido cloridrico, solforico, acetico, ecc.). Aggiunte di ferro (2-3%), di manganese (1%) e di nichel (5-7%) possono ancora migliorarne le qualità meccaniche e chimiche. Come lega da fonderia è però di difficile trattamento, tanto che è raro ottenere getti di bronzo d'alluminio che siano totalmente esenti da difetti.
Tipi di ottone da fonderia. - Aggiunte crescenti di zinco induriscono il rame, sebbene in misura minore di quel che non faccia lo stagno nei bronzi a parità di proporzioni.
Le proprietà meccaniche degli ottoni (resistenza ed allungamento) sono superiori a quelle dei bronzi. Assai bassa è però la loro durezza. Vengono quindi di solito usati per la costruzione di pezzi non molto sollecitati, specialmente a frizione, e che lavorano a bassa temperatura.
L'ottone formato da 80% di rame e 20% di zinco trova impiego, per il colore giallo-oro, nella gioielleria d'imitazione. L'ottone al 30-33% di zinco costituisce il cosiddetto ottone comune: è giallo, malleabile a freddo, assai duttile; può essere laminato in sottilissimi fogli. L'ottone al 4000 di zinco o metallo Muntz si presta assai bene per lo stampaggio a caldo. La lega in parti uguali di rame e zinco costituisce un ottone scadente, assai economico, non più malleabile. Infine la lega col 60% di zinco è durissima, di color bianco brillante, estremamente fragile. Per tenori di zinco superiori al 60% gli ottoni restano fragili, pur perdendo gradualmente ín durezza. Essi non hanno applicazione alcuna.
Anche agli ottoni s'aggiungono talvolta piccole quantità di altri metalli per impartir loro requisiti particolari. Così il piombo, aggiunto in proporzione dell'1%, rende ancora maggiore la malleabilità dell'ottone e ne aumenta la lavorabilità. Lo stagno si aggiunge fino al 2% a getti o pezzi stampati che debbono resistere all'acqua di mare (ottone navale). Il ferro (3-5%), il manganese (1-2%) e il silicio (2-5%) ne aumentano la resistenza alla trazione. Si hanno anche ottoni complessi, in cui gli elementi speciali aggiunti sono almeno due, che si distinguono per le loro particolari attitudini alla fucinatura, alla laminazione, ecc., o per la loro resistenza alle temperature elevate, agli agenti atmosferici, all'acqua di mare, ecc. Appartengono a questa categoria l'intera serie degli ottoni Delta che contengono, oltre al rame e allo zinco, del ferro, del manganese e del piombo; l'ottone Parson, con alluminio, ferro, stagno e manganese; il metallo Roma, con alluminio, ferro e piombo, e molte altre leghe consimili.
Forni fusorî. - I più semplici in uso presso le fonderie di bronzo e d'ottone sono i cosiddetti forni a pozzo. Essi sono preferibilmente circolari, profondi da 60 a 75 cm., spesso riuniti in batteria in un unico massiccio in muratura e connessi a un camino comune (fig. 28). I crogioli sono ordinariamente di materiale refrattario o di grafite, con capacità variabile da 25 a 200 kg. Questi forni funzionano a tiraggio naturale o forzato. Il consumo di combustibile varia, a seconda della loro capacità, da 35 a 60 kg. di coke per 100 kg. di metallo fuso.
I forni a pozzo sono essenzialmente fissi, e non trovano più impiego oramai che nelle vecchie fonderie. Avendo un elevato costo di produzione, sono stati progressivamente sostituiti da forni meccanici. Di questi ve ne sono a coke, a combustibile liquido ed elettrici. Il crogiolo è contenuto in una specie di cassa di lamiera d'acciaio rivestita internamente di mattoni refrattarî (fig. 29). La cassa può oscillare attorno a un asse orizzontale, ciò che consente di colare senza che si debba estrarre il crogiolo dal forno.
Un'altra categoria di formi, in uso specialmente nelle fonderie artistiche, è quella dei forni a riverbero; sono costituiti dal focolare e dal forno propriamente detto o suola (fig. 30). Vengono prevalentemente riscaldati con combustibile solido (carbone bituminoso a lunga fiamma). Per la fusione della grande campana di Mosca, del peso di oltre 200 tonnellate, quattro grandissimi forni a riverbero funzionarono contemporaneamente. Il loro impiego si ritiene ancor oggi giustificato quando si debbano fondere grandi quantita di metallo. Sono costosi, però, dal punto di vista del consumo di combustibile, che si aggira da 50 a 75 kg. per 100 kg. di bronzo fuso. Vi sono anche forni a riverbero più moderni, nei quali la camera del fuoco è soppressa e il riscaldamento si effettua con combustibile gassoso o liquido iniettato a mezzo di un bruciatore (fig. 31).
