DELLA CORNIA (Della Corgna, Della Corgnia), Fulvio (Fulvio Giulio)
Figlio di Francesco, detto Francia, e di Giacoma Ciocchi Del Monte, nacque a Perugia nel novembre 1517. Discordi le fonti circa la data esatta: 13 (Silvestrini, Serie..., p. 281), 19 (Pascoli, Vite..., p. 130), 17 (Vincioli, Notizie..., p. 180).
Legato sempre al fratello Ascanio da devozione ed affetto, ne seguì le scelte politiche e diplomatiche, si espose per la sua salvezza a rischi di vendette e persecuzioni, come durante il pontificato di Paolo IV, fu, insomma, anche per i contemporanei, Ascanii frater, definizione che egli stesso volle iscritta in un suo maturo ritratto.
Compì i primi studi a Perugia; fu ammesso, ancora giovanetto, nell'Ordine di Malta. Iniziò precocemente la carriera militare sotto la guida di Rodolfo Baglioni, ma fu costretto a rinunziarvi per volere della madre, che lo inviò a Roma alla corte del fratello card. G.M. Ciocchi Del Monte per intraprendere gli studi di legge. La permanenza a Roma e le pressioni dello zio cardinale lo indussero a scegliere la carriera ecclesiastica e presto ottenne un canonicato di S. Giovanni in Laterano e fu posto al servizio del card. A. Farnese. L'elezione al pontificato del card. Ciocchi Del Monte lo portò rapidamente a ricoprire importanti incarichi nell'amministrazione temporale e spirituale dello Stato pontificio. Nominato arciprete del duomo di Perugia, fu creato vescovo di quella città il 5 marzo 1550 ed ottenne dal papa di potervi celebrare il giubileo a guisa di Roma. Il 6 agosto del medesimo anno Giulio III gli concesse in commenda il monastero benedettino di S. Mauro a Chivasco, in diocesi di Torino, vacante per la morte del card. F. Sfondrato.
I Parlamenti di Torino e Chambéry osteggiarono però la decisione pontificia ed il privilegio fu approvato da Francesco I solo il 14 sett. 1554. Non è da escludere che l'opposizione regia fosse motivata non solo dal gallicanesimo, ma anche da sospetti sulla posizione filoimperiale del D. e dal contrasto fra il papa e Francesco I, dopo la caduta in mano francese di Ascanio Della Cornia nella guerra di Siena.
Il 24 ott. 1550 il D. aveva fatto atto di devozione alla Francia ed il papa lo aveva inviato con Ascanio a trattare presso Francesco I il ritorno di Parma alla S. Sede. Con il passaggio, nel 1551, del fratello alla fazione imperiale, anche il D., "francese per la sua natura" (Nuntiaturberichte, XII, p. 94), divenne partigiano dell'Impero. Creato il 4dic. 1551 cardinale prete col titolo di S. Maria in Via, mutato in quello di S. Bartolomeo in Isola (29 maggio 1555) e, in seguito, nei titoli di S. Stefano al Celio (20 sett. 1557) e S. Agata (5 maggio 1562), fu nominato il 14 maggio 1553 legato di Ascoli, vicario apostolico utriusque fori di Rieti, Monteleone, Cascia, Visso e Norcia ed amministratore apostolico della Chiesa di Lucera.
Durante la quaresima del 1552, Giulio III inviò a Perugia Giacomo Lainez a predicare e, dopo il successo ottenuto dal gesuita, il D. decise di introdurre a Perugia l'Ordine fondato da Ignazio di Loyola, che vi destinò come rettore il fiammingo Everardo Mercuriano. Nel maggio 1552, quando i gesuiti si stabilirono nella città umbra, mentre sempre più stretti erano diventati i rapporti fra il vescovo ed Ignazio di Loyola, fu iniziata la costruzione della chiesa del S. Salvatore per volere del D., che fornì anche cospicui finanziamenti.
Nel 1553, non potendo ottemperare all'obbligo di residenza, il D. rinunziò alla diocesi perugina a favore di Ippolito Della Cornia, riservandosi tuttavia il diritto di regresso, che gli permise di mantenere una forte influenza sulla vita religiosa locale. Il 22marzo 1553 il papa, misconoscendo il diritto di regresso del card. Farnese, affidò l'amministrazione della diocesi di Spoleto al nipote, che vi inviò in sua vece il cardinale di Urbino, G. Della Rovere.
