TESTI, Fulvio
Poeta, nato a Ferrara il 23 agosto 1593, da Giulio e da Margherita Calmoni; morto a Modena il 28 agosto 1646. Dal padre, arricchitosi al servizio degli Estensi, fu avviato agli studî di filosofia, nelle università di Bologna e di Ferrara. Ottenuto un modesto impiego alla corte di Modena, pubblicò a Venezia, nel 1613, una prima raccolta di rime, che ristampò poi parzialmente nel 1617, a Modena, accrescendola di alcune poesie ispirate a fervido patriottismo, e dedicandola a Carlo Emanuele I di Savoia. Così egli univa la sua voce a quella dei numerosi poeti, noti e ignoti, inneggianti in quegli anni al principe che osava levarsi contro la Spagna in difesa dell'Italia; ma il duca Cesare d'Este, temendo che il volume attirasse su di lui le ire del governatore di Milano, lo fece sequestrare, ordinando l'arresto dello stampatore e condannando l'autore in contumacia, a una multa e all'esilio. Dopo nove mesi il T. si piegò a una specie di ritrattazione; il duca lo graziò, e nel 1619 lo nominò suo "virtuoso di camera", mentre Carlo Emanuele premiava l'eloquente ammiratore con doni e onorificenze.
Dopo ripetuti tentativi di allogarsi in Roma o in Torino, si rassegnò a restare a Modena. Salito al trono ducale Alfonso III, il T. divenne segretario di stato, ed ebbe da lui, come dal successore Francesco I, incarichi e missioni importanti, che dimostrano quanto conto entrambi facessero del suo ingegno e delle sue abilità diplomatiche. Fu anche residente del duca alla corte di Roma (1633-35), e inviato presso Vittorio Amedeo I, per ottenerne l'appoggio nella questione dell'erigenda fortezza di Modena, osteggiata da Urbano VIII. Ne ebbe in premio, dal suo signore, un feudo col titolo di conte. Nel 1636 e nel 1638 fu in missione a Madrid, e ne ritrasse onori e compensi cospicui, sebbene inferiori a quelli da lui ambiti.
Al suo animo irrequieto e volubile, conscio del proprio valore, ma troppo avido di gloria, la corte modenese doveva parere, e parve, campo troppo modesto, onde più volte tentò di abbandonarla. Nel 1639 il duca, accogliendo una sua domanda, lo nominò governatore della Garfagnana, dove, come già l'Ariosto, si trovò a disagio. Richiamato nel 1642 a Modena, e incaricato di nuove missioni, ne profittò per allacciare col governo francese segrete trattative, che gli furono fatali. Quando infatti il duca Francesco scoprì che egli aveva ottenuto la nomina a segretario della Protezione francese a Roma, e stava anzi per abboccarsi con un inviato del Mazzarino, ordinò senz'altro che fosse imprigionato (26 gennaio 1646); e in prigione il T. morì, sembra di morte naturale.
La poesia fu certo di riposo e di conforto alle dure e lunghe fatiche del cortigiano e del diplomatico. Già nel 1627 aveva pubblicato a Modena un nuovo volume di Poesie liriche: ma solo nel 1644 si decise ad aggiungere ad esse una Seconda parte, rinnegando al tempo stesso tutte le sue liriche anteriori al 1627. Due anni dopo la sua morte, comparve una Terza parte, a cura dei figli, e di una Quarta si accrebbe la Raccolta generale delle poesie di F.T. (Modena 1655). Il T. cominciò imitando il Marino e il Petrarca; poi, per l'esempio del Chiabrera, e per le esortazioni di Giovanni Ciampoli e di Virginio Cesarini, abbandonò il barocchismo di moda, e si volse ai modelli classici, più particolarmente a Pindaro e a Orazio, cantando temi civili e morali, ai quali lo traeva la sua stessa esperienza di cittadino e di cortigiano: i mali dell'ambizione e degli onori mondani, la fortuna, la necessità di fuggire le corti, i piaceri della campagna e degli studî, la corruzione dei costumi, ecc. Alcune delle sue canzoni divennero presto famose, e sebbene non riescano a evitare i luoghi comuni proprî della poesia gnomica, è giusto riconoscere che eccellono fra le congeneri del secolo per i pregi di struttura ritmica e logica, per la sobrietà nell'uso della mitologia, per l'indubbia sincerità; ma conviene anche aggiungere che il vero afflato poetico fa spesso difetto nelle sue strofe, sostituito dall'eloquenza o, peggio, dalla declamazione. Accenti meno prosastici si possono cogliere invece in talune "canzoni amorose" che si leggono nella Prima parte. Anche le sue giovanili composizioni d'argomento politico hanno tono oratorio, ma non mancano di calore e d'impeto. Le più celebri sono le quartine a Carlo Emanuele I "Carlo, quel generoso invitto core", del 1614, e il poemettn, in 43 ottave, Il pianto d'Italia (ormai concordemente riconosciuto opera sua), del 1615, nel quale l'Italia appare in sogno al poeta, per invitarlo a descrivere le sue misere condizioni in versi che possano commuovere il duca sabaudo e indurlo a salvarla.