Ma fra tutti, il forno che tende sempre più ad affermarsi è quello a nafta rotativo senza crogiolo (tipo Charlier).
È costituito da un inviluppo cilindrico orizzontale di lamiera d'acciaio, rivestito internamente di mattoni refrattarî sagomati e chiuso alle estremità da due piastre A e B (fig. 32). L'interno del cilindro è camera di combustione e di fusione al tempo stesso. Il forno può ruotare attorno al proprio asse orizzontale per mezzo di trasmissioni ad ingranaggi conici che fanno capo al volantino R che può essere azionato a mano o con l'ausilio d'un motorino. Al centro della piastra B è fissato il bruciatore C a cui fanno capo due condotti: D ed E. Il primo, connesso ad un ventilatore, porta l'aria sotto pressione; il secondo porta la nafta, preriscaldata a 70-80° perché defluisca regolarmente, proveniente da un serbatoio G. La nafta, condotta al bruciatore, è quivi suddivisa in minutissime goccioline da un polverizzatore, mentre il vento, contemporaneamente, spinge la nebbia nel forno ove s'accende. La fiamma attraversa il forno lambendo il bagno, batte sulla piastra opposta A ed esce da L che imbocca il camino. Nei forni più perfezionati un ricuperatore consente il preriscaldamento dell'aria necessaria alla eombustione utilizzando il calore dei fumi. Durante la fusione conviene proteggere il bagno con carbone o con un fondente, dall'azione diretta della fiamma. La colata si effettua dalla bocca M ruotando il forno sino ad inclinarlo convenientemente. La capacità di questi forni varia da 100 a 2000 kg. Le cariche si fondono in un'ora circa con un consumo di nafta relativamente piccolo: da 15 a 20 litri ogni 100 kg. di metallo fuso.
In quanto a forni elettrici, ne esistono due tipi. Nel primo la parte riscaldante è costituita da una resistenza di carbone granulare racchiusa in un'intercapedine (v. forno: fig. 2). Il secondo è invece ad arco, e questo scocca fra due o più elettrodi situati sopra il metallo da fondere. Non è possibile adottare con questo sistema un forno fisso perché l'elevatissima temperatura dell'arco danneggerebbe seriamente la zona del bagno immediatamente sottostante. Si adottano perciò, per mantenere il bagno in continuo movimento, forni ad arco rotativi (v. forno: fig. 12), oscillanti (v. forno: fig. 13), orizzontali e verticali. La superficie considerevole della suola e la lieve profondità del bagno consentono - per un forno di media potenzialità (700 kg.) - l'effettuarsi di una colata ogni ora, con un consumo di energia di 270 kWh per tonn. di metallo fuso.
Procedimento di fusione del bronzo. - Per la preparazione del bronzo meccanico tipico (90% Cu, 10% Sn) si fonde dapprima il rame, proteggendolo da un'ossidazione eccessiva con uno spesso strato di carbone di legna. Quando tutto il rame è fuso e convenientemente surriscaldato (circa 1200°), si disossida completamente con fosforo, nel modo già indicato, o con altri agenti riduttori. Fra questi sono da notare specialmente il boroflux a base di sottossido di boro e magnesio metallico, il rame-silicio al 10%, le miscele fondenti a base di prussiato giallo e sali alcalini. Avvenuta la disossidazione si aggiunge lo stagno, si rimescola rapidamente e si cola. La temperatura di colata ha molta importanza per la buona riuscita di un getto: essa varia, naturalmente, a seconda delle dimensioni del getto stesso e può ritenersi ordinariamente compresa fra 1100° e 1200°. Un bronzo colato a temperatura opportuna risulterà perfettamente compatto; la frattura di un getto o di una barretta di prova dovrà apparire a grana fine ed uniforme, di color giallognolo e contornata ai bordi da una zona sottile grigia o grigio-bluastra. Quando la temperatura di colata sia invece errata, nei getti si riscontreranno sempre zone più o meno estese di color bruno, rossiccio o anche verdastro, e in corrispondenza di quelle chiazze il bronzo sarà sempre fragilissimo e poroso. Quando, anziché da metalli puri, si prepari il bronzo partendo da rottame, questo si fonderà per primo e quindi, disossidato il bagno, si faranno le aggiunte necessarie di rame o di stagno per portare il bronzo al titolo voluto. La presenza accidentale, nei bronzi di basso costo, di arsenico, bismuto, antimonio, zolfo, ecc., dannosissima sempre in quanto questi elementi rendono il metallo poco fluido, fragile e poroso, è sempre da attribuirsi a qualità scadente delle materie prime impiegate.