La decisione di Giulio III di nominare il D. commendatario dell'abbazia di St. Martin a Tournai, vacante per la morte del card. Salviati (1553), suscitò una decisa opposizione nell'imperatore che, nel dicembre 1554, dopo lunghe trattative condotte dalla diplomazia pontificia, rifiutò di ratificare il privilegio. Abbracciata la causa imperiale, come il fratello, il D. si impegnò per la soluzione del problema di Siena a favore di Cosimo de' Medici, al quale fu inviato come portavoce della posizione pontificia il 29 maggio 1553.
Consapevole del pericolo che il protrarsi della resistenza senese contro Carlo V avrebbe avuto anche sulla situazione interna perugina, il D. si era recato, nel gennaio 1553, nella città natale per predisporre i concittadini ad un'eventuale resistenza armata contro le truppe francesi. Con il fratello Ascanio si era adoperato perché alla città fossero restituiti i privilegi tolti da Paolo III: il successo era stato coronato da una solenne cerimonia il 9 febbr. 1553, quando a Perugia fu eretta una statua a Giulio III ed il vescovo rese le armi al popolo, ottenendo anche che fosse ripristinato il tribunale di Rota, soppresso da papa Farnese.
Caduto in disgrazia, come tutta la sua famiglia, durante il pontificato di Paolo IV per le sue posizioni filospagnole e per aver apertamente osteggiato, nel conclave, la candidatura Carafa, il D. fu privato della diocesi spoletina dal papa, che riconobbe il diritto di regresso al card. Farnese. Fu imprigionato in Castel Sant'Angelo il 27 luglio 1556 per aver partecipato ad un conciliabolo del partito spagnolo in Roma e, soprattutto, per aver fatto avvertire il fratello Ascanio, che si trovava a Velletri, dell'invio da parte di Giovanni Carafa di Papirio Capizzucchi per arrestarlo. Perduti i beni feudali di Castiglion del Lago, Castel della Pieve e del Chiugi, dei quali era stato investito con il fratello da papa Giulio III nel 1550 e, con Ascanio, nominato vicario apostolico di Castel della Pieve il 18 dic. 1550, fu riabilitato, con tutta la famiglia, alla morte di Paolo IV. Nel conclave per l'elezione del successore del Carafa non sostenne la candidatura del card. Pacheco, candidato spagnolo, ritenendo tuttavia opportuno fornire un dettagliato ragguaglio della sua posizione allo stesso Filippo II. Fu nominato, nel gennaio 1560, commendatario del monastero di S. Benedetto di Pietrafitta e, nell'aprile del medesimo anno, cedette al papa un terzo delle rendite di tale beneficio.
Alla morte di Ippolito Della Cornia fu Giulio Orandini, auditore di Rota, a governare la diocesi perugina fino al 6 sett. 1564, quando la sede vescovile tornò al D., che nello stesso anno vi fondò il seminario, prima ancora che il concilio ne rendesse obbligatoria l'istituzione, dotandolo di rendite sufficienti per il mantenimento degli alunni.
Ebbe la prima sede nella parrocchia di S. Bartolomeo a Porta Eburnea, ma fu poi trasferito nel palazzo del governatore, detto palazzo Abbruciato, donato a tal fine da Pio IV al vescovo perugino. Nei due anni successivi il D. fece redigere gli statuti (Copia constitutionum almae Gregorianae domus Sapientiae veteris perusinae sumpta ex originalibus positis in manibus superiorum dictae domus Horatio Mauro rectore, A.D.MDLXV, Fulvius Corneus publicavit), regolando così rigidamente le norme di ammissione, il corso degli studi e la disciplina dei futuri sacerdoti.
L'opera pastorale del D. si distinse per l'intransigenza nell'applicazione delle norme tridentine e per la decisa volontà di affermazione dell'autorità vescovile nei confronti di Ordini religiosi gelosi delle proprie prerogative.
