ARMINIO MONFORTE, Fulgenzio
Nato ad Avellino, da nobile famiglia, intorno al 1620, fu agostiniano e, nella sua giovinezza, allievo del confratello Celestino Bruni (cfr. M. Giustiniani, Lettere memorabili, III, Roma 1675, pp. 57 s). Nel 1649 fu presente in Roma al capitolo generale dell'Ordine, e il 5 maggio predicò nella chiesa di S. Agostino: già baccelliere, nel 1652 divenne maestro in teologia. Della sua attività di predicatore, prima di questa data, c'è resa testimonianza da due opere: GI'Immortali Cipressi: descritione de' funerali di A. Carafa duca d'Andria,Trani 1645, e Le Pompe della morte, per la morte di Cornelia Giudici duchessa di Bisaccio,Napoli 1647. Si tratta di due elogi funebri, un genere oratorio che l'A. coltivò fino agli ultimi anni della sua vita, pubblicando a Napoli nel 1674 Il Trionfo del dolore: funerali per donna Giovanna di Sangro principessa di S. Severo;e al quale appartiene anche quell'orazione per la morte di Filippo IV di Spagna, pronunciata a Foggia nel 1665 e intitolata L'Ecclissi cagionate dalla morte del Sole delle grandezze.Fu pubblicata, quest'orazione, nei Panegirici sacri,Bologna 1669, la prima importante raccolta di discorsi predicabili che l'A. abbia dato alle stampe.
La sua fortuna come oratore sacro fu grandissima, e i luoghi di pubblicazione delle sue opere attestano una lunga e instancabile peregrinazione attraverso le maggiori città d'Italia. A Firenze nel 1653 stampò Le Glorie di S. Giovan Battista distribuite in otto Discorsi,a Palermo nel 1656 i Discorsi due per S. Rosalia, S. Silvia e S. Agata Cittadina palermitana,a Napoli nel 1660 i Panegirici.I.Fuidoro (V. d'Onofrio) nei Giornali di Napoli dal 1660 al 1680 (I, Napoli 1934, p. 78) ci dà inoltre notizia di alcune prediche tenute dall'A. a Roma nel 1661, ma non stampate perché, denunciandovi egli il malcostume religioso e politico dell'epoca, fu costretto al silenzio. Nel 1656 l'A. fu nominato priore di Firenze, e poi teologo del granduca di Toscana. Ebbe rilievo nella vita dell'Ordine, coprendo la carica di provinciale della provincia napoletana: più tardi divenne qualificatore del S. Uffizio per il Regno di Sicilia, e vicecancelliere del Collegio dei teologi napoletani. Il 1ºapr. 1669 fu creato vescovo di Nusco; ma nel 1680 rinunciò spontaneamente alla diocesi, a quel che sembra, per ritirarsi a vita privata. Nel 1690 era già morto, come ricaviamo da un catalogo degli Accademici Concordi, manoscritto nel fondo Magliabechiano della Biblioteca Nazionale di Firenze (cit. in E. D'Afflitto, Memorie degli scrittori del Regno di Napoli, I, Napoli 1782, p. 451).
L'A. appartenne infatti a questa Accademia ravennate e, forse, anche ad altre, giacché prese parte assai attiva alla vita letteraria dell'età sua. G. F. Loredano, inviandogli un suo "volume, in molte parti decorato con le glorie del suo nome", ricorda come egli porti "seco tutti i lumi dell'eloquenza" (Delle Lettere, II,Venetia 1672, p. 56);G. Battista nelle Lettere (Venetia 1678, p. 152)Ci testimonia altri legami dell'A. con alcuni dotti contemporanei, e in particolare con l'Aprosio. Si fa menzione anche di una sua attività poetica, che non ha lasciato tracce, tranne per quella che pare sia stata l'ultima sua opera data alle stampe, Vitae, mortis et translationis Divi Stephani Papae, et martyris elogia, Neapoli 1683,poema storico, di stile sostenuto, ricco di echi del latino ecclesiastico e di reminiscenze classiche, ma in complesso lento e noioso.
Senza dubbio, però, la sua principale attività fu appunto quella d'oratore sacro. In essa l'A. fa confluire la sua erudizione, la sua abilità di retore, che è profondamente legata alle correnti del gusto barocco, e, soprattutto, quell'interesse vivo per gli avvenimenti della cronaca quotidiana, che non è soltanto religioso, o morale, ma, come s'è accennato, anche politico. Interesse questo, che è confermato dalla lettura di alcune sue opere, quali La Repubblica, oratione recitata in Genova alli Serenissimi Duce, et Collegii,Genova 1650,e I Tributi di riverenza alla Serenissima e sempre gloriosa Repubblica di Venetia: Discorsi predicabili, Venetia 1653.Uguali nel tono, nonostante la diversità dell'argomento, sono ricche di citazioni bibliche: lo stile appare ispirato e profetico, gli artifici barocchi son tutti presenti. Pure, ogni cosa è piegata con garbo all'esigenza di esaltare una città e la saggezza dei suoi governanti, piuttosto che un santo e i suoi miracoli. Ed è certo inoltre che il consiglio dell'A. fosse "carissimo" al viceré di Napoli don Pietro d'Aragona, che voleva averlo quasi sempre presso di sé, e per il quale egli scrisse L'Ambasciata di ubidienza fatta alla Santità di Clemente X in nome di Carlo II il felice Re delle Spagne e di Marianna d'Austria…, da d. Pietro d'Aragona... con le notitie delle solennità... nel mese di gennaro dell'anno 1671, Roma 1671.
Ma la sua fortuna non fu durevole, e già nel secolo seguente gli si rimproverava d'aver ceduto troppo al "vizioso gusto" del concettismo: e certamente a questo gusto egli inclinò, ma non più degli altri oratori suoi contemporanei.
Fonti e Bibl.: D. A. Gandolfo, Il dispaccio istorico, Mondovì 1695, pp. 80-86; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I,2, Brescia 1753, pp. 1107 s.; J. Lanteri, Eremi Sacrae Augustinianae, I, Romae 1874, p. 127; E. Santini, L'eloquenza italiana dal Concilio Tridentino ai nostri giorni, I, Palermo 1923, pp. 72 s.; D. A. Perini, Bibliographia Augustiniana, I,Firenze 1929, pp. 58 s.; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica...,V, Patavii 1952, p. 204; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IV, coll. 396 s.