CORREGGIO, Fulvia da
Nacque a Correggio il 10 febbr. 1543 dal conte Ippolito e Chiara di Gianfrancesco da Correggio. Figlia unica, essa trascorse l'infanzia e la sua prima giovinezza in seno alla famiglia comitale, accanto alla nonna paterna, Veronica Gambara poetessa e letterata, che dal 1518 teneva le redini dello Stato correggese.
La sua educazione venne svolgendosi in una stagione di relativo splendore per la sua casata e, seppure rimasta orfana del padre a nove anni, ebbe una istruzione particolarmente accurata cui contribuì anche lo zio paterno cardinale Girolamo. Nel 1557, a causa dell'assedio di Correggio, fu costretta a riparare a Mantova e quivi, sotto il magistero del novellarese Michele Gavassuti, compì singolari progressi nelle letterature classiche. Non ancora diciottenne, venne chiesta in sposa da Lodovico II Pico signore di Mirandola che, in gran fretta, il 5 sett. 1560 inviò a Correggio il capitano Nicolò Loschi con mandato di procura per il matrimonio.
L'urgenza di questo matrimonio per procura ha portato la riflessione storica su una serie di concause che mette in luce una situazione di disagio della casa Pico dopo il trattato di Cateau-Cambrésis. Se i motivi di carattere economico ebbero un'importanza non trascurabile (la C. portava in dote la cospicua somma di 80.000 scudi), fu certamente la ragion di Stato a suggerire a Lodovico, vedovo da oltre cinque anni, di contrarre un matrimonio che risultasse gradito alla Spagna e all'Impero e tale da far dimenticare il suo passato e gli orientamenti politici filofrancesi della sua casata.
La C., che proveniva da una casata premiata per fedeltà all'Impero, ebbe dunque il compito non facile di controbilanciare le influenze francesi con una sottile politica di riavvicinamento all'Impero stesso. In questo senso, nonostante la sua giovane età, operò sia per allacciare utili legami, con i principi della coalizione austro-spagnola, sia per consolidare buoni rapporti di vicinato con i Gonzaga e con gli Estensi. Diede alla luce quattro figli (Renea Margherita, Galeotto, Federico, Alessandro) e, alla prematura scomparsa del marito nel 1568, venne a trovarsi in una difficile situazione non contenendo il testamento alcuna designazione né per la reggenza dello Stato, né per la tutela dei figli, né per l'eredità. La questione aperta dallo strano testamento intorno al quale gli storici, peraltro, hanno avanzato ipotesi disparate, venne composta in maniera salomonica da Francesco Gonzaga di Novellara che suggerì alla C. di associare nella reggenza dello Stato mirandolese e nella tutela dei figli i cognati Luigi e Ippolito. La soluzione venne accolta con favore dalla corte francese che poteva fare assegnamento sulla fedeltà dei due fratelli di Lodovico di cui però l'uno, Ippolito, morì pochi mesi dopo (1569). I litigi, insorti fin dall'inizio fra la C. e Luigi, dapprima dissimulati, sfociarono in aperti contrasti sia per gli interessi ereditari sia, soprattutto, per motivi di preminenza nel governo dello Stato.
A fronte della non eccessiva duttilità politica e diplomatica di Luigi, la C. poteva contare sulla sua forza di carattere, accompagnata da un'accattivante abilità nell'ingraziarsi la Francia senza pregiudicare i vincoli che la legavano all'Impero. Né l'invio a Mirandola da parte della corte francese di un corpo di duecento soldati per garantire l'ordine, né i tentativi compiuti dal duca di Nevers, fratello del duca di Mantova, né la venuta nel 1572 delle cognate Fulvia di Randano e Silvia di Roccafuoco che Luigi aveva chiamato dalla Francia, valsero a ridurre i contrasti. Se Luigi, per consolidare il suo incarico di reggente e per ottenere i favori della corte, dietro suggerimento delle sorelle si recava a Parigi, la C. parimenti non rimaneva inoperosa. Ella riusciva ad accattivarsi le simpatie e l'appoggio dell'ambasciatore di Francia a Venezia, Rinaldo Ferrier, dal quale si era recata, accompagnata da una nutrita rappresentanza di nobili mirandolesi, per esporgli le proprie ragioni sulla convenienza, nell'interesse dei figli e dello Stato, di permanere come reggente unica senza consociati.
La partita con Luigi e le sorelle si chiuse definitivamente nel 1573 allorché la C. diede ordine di chiudere le porte della città all'arrivo del cognato, costringendo nel contempo le cognate a partirsene in fretta da Mirandola. Per controbilanciare le lamentele di Luigi, informò immediatamente i duchi di Ferrara e di Mantova sui motivi dell'accaduto mentre la corte francese, premuta dal Pico, dispose che proprio l'ambasciatore Ferrier aprisse una inchiesta. Questa si concluse favorevolmente per la C., cui la corte riconobbe di poter governare ed esercitare la tutela senza il cognato.
Le travagliate vicende di questo scorcio della sua reggenza ebbero un tragico epilogo con la esecuzione capitale, da lei ordinata nel 1575, del nobile Giulio Poiani (o Poiazza), partigiano di Luigi, accusato di avere tentato di avvelenarla. Le antiche cronache e gli storici avvalorano la tesi del tentato veneficio, tuttavia alcune circostanze non del tutto limpide e l'ipotesi di un'autoaccusa strappata al Poiani con la tortura, lasciano aperti oggi alcuni interrogativi.
