CALBOLI, Fulcieri da
Nacque presumibilmente nel terz'ultimo decennio del sec. XIII da Guido, fratello del dantesco Ranieri. Come lo zio, deve la sua notorietà all'Alighieri, anche se non fu certo uomo politico e d'armi trascurabile nel mondo guelfo romagnolo e italiano a cavallo dei secc. XIII e XIV.
Ci sfuggono del tutto i tempi della sua formazione politico-militare che dovette maturare fra le lotte di fazione nella Forlì tardocomunale, dopoché i Calboli da tempo vi erano immigrati dal castello omonimo, situato sull'Appennino Romagnolo nell'alta valle del Montone. E dovette senza dubbio trattarsi di un tirocinio periglioso, perché Forlì, almeno fino al 1283, costituì in Romagna il centro focale del confronto fra le forze ghibelline sorrette da Guido da Montefeltro e le truppe guelfo-papali, in gran parte d'estrazione franco-angioina, inviate nella regione da papa Martino IV a ristabilirvi l'ordine sotto la sovranità pontificia.
Fu appunto nella Forlì riconquistata alla Chiesa, negli anni successivi al 1283, che si rassodò nel C., sulla scia della tradizione familiare, la sua adesione alla parte papale e poi al guelfismo più intransigente. La prima testimonianza che si riferisce al C. assume a questo riguardo un carattere veramente significativo: essa, infatti, ce lo presenta nell'atto di rendere omaggio, nel 1295, al rettore papale della provincia romagnola. Solo da quest'anno, forse, prese l'avvio la sua carriera politica che, attraverso un'intensa attività pubblica, fece del C. uno dei più zelanti e faziosi fautori del guelfismo tosco-emiliano del tempo: divenne nel corso del 1298 podestà prima a Parma poi a Milano, capitano del popolo a Bologna negli anni 1299-1300.
Senza dubbio il momento di maggior notorietà della sua carriera è rappresentato dalla podesteria fiorentina negli anni 1302 e 1303, in una fase, cioè, cruciale del confronto fra bianchi e neri del maggiore centro toscano. È a tale podesteria, appunto, che l'Alighieri si riferisce in alcuni versi del Purgatorio (XIV, 58-64), dove - in perfetta sintonia coi cronisti del tempo (Compagni, II, 30; G. Villani, VIII, 59) e con altre testimonianze storiche - denuncia la crudele persecuzione dei guelfi bianchi e dei ghibellini di Firenze compiuta dal Calboli. Fu una repressione politica particolarmente sanguinosa per la famiglia degli Abati e per altri oppositori sospettati di tradimento, destinata a lasciare un retaggio di violenze e di odi insanabili nella già tormentata Firenze del primo Trecento. Poco dopo il C., forse non del tutto rassicurato del fatto di aver ristabilito nella città il regime dei neri, fu in qualità di capitano di guerra alla testa della spedizione militare che a Pulicciano liquidò le residue speranze degli esuli fiorentini di rientrare nella loro città e inferse, al tempo stesso, un duro colpo alla forza militare del suo più diretto rivale, il ghibellino forlivese Scarpetta Ordelaffi che aveva appoggiato l'azione militare dei fuorusciti toscani.
Negli anni seguenti il C., approfittando di un momentaneo declino del ghibellinismo forlivese e romagnolo, rimise saldamente piede col suo casato in Forlì e si rivelò infaticabile nel tessere la trama del gueffismo romagnolo più intransigente. Riappare ancora numerose volte, ora nella veste di capo militare, ora di primo cittadino, in vari Comuni, e più indizi fanno ritenere che questi ulteriori sviluppi della sua carriera contribuissero a consolidare quella fama di uomo politico fazioso e senza scrupoli che il C. si era creata a Firenze. Nel 1306 fu chiamato a tenere la podesteria a Modena; dal 1307 al 1309 fu capitano del popolo a Bologna. Ma questi impegni non lo distolsero dal fronte romagnolo, dove negli stessi anni condusse con successo imprese militari, prima contro il castello di Bertinoro, espugnandolo, poi contro Imola e Castel San Pietro, superando sul momento gli avversari. Non tardò poi a riprendere contatto col mondo guelfo d'oltre Appennino e a rinsaldarne i vincoli di alleanza, in occasione della discesa di Enrico VII in Italia: attorno al 1309 fu capitano di guerra a San Gimignano; nel nov.-dic. 1312 ricoprì la stessa carica in Firenze. Ma la sua azione, intesa a costituire una lega militare antimperiale, non sortì effetto, soprattutto per le lacerazioni manifestatesi all'interno delle forze guelfe fiorentine. Di conseguenza il C. si trovò costretto a rinunciare alla sua carica e a lasciare la città toscana.