I bronzi presentano talvolta fenomeni di liquazione, che si manifestano specialmente quando la lega viene mantenuta allo stato fuso per un tempo piuttosto lungo. Si separa dalla massa fusa una lega ricca di stagno, e il bronzo perde in tal modo la sua omogeneità. Le liquazioni sono favorite dal fosforo, attenuate dallo zinco. Esse si combattono procurando di accelerare il raffreddamento del getto appena colato.
Procedimento di fusione dell'ottone. - La preparazione dell'ottone è più facile di quella del bronzo. Nelle ordinarie fusioni al crogiolo, quando si prepari il metallo "di prima lega", si fonde dapprima il rame coperto da uno spesso strato di carbonella, e lo si surriscalda a 1150°. Indi, tolto il crogiolo dal forno, si fanno rapidamente le aggiunte di zinco che sarà stato, nel frattempo, preriscaldato. Si rimescola bene e si cola a 1000° circa. Non occorre fare la disossidazione del rame con fosforo o altri riducenti, poiché lo zinco stesso agisce in tal senso. Se l'ottone si fabbrica utilizzando anche del rottame, si fonde dapprima il rame sotto il carbone, si aggiungono poi i rottami e infine lo zinco per le correzioni necessarie.
Terre e sabbie da fonderia. - Le buone terre da fonderia per il bronzo e per l'ottone devono essere essenzialmente dotate di grande finezza compatibile con la massima porosità. La refrattarietà potrà per altro essere minore delle terre per ghisa ed acciaio. Una buona mescolanza per forme a secco è la seguente: terra vecchia 50%, terra gialla forte 50%. Quest'ultima contiene: silice 76-80%, allumina e ossido ferrico 19-15%, calce 1-1,5%, ossido di magnesio 0,5%. La sua perdita al fuoco è del 2%.
Per forme a verde converrà rendere più ariosa la miscela diminuendo la terra nuova o aggiungendovi una quantità conveniente di terra assai magra (al 3,5-5% d'allumina).
Le anime di sabbia sono naturalmente le più ariose. Esse sono però fragili per cui, in determinate circostanze, la sabbia siliciosa può essere vantaggiosamente sostituita con miscela di sabbia e terra. Nella scelta degli agglomeranti si eviteranno in generale quelli resinosi o bituminosi. Buone mescolanze per anime complicate e fragili sono: sabbia (al 95% di silice) 92%; farina di semi di lino 4%; olio di lino 4%. Per anime più semplici: terra vecchia 2 parti; terra nuova 1,5; sabbia di lago o di fiume 1; segatura 0,75.
Sono state sperimentate con buon esito anche miscele con fecola e glucosio che, opportunamente combinate con mescolanze a base di olio di lino, permettono di ottenere anime assai solide e che acquistano una grande consistenza con l'essiccamento.
Formatura. - Sulla formatura in genere e sui suoi procedimenti varî non ci soffermeremo. Per essi rimandiamo il lettore a quanto è stato detto in proposito per la fusione di ghisa e d'acciaio. Qui si dirà soltanto brevemente dello speciale procedimento per la formatura delle campane, in parte ispirato al ben noto ed antico processo di formatura con cera perduta, in uso presso le fonderie di getti artistici e monumentali in genere.