Il T. pubblicò anche un dramma, L'isola di Alcina (1636), che non si solleva per pregi particolari sulle tragedie "appassionate" allora in voga; lasciò inoltre frammenti di un altro dramma, L'Arsinda, di due poemi eroici, Il Costantino e L'India conquistata, e di un poemetto su Pantea. Importanti per più rispetti le lettere, di cui moltissime ancora inedite.
Ediz.: Opere scelte del conte F.T. (Modena 1817, voll. 2; è oggi l'edizione più accessibile).
Bibl.: Per la biografia: G. Tiraboschi, Vita del conte F. T., Modena 1780; id., in Biblioteca modenese, Modena 1784; D. Perrero, Il conte F. T. alla corte di Torino, Milano 1865; G. De Castro, F. T. e le corti italiane nella prima metà del sec. XVII, Milano 1875; V. Santi, F. T. e Carlo Em. I di Savoia, in Rivista europea, 16 gennaio 1880; D. Perrero, L'arresto e la morte del conte F. T., ibid., 1880; G. Ognibene, Una missione del conte F. T. alla corte di Spagna, Modena 1886; A. Campani, Il T. nella Garfagnana, in Il Panaro, 12 giugno 1887; id., L'arresto e la morte di F. T., ibid., 2 e 9 ottobre 1887; id., La nomina di F. T. al governo della Garfagnana, in Rassegna emiliana, giugno 1888; G. Rua, Poeti della corte di Carlo Em. I, Torino 1899; V. Santi, Il processo e la condanna di F. T. nel 1617, in Giorn. storico d. lett. ital., LIV (1909); L. Fassò, Dal carteggio di un ignoto lirico fiorentino, in Miscellanea in onore di R. Renier, Torino 1912; E. Massano, La vita di F. T., Firenze 1900; G. Monachesi, Anime ribelli del '600, in La cultura moderna, 1927, n. 2; id., La tragica fine di un poeta diplomatico, ibid., n. 7; C. Zaghi, F. T. e Ottaviano Magnanini, in La civiltà moderna, 1931, n. i. - Sulle Poesie: G. Caprera, F. T. poeta, Noto 1922; G. Monachesi, La coscienza romana e nazionale nella lirica di F. T., in La cultura moderna, 1927, n. 9; B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, passim; A. Belloni, Il Seicento, 2a ed., Milano 1929, pp. 132-40; id., Testiana, in Frammenti di critica letteraria, Milano 1903. - La questione del Pianto d'Italia è riassunta da R. Salaris, F. T. e un poemetto anonimo del sec. XVII, in Rass. bibl. d. lett. ital., 1903; F. Bartoli, F. T. autore di prose e poesie politiche, Città di Castello 1900; G. Rua, Letteratura civile ital. del Seicento, Milano 1910; V. Di Tocco, Ideali d'indipendenza in Italia durante la preponderanza spagnuola, Messina 1927. - Per le lettere: Miscellanee di lettere di F. T., s. l. n. a.; A. Venturi, Velasquez e Francesco I d'Este, in Nuova Antologia, i° settembre 1881; A. Neri, in Rassegna nazionale, 16 novembre 1886; A. Lazzeri, Quattro lettere inedite di F. T., Faenza 1892.