FUSCO
Le sue origini sono sconosciute come pure la sua data di nascita; fu abate a Napoli al tempo di Gregorio Magno (590-604).
F. è personaggio rappresentativo di una prima fioritura nell'Italia meridionale del monachesimo cenobitico, caratterizzato, tra l'altro, da "un deciso intervento papale nella vita dei monasteri sia greci che latini" (Vitolo, p. 13). Il pontefice lo ricorda in tre epistole, che sono la nostra unica fonte, datate dagli editori al giugno-luglio 599: ne risulta che F. reggeva a Napoli due monasteri non più attestati in epoca seguente e che intrattenne rapporti con la Sede romana, facendosi portavoce di interessi da questa pienamente condivisi.
Il primo testo concerne una pendenza tra il cenobio di F. e lo xenodochio di S. Teodoro a Palermo, che detenevano in comune una proprietà in Sicilia, la "massa Papyrianensis": dietro sollecito di F., Gregorio Magno intervenne per affidare a Romano, defensor nell'isola dei patrimoni di S. Pietro, la cura della spartizione. F. porta il titolo di abate del cenobio che "Alexandria, clarissimae memoriae femina" aveva istituito a Napoli in onore dei Ss. Erasmo, Massimo e Giuliana.
Le altre due lettere evidenziano tipiche situazioni della società napoletana, travagliata dalla guerra con i Longobardi, divenuta cronica, e da un profondo malessere materiale e spirituale. Una è inviata al vescovo di Napoli Fortunato e denuncia prevaricazioni ai danni del monastero di F., oppresso "ab aliquo" con gravami non specificati ma giudicati iniqui. Tensioni e abusi di potere emergono poi con particolare nettezza dall'ultimo testo. Il caso qui sollevato riguarda uno dei religiosi di F., il defunto prete Costanzio, che era a suo tempo fuggito da Napoli in Sicilia, portando con sé codici e drappi. Poiché l'abate avrebbe voluto recuperare i sacri arredi, il papa incaricò Fantino, defensor della Chiesa in Palermo, di appurare la verità e di procedere secondo giustizia.
F. è citato quale abate, oltre che del monastero dei Ss. Erasmo, Massimo e Giuliana, anche di quello di S. Arcangelo "quod Macharis dicitur", denominato cioè dall'isola di Megaride (isola del Salvatore dal IX secolo in avanti e quindi Castel dell'Ovo). Doveva trattarsi di una cella annessa al precedente cenobio ed entrambi dovevano appartenere alle fondazioni che nella Napoli ducale quasi "tutta fatta di monasteri e di chiese" (Cilento) si arroccavano compatte in continuità con il prestigioso monastero dedicato a S. Severino lungo le pendici del monte Echia, degradando verso il mare sino alle isole di Megaride e di San Vincenzo.
La fuga del prete Costanzio in una regione risparmiata dall'invasione dei Longobardi, come la Sicilia, si inquadra nella diffusa irrequietezza che movimentava a Napoli la vita collettiva in ogni ambito. Vi erano persino coloro che riparavano tra i nemici, come un anonimo monaco del cenobio di S. Arcangelo, la cui vicenda potrebbe, sia pure in via ipotetica, presentare qualche punto di contatto con quella di Fusco. Il contesto da prendere in esame è il seguente: in una lettera del novembre 599 - febbraio 600 Gregorio Magno rampogna il dux bizantino di Campania, Godiscalco, per aver scatenato una violenta rappresaglia contro il cenobio campano di S. Arcangelo a causa del monaco transfuga. Può sorgere il dubbio che nell'abate colpito dalle persecuzioni di Godiscalco sia da ravvisare F.; tuttavia la denominazione del monastero, troppo generica, non offre alcun chiarimento in proposito per orientarsi in un'area dove il culto di Michele era largamente diffuso così tra i Napoletani come tra i Longobardi. D'altra parte, si può, quanto meno, consentire con gli editori dei Monumenta che identificano per congettura il cenobio con un non meglio precisato "monasterium Barbatiani", noto da una lettera dell'aprile 600 per la propensione dei suoi religiosi alla fuga. Ne consegue si tratti di due omonimi monasteri, laddove l'abate Barbaziano - già preposito "monachorum" nell'ottobre 598 (cfr. IX, 12) - non fosse invece succeduto a F., che reggeva, come abbiamo visto, S. Arcangelo di Megaride nel giugno-luglio 599.
L'Epistolario di Gregorio Magno ricorda inoltre un Fusco "archiater", che nell'agosto 591 informa il pontefice di un negozio contrario alla coscienza cristiana, la vendita cioè di suppellettili della chiesa campana di Venafro a un ebreo da parte di alcuni chierici. Anche in questo caso la scarsità dei dati non consente di stabilire se il personaggio in questione sia da identificare o meno con F., e il rischio di incorrere in omonimie è evidente.
Nel complesso, dagli scarni elementi verificabili la figura dell'abate F. si può caratterizzare per l'accorta ed energica gestione dei monasteri a lui affidati nel quadro della politica meridionale di Gregorio Magno e del controllo esercitato da questo pontefice sul locale clero diocesano.
Fonti e Bibl.: B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, I, Neapoli 1881, pp. 182 s. n. 2; S. Gregorii Magni Registrum Epistularum, a cura di D. Norberg, Turnholti 1982, I, pp. 75 s.; II, pp. 574, 729-731, 830 s., 835 s.,(cfr. anche Gregorii I papae registrum…, a cura di P. Ewald - L.W. Hartmann, in Mon. Germ. Hist., Epistolae, Berolini 1887-91, I, pp. 86 s.; II, pp. 49, 167-169, 240 s., 243 s.); P. Kehr, Italia pontificia, VIII, Campania, Berlin 1935, pp. 456 s., 463-465; B. Capasso, Pianta della città di Napoli nel secolo XI, in Arch. stor. per le prov. nap., XVII (1892), pp. 855 s.; N. Cilento, La Chiesa di Napoli nell'alto Medioevo, in Storia di Napoli, II, 2, Napoli 1969, pp. 656-658, 660, 664, 721 e passim; G. Vitolo, Caratteri del monachesimo nel Mezzogiorno altomedievale (secc. VI-IX), Salerno 1984, p. 13 e passim; D. Ambrasi, Papa Gregorio Magno e Napoli, in Campania sacra, XXI (1990), p. 33; F. Luzzati Laganà, Società e potere nella Napoli protobizantina attraverso l'Epistolario di Gregorio Magno, in Boll. della Badia Greca di Grottaferrata, n.s., XLVI (1992), 1, pp. 101-136 passim.