La formatura di una campana viene eseguita attraverso la confezione successiva di tre parti essenziali: l'anima, la falsa-campana e il mantello. Il modello è costituito da una sagoma di legno duro S girevole attorno ad un albero A (fig. 33). La sagoma viene intagliata secondo il profilo interno della campana, e su di essa si disegna il profilo esterno E della campana stessa. Infisso l'asse nel suolo si costruisce intorno ad esso un'armatura dell'anima in mattoni e terra, armatura che si farà arrivare fino a brevissima distanza dal filo del modello. Nell'armatura si praticano in basso canaletti ed aperture destinati a dare facile accesso all'aria necessaria alla combustione del carbone di legna che verrà poi introdotto nell'interno dell'anima per essiccare l'anima stessa e, in seguito, le altre parti della forma. Sull'esterno dei mattoni si applica un intonaco di terra e concio che poi si liscia girando la sagoma. L'anima è così pronta e si secca. S'intaglia ora il modello al profilo esteriore E della campana e si rimette a posto. Il vuoto che viene così a formarsi fra l'anima e il modello ci dà lo spessore della campana. Si tratta ora di costruire in terra questa falsa-campana e poi di seccarla ravvivando il fuoco interno. Mentre la falsa-campana secca, s'intagliano nel modello i filetti che orneranno la campana e che delimiteranno le diciture. Si cosparge la falsa-campana di una mescolanza di cera e sego, e si rimonta la sagoma. Girando questa, si origineranno sulla superficie liscia della falsa-campana tutt'attorno i filetti di cera in rilievo in corrispondenza degl'intagli eseguiti. Sulla superficie liscia, o nello spazio fra un filetto e l'altro, si applicano le lettere e gli ornamenti già formati in cera. La falsa-campana è così ultimata e presenta esteriormente l'aspetto identico che avrà la campana vera. Si ricopre ora la falsa-campana con sottili strati di una pasta argillosa semiliquida applicata con un pennello sulla superficie e sui rilievi. Essiccati all'aria i primi strati se ne applicano dei successivi sinché il mantello che così si viene a costruire non abbia raggiunto lo spessore voluto. Quando anche il mantello - munito di sfiatatoi e canaletti per l'uscita della cera - è terminato, si ravviva il fuoco interno: la cera fonde, cola per i canaletti di scarico lasciando i corrispondenti vuoti nell'interno del mantello stesso. Quando questo è essiccato viene sollevato; si rompe la falsa-campana, si accomoda eventualmente l'anima. Si rimette il mantello a posto, si chiudono con tappi di argilla i fori dai quali si era scaricata la cera e si procede alla colata.
Leghe di rame a punto di fusione elevato. - Le leghe rame-nichel costituiscono un materiale dotato di elevate caratteristiche meccaniche, specialmente ad alte temperature e d'una buona resistenza alla corrosione. Da quelle con poco nichel (20%) si arriva a quelle ad alto titolo (68%: metallo monel) attraverso a tipi intermedî (everbrite col 31%, silveroide col 45-50% di nichel). Queste leghe si colano a temperature assai elevate, comprese fra 1250° e 1500° a seconda della loro composizione. Per fonderle si può far uso dei forni a pozzo, con crogioli di grafite o carborundum, purché si disponga di un fortissimo tiraggio e si operi con speciali accorgimenti. Il metallo monel si fonde però ordinariamente al forno elettrico. Durante la fusione queste leghe vanno protette con fondenti appropriati (borace e acido borico); come disossidanti s'impiegano manganese o silicio, e magnesio. Il requisito primo delle terre di formatura da impiegarsi per questo genere di fusioni è l'alto grado di refrattarietà. Sotto certi aspetti, determinati appunto dall'alto punto di fusione del metallo, dal suo elevato coefficiente di ritiro, ecc. la tecnica di fonderia da seguirsi per queste leghe si avvicina a quella delle fonderie d'acciaio.
Fusione delle leghe leggiere e ultraleggiere.
Alluminio e sue leghe. - La fonderia dell'alluminio è sorta in epoche assai recenti. Gl'inizî del suo maggior sviluppo risalgono a poco più di un ventennio circa, eminentemente legati al progredire delle industrie automobilistiche ed aeronautiche.
È raro però che le fonderie d'alluminio impieghino puro questo metallo. Esso infatti è dotato di scadenti qualità meccaniche, e dà luogo, inoltre, a una tecnica di fonderia alquanto difficoltosa. Queste condizioni si migliorano con opportune aggiunte di metalli indurenti, quali lo zinco, il rame, il silicio, il manganese, il nichel, ecc.
