TOMIZZA, Fulvio
– Nacque a Giurizzani, contrada di Materada, nei pressi di Umago (Croazia), il 26 gennaio 1935, secondogenito di Ferdinando, piccolo proprietario terriero e commerciante, e di Margherita Frank Trento, di origine slava e popolare. La coppia, oltre a Fulvio, ebbe il figlio primogenito Nerio.
Dalla storia patria istriana consta che la comunità di Materada fu fondata nel 1630, all’indomani della ‘peste manzoniana’, da Torzi Tomizza, avo di Fulvio, per volere della Repubblica di Venezia.
L’avvento del fascismo alimentò i contrasti tra le etnie locali e guastò la fanciullezza del ragazzo che, all’età di otto anni, fu costretto a fuggire dal borgo natìo. Nel 1944 venne iscritto al seminario di Capodistria, quindi al collegio di Gorizia per poi conseguire la maturità classica presso il liceo Carlo Cambi del capoluogo lagunare istriano. Dopo la breve occupazione di Trieste nel maggio del 1945 da parte di Tito e la successiva spartizione dell’Istria in zona A (affidata all’amministrazione dagli alleati con sede principale Trieste) e zona B (ceduta al governo iugoslavo con centro Capodistria) si susseguirono persecuzioni.
A Materada, Ferdinando Tomizza venne denunciato, processato, incarcerato due volte e privato dei beni. Obbligato a lasciare la propria terra, riparò con la famiglia a Trieste, dove acquisì la gestione di un bar. Consumato da una malattia polmonare, nel 1953 tornò, accompagnato dal figlio Fulvio, a Materada, dove morì all’età di 47 anni.
Dopo la perdita del padre, nel 1954 Tomizza si trasferì a Belgrado, dove studiò all’Accademia di arte drammatica e s’immatricolò presso la facoltà di letterature romanze dell’Università cittadina. A Lubiana collaborò alla realizzazione del film Atti decisivi del regista František Čáp, presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1955.
Con la stipula del Memorandum d’intesa di Londra nell’ottobre del 1954, relativa alla demarcazione della frontiera orientale dilaniata da rancori, Materada fu annessa definitivamente alla zona B e nel 1955 l’autore decise di raggiungere la madre e il fratello a Trieste. Nel 1957 vinse con tre racconti il premio Cinque Bettole di Bordighera e cominciò a lavorare a Radio Trieste, curando la rubrica di poesia dialettale Cari stornei.
Già cimentatosi nella redazione del primo romanzo, poté contare sull’appoggio del compositore e musicista Giorgio Federico Ghedini, il quale si rivolse a Fernanda Pivano affinché il manoscritto d’esordio di Tomizza fosse valutato da Elio Vittorini per Mondadori. Dopo una sottile revisione, uscì Materada (Milano 1960), opera corale imbastita sulle vicende della famiglia Kozlovich in cui si riflettono l’esperienza personale dello scrittore e il destino del popolo istriano afflitto da vendette sanguinose.
Intanto, a Trieste, Tomizza si era unito in matrimonio con Laura Levi, figlia del musicologo Vito, dall’unione con la quale nacque nel 1965 l’unica figlia Franca. Nel 1961 venne assunto nella sede locale della RAI.
Nel 1962, con la regia dell’autore, le scene di Nino Perizi e l’interpretazione di Paola Borboni e Fosco Giachetti, venne rappresentato al teatro stabile di Trieste il dramma Vera Verk, resoconto di un suicidio ambientato negli anni Trenta sul Carso istriano. Contestualmente, uscirono nel Gazzettino le prose Un altro Carso e Il pranzo del vecchio, e su Julia gens il racconto La confessione. L’anno successivo, Vera Verk apparve su Sipario e venne dato alle stampe il romanzo La ragazza di Petrovia (Milano 1963), storia di Giustina in cui s’adombra la disperazione degli esuli istriani. Seguì La quinta stagione (Milano 1965; incluso nella cinquina vincente del premio selezione Campiello), un romanzo di formazione in cui la traumatica esperienza della guerra, nella terra di confine, viene traguardata dagli occhi del fanciullo Stefano Marcovich, l’alter ego narrativo di Tomizza. La desolante epopea del suo popolo venne indagata inoltre nel libro Il bosco di acacie (Milano 1966) in cui la malinconia dei fuggiaschi, colti a lavorare le terre del Friuli, reca con sé la fantasmagorica realtà del perduto. Nel 1967, Materada, La ragazza di Petrovia e Il bosco di acacie vennero raccolti, per Mondadori, nel volume intitolato Trilogia istriana.
Sempre nel 1967, Tomizza tornò al teatro stabile di Trieste con la riduzione della Storia di Bertoldo di Giulio Cesare Croce, diretta da Giovanni Poli. Tra gli anni Sessanta e Settanta, trasformò in oggetto onirico la sua ispirazione con L’albero dei sogni (Milano 1969), volo psicologico culminato nella reminiscenza commossa del padre, che destò l’ammirazione di Pier Paolo Pasolini e sbaragliò la concorrenza al premio Viareggio; esperienza poi replicata con i brani monologanti di La torre capovolta (Milano 1971), collocati sul complesso fondale del sogno e scanditi dalle leggi dell’inconscio. Pathos e sradicamento, quali epicentri della poetica tomizziana, vennero diversamente enunciati nelle opere successive, a partire da La città di Miriam (Milano 1972) che pone l’accento sull’inquieta vita coniugale di Stefano Marcovich, ormai adulto, stabilitosi nella Trieste ‘autunnale’ di Italo Svevo e Umberto Saba.