Frattanto anche Forli, in seguito al ritomo irresistibile degli Ordelaffi, gli si era ribellata, così che ormai i Calboli apparivano tagliati fuori non più solo dalla loro città ma dall'intero mondo romagnolo.
Ma il declino della fortuna politica dei Calboli e del prestigio personale del C. non fu tale da impedire a questo di continuare la sua carriera e di essere ancora temuto dai suoi rivali: infatti, nel 1321 fu chiamato nuovamente a Bologna a reggere il capitanato del popolo. A tale circostanza, cui si lega direttamente l'espulsione dalla maggiore città emiliana di Romeo Pepoli e il ritorno al potere dei Maltraversi che costituivano il partito dei guelfi intransigenti, alcuni studiosi vorrebbero riferire i versi allegorici di un passo della seconda egloga responsiva di Dante a Giovanni del Virgilio: "…Mopsum visurus adirem, / hic grege dimisso, ni te, Polipheme, timerem". / "Quis Poliphemon" ait "non horreat" Alphesiboeus / "assuetum rictus humano sanguine tingui, / tempore iam ex illo quando Galathea relicti / Acidis heu miseri discerpere viscera vidit?" (Egloga IV, 74-79); in quel Polifemo, la cui temibile presenza in Bologna avrebbe dissuaso l'Alighieri dall'andarvi a cogliere l'alloro poetico offertogli dal suo corrispondente, si è voluto ravvisare il C.; e in quei versi una nuova condanna lanciata dal poeta contro l'implacabile persecutore suo e della sua parte politica.
Declinato il guelfismo in Romagna e in altre parti della penisola, il C. militò direttamente al servizio della Chiesa, in qualità di capitano generale di guerra delle truppe papali in Tuscia, in Lombardia e nella Marca d'Ancona negli anni 1322-1323; ma continuò ad altemare il servizio armato alle sue funzioni politiche: i fasti comunali lo segnalano, infatti, come capitano del popolo a Bologna nel 1325, come podestà ancora a Bologna e a Faenza, rispettivamente negli anni 1326 e 1327; ma non sembra che tali cariche, a differenza di quelle tenute in precedenza, siano state contrassegnate da fatti rilevanti di ordine politico.
Da una cronaca bolognese (l'interesse insistente delle fonti bolognesi per il C. attorno a questi anni potrebbe significare che questi, oltre a ricoprire in Bologna le più alte cariche comunali, vi aveva preso dimora) risulta che negli anni 1333-1334 il C. fece l'estremo tentativo di recuperare alla Chiesa e al suo casato Forli, ridotta ormai saldamente sotto la signoria degli Ordelaffi, ma senza successo. E questa, se non proprio l'ultima, una delle ultime notizie significative dell'esistenza irrequieta ed errabonda del C. che si spense probabilmente verso il 1340, forse senza lasciare discendenza.
Fonti e Bibl.: P. Cantinelli Chronicon, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXVIII, 2, a cura di F. Torraca, pp. 25 ss.; M. de Griffonibus Mem. historicum de rebus Bononiensium, ibid., XVIII, 2, a cura di L. Frati-A. Sorbelli, pp. 34-36; Corpus chronicorum Bonon., ibid., XVIII, 1, vol. II, a cura di A. Sorbelli, pp. 257, 283-285, 347, 353, 367, 431; Delizie degli eruditi toscani, IV, Firenze 1773, pp. 174 ss.; X, ibid. 1778, pp. 27-29; XVII, ibid. 1778, p. 107; Acta Henrici VII, II, Firenze 1877, pp. 185, 188, 189, 197, 199; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, II, Berlin 1900, pp. 256-257, 271-272; G. Grimaldi, Messer Fulceri de' Calboli in un processo del secolo XIV, in Le Marche, VII(1908), pp. 86-121; C. Ricci, L'ultimo rifugio di Dante, Milano 1891, ad Indicem;G.Biscaro, Dante a Ravenna. Indagini storiche, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, XLI (1921), pp. 76-98; G. Pecci, La casa da Calboli. Saggio storico-genealogico, Roma 1934, pp. 25-70; G. Mazzoni, Dante e il Polifemo bolognese, in Archivio storico italiano, XCII (1938), I, pp. 4-40; C. G. Mor, Predappio e la genesi dei suoi statuti (Contributo allo studio degli statuti tosco-romagnoli), in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LVIII (1944), pp. 39-57; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 179, 338 ss., 675, 690, 701, 915; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di Dante, Firenze 1964, ad Indicem; J.Lamer, The lords of Romagna, London 1965, ad Indicem; Enc. dantesca, I, pp. 761-762.