Le leghe con zinco (8-12%) furono fra le prime ad essere usate: sono leghe di basso costo, ma assai fragili a caldo e poco resistenti alla corrosione; possono essere migliorate con piccole aggiunte di rame (3%, lega tedesca). Le leghe con rame (8-12%) sono dotate di proprietà meccaniche migliori delle precedenti specialmente a caldo: quelle a tenore di rame elevato sono impiegate nella fabbricazione dei pistoni per automobili; sono suscettibili di trattamento termico. Una lega binaria di assai frequente applicazione in fonderia è oggi il silumin o alpax (silicio 13%) che ha un comportamento migliore delle precedenti a sollecitazioni di piegamento e torsione; è più leggiera dello stesso alluminio, resiste bene alla corrosione. Si fondono getti in silumin senza particolari difficoltà perché la lega è ben fluida e non fragile durante la solidificazione. Fra le leghe ternarie sono specialmente impiegate quelle alluminio-rame-silicio (lautal) e alluminio-rame-manganese (aerolite). Infine il magnesio, il ferro, il nichel, l'antimonio possono rientrare nella composizione di leghe da fonderia più complesse e suscettibili di trattamento termico quali la lega Y, la L. M., la N. 33, la K. S. Seewasser resistente alla corrosione dell'acqua marina, ecc.
Ordinariamente le leghe leggiere si fondono nei tipi di forni in uso nelle fonderie di bronzo e d'ottone. Il forno a pozzo con crogioli di grafite o di ghisa riscaldato a carbone o a nafta è ancora quello maggiormente usato. Sono stati di recente introdotti anche alcuni tipi di forni elettrici che consentono una marcia assai regolare del processo fusorio, alla temperatura più indicata, ed evitano inoltre che i prodotti della combustione, sempre presenti nei forni d'altro tipo, possano alterare o comunque deteriorare il bagno metallico. Questi forni elettrici possono essere a crogiolo o a riverbero: nei primi il riscaldamento è effettuato per mezzo di elementi termici che avvolgono il crogiolo; nei secondi gli elementi termici sono situati al disopra del bagno (fig. 34). Questi ultimi forni sono oscillanti e se ne costruiscono di capacità sino a 4000-5000 kg. Il consumo di combustibile per fondere 100 kg. di lega leggiera si aggira per i forni a coke attorno a 80-100 kg., per quelli a nafta da 180 a 350 litri e per quelli elettrici, se a crogiolo, da 70 a 80 kWh e se a riverbero da 50 a 65 kWh.
La fusione delle leghe d'alluminio in linea generale deve essere condotta rapidamente e il surriscaldamento del metallo deve sorpassare solo di poco (50° circa) la temperatura di colata più conveniente. Questa si può ritenere generalmente compresa, a seconda del tipo di lega e di getto da fondere, fra 700° e 800°. Conviene fondere l'alluminio in atmosfera un poco ossidante. In tal caso lo strato di ossido che si forma alla superficie del bagno è di grande efficacia protettiva contro azioni ossidanti ulteriori. Si lascierà tranquillo il bagno durante la fusione, schiumandolo solo al momento della colata.
Nel caso particolare del silumin si suole procedere, qualche minuto prima della colata, ad un'"affinazione" del metallo con piccole quantità di sodio metallico (da 80 a 120 gr. per 100 kg. di silumin) che viene avvolto in un sottile foglio d'alluminio e immerso e affondato nel bagno con l'aiuto di un'asta metallica terminata a un estremo da una campana bucherellata. Il sodio affina il grano del metallo fuso e ne migliora quindi le proprietà meccaniche. Detta affinazione generalmente non occorre per il metallo da gettarsi in conchiglia. I getti in alluminio devono essere alimentati da materozze più ampie e sormontati da montanti più alti che non i getti in bronzo o in ottone. L'attacco delle colate vien fatto di preferenza ad un estremo piuttosto che al centro di un getto; assai indicata è la colata in sorgente. Non è mai conveniente attaccare la colata ad una parte massiccia d'un getto quando questa sia contigua ad una parte sottile. È piuttosto preferibile, in simili casi, attaccare la colata alla sezione sottile ed accelerare il raffreddamento della parte massiccia con "refrigeranti" (di ferro, ottone, o alluminio) opportunamente disposti. Questa pratica, se accortamente seguita, dà in generale ottimi risultati.