Al libro in forma di lettera Dove tornare (Milano 1974), sulla tormentata integrazione di Marcovich nella vita triestina e, più ampiamente, sulla sua inettitudine ad assuefarsi al caos della contemporaneità, l’autore affidò la prospettiva della sua solitudine intellettuale (l’opera entrò nella cinquina vincente del premio selezione Campiello). L’anno dopo, dedicò alla figlia Franca il libro per ragazzi Trick, storia di un cane (Milano 1975), vincitore del premio Monza, attorno alle vicende di un cucciolo vittima dell’egoismo di una coppia che non esita ad abbandonarlo non appena arriva l’erede tanto atteso. Nel 1976, scrisse per il teatro un nuovo dramma che inaugurò la stagione di prosa 1983-84 del Volkstheater di Vienna e concorse allo sviluppo dei rapporti culturali tra Italia, Iugoslavia e Austria: si tratta di L’idealista, ispirato al romanzo Martin Kačur - Biografia di un idealista (1906) del grande prosatore sloveno Ivan Cankar. L’anno seguente La miglior vita (Milano 1977) uscì in 400.000 copie e fu insignito con il premio Strega; ritenuto dai critici uno dei romanzi più carismatici del Novecento, è ambientato in un paese dell’Istria dove i contadini, già fiaccati dal lavoro, sono gravati dalle fatali vicende della storia (nel 1979 l’opera ottenne, inoltre, il premio di Stato austriaco per la letteratura europea).
In questo periodo Tomizza intraprese un inedito filone di ricerca, inabissandosi nella cultura religiosa del Cinque e del Seicento. Si documentò sul caso emblematico del vescovo Pier Paolo Vergerio il Giovane passato alla Riforma, indagine durata sette anni, poi sfociata in Il male viene dal Nord (Milano 1984). Ma la fase storiografico-archivistica della sua produzione venne propriamente inaugurata con il romanzo storico La finzione di Maria (Milano 1981), basato sulla nefasta vicenda, realmente avvenuta a Venezia nel 1662, di una donna e del suo confessore processati dal S. Uffizio per «finzione di santità». Nello stesso anno Tomizza interruppe la collaborazione con la RAI. Nel 1984 gli venne conferita la laurea honoris causa in materie letterarie dall’Università degli studi di Trieste.
Appassionatosi al mistero impenetrabile di un triplice delitto avvenuto nel marzo del 1944, in Gli sposi di via Rossetti (Milano 1986) raccontò la persecuzione fascista subita dai giovani coniugi Vuk; l’opera si aggiudicò il premio internazionale Vilenica e il premio selezione Campiello del 1986, come anche il premio Ascona per la narrativa edita degli scrittori della Svizzera italiana dell’anno successivo.
Di carattere storiografico sono inoltre i romanzi Quando Dio uscì di chiesa (Milano 1987), a proposito della diffusione del luteranesimo nella comunità di Dignano d’Istria (premio Hemingway per la narrativa, 1988); L’ereditiera veneziana (Milano 1989), sulla vita di Paolina Carli Rubbi sposata con l’illuminista capodistriano Gian Rinaldo Carli (premio Amelia, 1995); Fughe incrociate (Milano 1990), attorno alla conversione di un ebreo al cattolicesimo e, viceversa, di un cattolico all’ebraismo, nel Friuli tra Cinque e Seicento.
Destinatario di ripetuti riconoscimenti (premio Civiltà veneta - Masi, 1989; premio Latina, 1990; premio internazionale del giornalismo Alpe Adria, 1991; premio del Tascabile, 1992), negli anni Novanta Tomizza pubblicò il libro intervista Destino di frontiera (Genova 1992) e la stravagante autobiografia romanzata I rapporti colpevoli (Milano 1992). Con L’abate Roys e il fatto innominabile (Milano 1994), scaturito da nuove ricerche d’archivio, si chiuse la serie storiografico-archivistica dello scrittore istriano, insignito nel 1994 con il premio Boccaccio.
Colpito da un male inesorabile al fegato, morì a Trieste il 21 maggio 1999 e, per sua volontà, venne sepolto nel cimitero di Giurizzani.
Opere. Oltre a quelle citate: La pulce in gabbia, Torino 1979; Il gatto Martino, Teramo 1983; Ieri, un secolo fa, Milano 1985; Poi venne Cernobyl, Venezia 1989; Alle spalle di Trieste, Milano 1995; La casa col mandorlo, Milano 2000; La visitatrice, Milano 2000; Il sogno dalmata, Milano 2001; Adriatico e altre rotte. Viaggi e reportages, a cura di M. Moretto, Reggio Emilia 2007; Le mie estati letterarie, Venezia 2009.
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