Esemplare, in tal senso, la lunga controversia con il monastero benedettino di S. Pietro in Perugia. Già infatti nel 1561 il D. aveva voluto visitare la chiesa ed aveva preteso che il monastero deputasse nelle sue chiese dipendenti vicari perpetui in luogo di temporanei, con congrua di almeno 50 scudi annui. Insensibile alle proteste dell'Ordine, designò come economo per la chiesa di S. Costanzo, dipendente da S. Pietro, Lorenzo Stefani con congrua di 100 scudi annui da prendersi ad arbitrio sulle rendite della chiesa e del monastero. La controversia con i benedettini si trascinò per anni e fu condotta anche davanti alla sacra congregazione del Concilio che sentenziò la legittimità della posizione dei monaci. Deciso e, talvolta, arbitrario, fu l'intervento del D. anche sul patrimonio del monastero perugino e delle sue chiese dipendenti. Nel 1554 aveva designato Ovidio Ristori da Gualdo Tadino come cappellano perpetuo nella chiesa di S. Gualtiero, dipendente da S. Pietro, con pensione annua di 100 scudi da prelevare ad arbitrio sulle rendite; nello stesso anno decretò l'unione del beneficio di S. Paolo al capitolo di S. Lorenzo; nel 1562 egli stesso prese possesso di S. Lucia per poi unirla a S. Damiano in Libiano; nel 1569, infine, per sostenere le rendite del seminario, tolse, sempre a S. Pietro, la chiesa della Madonna di Roncione. Tenne due volte il sinodo diocesano (6-8 nov. 1564 e 15-16 ott. 1577), le cui risoluzioni furono fatte stampare a Perugia dal suo successore Francesco Bossi rispettivamente nel 1566 e nel 1577 (Statuta et costitutiones synodales Ill.mi et Rev.mi D. Fulvij Cornei S. Agathe S.R.E. Presbiteri Cardinalis et Episcopi perusini...). Il 20 ott. 1564 iniziò la visita pastorale a tutta la diocesi, portata a termine nell'agosto 1568 con l'aiuto del suo vicario Donato Torri. Fra il 1568 ed il 1581 fu in frequente rapporto epistolare con Guglielmo Sirleto, con il quale si consigliò per svolgere la sua azione pastorale conseguentemente con i principî tridentini, denunziando inoltre abusi e disordini, non solo nella Chiesa locale, ma anche nell'operato dei rappresentanti inviati da Roma per promuovere la riforma del clero. Durante il governo della diocesi, il D. rese obbligatoria la clausura per i monasteri femminili ed introdusse le cappuccine della prima regola di S. Chiara.
La cura della diocesi perugina non aveva però allontanato il D. dalla Curia romana: nel corso del 1565 egli si era adoperato presso l'imperatore ed il doge di Venezia per ottenere la scarcerazione del fratello Ascanio e la composizione della multa richiesta dal papa a seguito del processo intentato contro il militare perugino; nello stesso anno fu incaricato da Pio IV di riformare il cerimoniale romano e di studiare la procedura di investitura dei vescovi in relazione alle norme tridentine.
La personalità del D. lasciò una traccia significativa anche sulla vita culturale di Perugia: aiutò negli studi di lettere M. Antonio Bonciari, invitandolo ad entrare nel seminario ancor giovanetto e chiamandolo poi a Roma presso la sua corte. Già fra i savi dello Studio nel 1545 e nel 1557, come vescovo cancelliere dell'università decretò la diversità di dizione nella formula di conferimento del titolo dottorale a seconda dell'unanimità o meno del collegio votante. Commissionò il restauro del castello medievale di Pieve del Vescovo presso Corciano all'architetto perugino Galeazzo Alessi al quale, come il fratello Ascanio, era legato da profonda amicizia. Nel 1570 il D. aveva invitato proprio l'Alessi a presentare un progetto per la facciata della chiesa del Gesù a Roma; successivamente gli fece erigere il maestoso palazzo, poi pássato agli Oddi, sul colle detto del Cardinale, a cinque miglia da Perugia.
Il 5 maggio del 1574 il D., che era stato nominato vescovo di Albano, rassegnò la diocesi perugina a Francesco Bossi, vescovo di Gravina, già governatore di Perugia, anche se continuò ad esercitare una notevole influenza sulla vita religiosa locale, sia attraverso la distribuzione di importanti cariche a membri della sua famiglia o, comunque, legati a lui, sia per il prestigio, anche se non scevro da polemiche, che si era guadagnato durante gli undici anni di governo della diocesi. Fu vescovo di Porto (5 dic. 1580) dove, fra l'altro, fece restaurare il palazzo vescovile. Morì a Roma, dopo una breve malattia, il 4 marzo 1583: fu sepolto nella cappella Del Monte in S. Pietro in Montorio, mentre solenni esequie furono celebrate pubblicamente a Perugia con un'orazione funebre letta dal canonico Marcantonio Masci nella cattedrale di S. Lorenzo.
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