Durante la fusione il metallo viene talvolta protetto e depurato con appropriati fondenti. Fra questi sono alquanto diffusi il cloruro di zinco (0,2% sul peso della carica), il cloruro d'ammonio, ed alcune miscele di sali come il cloruro-fluoruro di sodio (88:12), il cloruro di potassio-criolite (60:40), ecc. Il magnesio, aggiunto in piccole quantità (0,25%), agisce da degasificante.
Le terre per la formatura da impiegarsi per le leghe d'alluminio non occorre siano dotate di requisiti particolari. L'elevata refrattarietà non è essenziale, mentre invece è importantissima una grande porosità. Le forme vanno battute leggermente e uniformemente. Le anime devono essere leggiere ed alquanto cedevoli, confezionate in modo da non offrire dannose resistenze al normale ritiro del metallo. Si fanno di solito con buona sabbia di lago eventualmente mescolata con poca terra da formatura nuova. Come agglomerati sono da preferirsi quelli resinosi e la destrina.
Vanno oggidì sempre più diffondendosi i getti ottenuti sotto pressione, caratterizzati da un'ottima compattezza del metallo e quindi da migliori proprietà meccaniche e da un bello aspetto esteriore. Le leghe d'alluminio sono particolarmente indicate per questa produzione e fra di esse sono da notarsi specialmente quelle alluminio-silicio e quelle alluminio-rame. Le leghe alluminio-zinco sono più difficili a trattare per la loro fragilità a caldo, ma la già ricordata lega N. 33 e la lega 5Si, 4Cu (diff. Al) sono frequentemente usate per la fabbricazione in serie di getti di dimensioni assai precise, e che non richiedono perciò costose lavorazioni ulteriori.
Magnesio e sue leghe. - La tecnica di fonderia del metallo puro è resa assai difficile dalla sua grandissima affinità chimica per l'ossigeno, che può dar luogo a vere e proprie combustioni, e dalla sua leggerezza per cui è facile che il bagno incorpori scorie o altre sostanze estranee, o occluda aria o altri gas. La fusione delle leghe di magnesio è invece meno difficoltosa; tuttavia soltanto con particolari e opportuni accorgimenti, e attraverso ad una lunga pratica, si perviene ai migliori risultati.
Le leghe del magnesio con l'alluminio (Al 4-12%) colate in sabbia hanno una resistenza alla trazione compresa fra 14 e 19 kg./mmq.; un allungamento da 1 a 9%, una durezza Brinell di 42-60 unità; il loro limite di proporzionalità è sempre assai basso (circa 1 kg./mmq.); le loro proprietà possono essere tuttavia migliorate con un trattamento termico conveniente. Assai più note e maggiormente applicate sono oggi le leghe elektron che contengono, oltre al magnesio, alluminio (dal 4 al 10%) e piccole quantità di zinco, rame, manganese, cadmio. Fuse in sabbia hanno una resistenza alla trazione di 15-20 kg./mmq., un limite di proporzionalità di 3-5 kg./mmq., un allungamento del 2-8%, una durezza di 40-50 Brinell. Il coefficiente di ritiro dell'electron è dell'1,3% circa. Le sue proprietà meccaniche migliorano lievemente se fuso in conchiglie.
La fusione delle leghe di magnesio si effettua in crogioli di ferro accuratamente chiusi, e possibilmente in atmosfera di gas inerti. Si carica fin dall'inizio tutta la quantità occorrente di metallo. È consigliabile proteggere il bagno con adatti fondenti, come miscele saline di cloruri di magnesio e potassio (3 parti e 1 parte) con piccole quantità di fluoruri di sodio e di calcio. Il metallo si surriscalda fino a 700° circa, e si cola rapidamente e alla temperatura più bassa possibile.
Le forme, di terra assai porosa, leggermente compresse, attraversate da abbondanti sfoghi d'aria, vanno accuratamente essiccate. Anche le anime dovranno essere bene asciutte e dotate di opportuna friabilità: per queste un buon legante è il silicato di sodio. Per colare il magnesio in forme "a verde" si aggiungono alla terra di formatura dal 3 al 5% di fiori di zolfo e piccole quantità di acido borico per evitare le reazioni fra l'acqua delle forme e il metallo.
Anche per le leghe di magnesio, le fusioni in conchiglia e quelle sotto pressione hanno assunto in questi ultimi tempi sviluppi assai considerevoli.