Durante la sua reggenza la C. diede prova di una straordinaria capacità di governo, di sagacia e accortezza amministrativa che si tradussero per Mirandola in anni di pace e di prosperità. Seppe sostenere costantemente con fermezza ed energia i diritti e gli interessi dei figli e dello Stato, districandosi abilmente in difficili e delicate circostanze.
Si ricordano in particolare l'efficacia della sua azione nel contrastare le pretese su Mirandola di Girolamo Pico, ultimo della linea di Gianfrancesco, e nell'ottenere per i figli, con l'appoggio del cardinale Luigi d'Este, l'investitura del feudo di San Martino in Spino.
A motivo delle gravi condizioni di salute del figlio primogenito, epilettico fin da bambino, la C. non cessò di fatto dalla reggenza nonostante Galeotto avesse raggiunto la maggiore età, lasciandogli esercitare un'autorità solo formale.
Inviò a Ferrara i figli cadetti Federico e Alessandro perché apprendessero le belle lettere, la filosofia e le matematiche e successivamente a Padova per lo studio della legge. Negli ultimi anni di governo orientò l'asse della politica dello Stato più sugli Estensi che sui Gonzaga e riuscì persino a liberarsi con uno stratagemma del presidio francese, accampando poi il mancato ricevimento da parte della Francia degli assegni promessi per il suo mantenimento. Seppe circondarsi della stima e dell'ammirazione del suo popolo e a diversi letterati, tra cui Torquato Tasso, fu agevole citarla come gentildonna esemplare e tesserne elogi e pregi probabilmente al di sopra del costume encomiastico o di blandizie interessate.
Portò nella politica uno stile femminile di prudenza e di saggezza, un vivace ingegno e una sensibilità concretamente legati alle proprie radici padane. Dai carteggi si possono ricavare gli elementi della sua realpolitik basata su un'estesa rete di rapporti con importanti personaggi nonché sulla protezione e sugli aiuti che accordava ai collaboratori e ai sudditi. Si meritò a buon diritto l'appellativo di "restauratrice" per il volto moderno che seppe conferire a Mirandola attraverso la progettazione e realizzazione di nuove strade che portano ancora oggi il suo nome, di importanti opere edilizie (baluardi nel sistema difensivo delle mura, la chiesa di S. Caterina, il convento dei cappuccini, il Monte di pietà), nonché attraverso il riattamento e l'abbellimento di numerosi edifici. Alle doti intellettuali unì l'avvenenza fisica come testimonia ancora oggi un ritratto del XVI secolo, a grandezza naturale, conservato presso il Museo civico di Mirandola.
Morì a Mirandola il 7 ott.'1590.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, serie E, Mirandola, bb. 1335, 1336; Arch. di Stato di Modena, Arch. segreto estense, Cancelleria ducale, carteggio dei principi. Este, b. 1221; Mirandola, Bibl. com., Fondo archivistico, Casa Pico [Fulvia]; Correggio, Bibl. com., Arch. di mem. patrie, cartt. 37, 39, 51; Ibid., E. Setti, Biografie di illustri correggesi, II, cc. 42-47; D. Borghesi, Rime, Padova 1566, II, p. 20; F. Personali, Quaestiones non minus utiles. Venezia 1585 (lettera dedicatoria premessa alla opera); M. Manfredi, Cento madrigali, Mantova 1587, p. 77; Id., Lettere brevissime, Venezia 1606, pp. 19 s.; F. Sansovino, Origini e fatti delle famiglie illustri d'Italia, Venezia 1670, p. 435; T. Tasso, I dialoghi, a cura di C. Guasti, Firenze 1858, II, p. 77; Cronaca della nobiliss. famiglia Pico scritta da autore anonimo, in Mem. storiche della città e dell'antico ducato della Mirandola, II (1874), pp. 132-135, 302; F. I. Papotti, Annali della Mirandola, ibid., III (1876), pp. 32-61; P. Pozzetti, Lettere mirandolesi, Firenze 1796-1806, lett. X, pp. 207-217; G. Veronesi, Quadro stor. della Mirandola e della Concordia, I, Modena 1847-1849, pp. 70-71, 73; F. Ceretti, F. da C., in Atti e mem. delle Deputaz. di storia patria dell'Emilia, IV (1880), n. 2, pp. 165-208; F. da C., in La Fenice strenna mirandolese per l'anno 1881, Mirandola 1880, pp. 9-14; F. Ceretti, Biografie pichensi, I, Mirandola 1907, pp. 217-218; E. Rizzatti, Un'accusa di venefizio nella corte di Mirandola nel 1575. Delitto o martirio del nobile Poiani?, Parma 1944; V. Cappi, Iconografia dei principi Pico, Modena 1963, p. 15; F. Ferri, Mirandola il regno dei Pico, Modena 1974, pp. 155-172; G. Morselli, Mirandola 30 secoli di cronaca, Modena 1976, pp. 59-60; P. Litta, Le fam. cel. ital., s. v. Pico della Mirandola.