Bibl.: A. Lelong e M. e E. Mairy, Traité pratique de fonderie, Parigi 1929; C. Vickers, Metals and their alloys, Londra 1923; M. Altmayer e L. Guillet, Métallurgie du cuivre et alliages de cuivre, Parigi 1925; R. Anderson, The metallurgy of aluminium and aluminium alloys, Londra 1925; J. Buchetti, La fonderie du cuivre actuelle, Parigi; Bureau of Standards, Light metals and alloys aluminium, magnesium, Circ. n. 346, 1927; J. Duponchelle, Manuel pratique de fonderie de cuivre, bronze, aluminium, Parigi 1923; J. Edwards, F. Frary e J. Zay, The Aluminium Industry, Londra 1930; E. Koelliker e U. Magnani, L'alluminio, Milano 1930; W. Campbell, A list of alloys, in Amer. Soc. Test. Mats, 1930.
Fusione di oggetti artistici.
Quella del fondere oggetti artistici in bronzo (per il procedimento tecnico della fusione in bronzo, v. sopra e anche bronzo) è un'arte antichissima e che si può dire continui ad essere praticata più o meno nello stesso modo che alle origini, salvo lievi perfezionamenti avvenuti in conseguenza dei moderni progressi scientifici e meccanici. Il procedimento consiste nell'ottenere che il bronzo coli liquido entro una forma costituita di terre refrattarie, ove si rapprende subito, con l'immediato abbassarsi della temperatura, conservando intatta tutta la freschezza della modellatura impressa nel cavo della forma.
Tutto sta che in quei brevi attimi della durata di qualche secondo, nei quali il metallo incandescente vien versato dal crogiolo e di lì si diffonde giù nell'interno, la sua scorrevolezza non venga a cessare o non venga mal guidata o non venga impedita. Nello stesso tempo però bisogna che tale scorrevolezza non sia nemmeno eccessiva, per soverchio calore o lega troppo facile o difetto di canalature, perché in tal caso altri inconvenienti annullerebbero egualmente il buon risultato dell'operazione. Non è dunque esagerato il dire che appunto a causa di questa sua delicata repentinità, la fusione riassume in sé tutto il procedimento creativo dell'artista. Due sono i metodi di fusione artistica possibili e in uso. Il primo e più antico è quello a cera perduta, il secondo e recente quello a staffa.
Fusione a cera perduta. - S'immagini di avere un sostegno in terra refrattaria sul quale si spalmi della cera e in questa cera si modelli man mano la statua. Se ora venga fatta sull'opera una tonaca di terra o sabbia refrattaria simile a quella del sostegno, si avrà che la statua modellata in cera è compresa tra un ripieno interno e un rivestimento esterno dello stesso impasto refrattario, costituenti come un massiccio e voluminoso involucro. A fare intorno a questo un gran fuoco, il calore scioglierà la cera, che da un foro aperto in basso colerà via; resterà così vuoto fra i due rivestimenti esattamente lo spazio occupato dalla cera. Versando ora del bronzo liquido in tale spazio, per mezzo di un foro aperto in alto, si avrà la statua fusa a cera perduta.
Questo, espresso in modo embrionale e grossolano, il procedimento, che alle sue origini fu veramente così. Ed ecco il perché del forte peso e spessore di tante statue antiche; in quanto il sostegno interno non seguendo tutti i meandri della modellatura, lo spazio riservato al bronzo risultava ineguale e spesso eccessivo. Ma con il tempo, entrato nell'uso il modellar prima le statue in creta e formarle poi in gesso (v. forma), divenne possibile trarre dalla forma a tasselli di gesso degli esemplari di statua in cera cava; in cera cioè avente quel sottile spessore di qualche millimetro che occorre e basta per il bronzo. Sicché questa cera ripiena di dentro e ricoperta di fuori di quella tal terra refrattaria, sciogliendosi al calore del fuoco, lascia ormai per la colata del bronzo lo spazio sottile ed eguale d'una guaina sinuosa come la modellatura.
È implicito in ciò che uno dei pregi d'una buona fusione è d'esser sottile, uniforme, e leggiera. Per questo bisogna sommamente curare prima di tutto la riuscita della cera perché risulti fedele al modello e lieve come una sfoglia. Ritoccata la cera là dove convenisse rinfrescarla, bisogna fissarvi tre complementi essenziali: i getti che sono tubi, pieni anch'essi di cera o pece, destinati a formare una rete di canali, scorrendo per i quali il bronzo potrà meglio diffondersi e giungere contemporaneamente ai punti più lontani e riposti della cera; gli sfiati che sono tubicini di metallo per la sfuggita dell'aria quando irrompe la colata del bronzo; e i chiodi di sostegno che sono aiuti posti per conservare la necessaria distanza fra il ripieno e la tonaca di terra.
Altro ingrediente di essenziale importanza è la terra o sabbia o luto, da riempire e coprire la cera: in quanto essa dovrà presentare il più possibile di aderenza e resistenza pur essendo dolce e fine quanto un unguento. La s'inumidisce quanto occorre per impastarla e applicarla dentro e fuori. Chiusa così la cera entro l'involucro di terra, se ne risulterà un involucro di non troppo grandi dimensioni, si costruirà con mattoni intorno ad esso un forno, se no si calerà l'involucro in una fossa già prima apparecchiata a forno. Indi si darà fuoco con legna continuamente sinché la cera sia colata tutta via, e si possa disfare il forno lasciando l'involucro lì pronto per il getto di bronzo.
Allora in appositi crogioli di grafite, portati ad alta temperatura o con il carbone o con l'elettricità, si prepara la lega di metallo, gettandovi il rame e aggiungendovi la percentuale stabilita di stagno con, se si voglia, poco piombo e zinco e antimonio. La lega così sciolta viene colata attraverso il foro praticato sull'involucro fintanto che il liquido trabocchi da un secondo foro appositamente preparato vicino all'altro come una valvola, per rivelare appunto che la forma è colma.
La fusione è compiuta. L'involucro potrebbe essere subito spezzato, ma val meglio attendere un poco, ché il metallo passando dal calore intenso della terra refrattaria all'aria libera potrebbe risentirsene e contrarsi. In ogni modo, quando la statua sarà liberata da tutta la terra che la ricopre e la riempie, dovrà essere ancora ripulita e ritoccata, per tappare i fori lasciativi dai sostegni, dagli sfiati, dai canali e per ritrovare il buono del metallo sotto le incrostazioni e le bucce e le scorie depositatevi dal fuoco, dato che sia riuscita senza manchevolezze gravi. Allora comincerà l'opera delle raspe, delle spazzole metalliche, delle carte vetrate, e progredendo, dei ceselli, delle patine, dei brunitoi con i quali poco a poco, come si libera dalle scorie un gioiello, così si porterà alla luce di tutta la sua bellezza, il bronzo.
S'intende che questa è una descrizione molto rapida del procedimento, che ha infinite sfumature e accorgimenti per ogni sua fase, come una vera e propria arte; ciò che spiega come ogni fonditore possa a seconda della sua maggiore o minore maniera di profittare dell'esperienza e dello studio, assurgere a una propria personale fama né più né meno che un artista. E di tutto questo il lettore si potrà rendere conto chiaramente leggendo il famoso brano di Benvenuto Cellini (Memorie, II, 11), sulla fusione del Perseo, ove è reso in maniera insuperata il dramma insito in ogni fusione.
Fusione a staffa. - Questo metodo di fusione differisce dal precedente in quanto abolisce completamente la cera e prepara già libero per mezzo di due forme, una positiva e una negativa, il posto dove dovrà colare il bronzo (per ulteriori particolari del procedimento, v. sopra). Essa ha il vantaggio quindi di permettere numerose repliche senza dover ogni volta preparare la cera e senza dover ricorrere all'artista per il ritocco di essa. Ma appunto perciò essa è artisticamente meno pregiata. Mentre in sostanza ogni fusione a cera perduta è un vero e proprio originale, in quanto la cera onde è tratta si perde, la fusione a staffa è la meccanica ripetizione di un modello e nulla più. Praticamente essa viene fatta soprattutto per le cose piccole che necessitano un gran numero di repliche. Per le medaglie per esempio il sistema è molto comodo, come per qualunque sistema di bassorilievo; ed è infatti a tali scopi che viene in genere usata, specialmente in Francia.
Bibl.: Oltre le opere citate sotto la voce bronzo, v.: G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, introduz. cap. 11, Firenze 1848 segg.; B. Cellini, La vita, II, 11, Firenze 1890; id., Tratt. della scultura, capp. I, II, III, IV, Firenze 1857; J. Duponchelle, Manuel pratique de fonderie, Parigi 1923; A. Pettorelli, Il bronzo e il rame nell'arte decorativa ital., Milano 1926.