fuio
. Termine dell'uso vivo (cfr. Torraca, in " Bull. " II [1895] 190), che risale probabilmente a un derivato di fur di cui mantiene il valore di " ladro " (cfr. Parodi, Lingua 280), come conferma anche un documento del 2 ottobre 1305 nel quale si accusa una vedova che la fama indicava " esse et fuisse publicam et famosam fuiam sive furam " (cfr. R. Piattoli, in " Studi d. " XIX [1935] 136). Tale valore si riscontra nei tre luoghi della Commedia, dove f. compare sempre in rima nella forma femminile.
È aggettivo in If XII 90 [Dante] non è ladron, né io [Virgilio] anima fuia, e in Pd IX 75 " Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia ", / diss'io, " beato spirto, sì che nulla / voglia di sé a te puot'esser fuia... ", che gli antichi parafrasavano approssimativamente: " niuna volontà ti può essere celata a te " (Buti), può essere " furata e nascosta a te " (Vellutello); meglio il Cesari: " non può a te rubar sé medesima ", cioè " non può nascondersi, sottrarsi, occultarsi ".
È sostantivo in Pg XXXIII 44 un cinquecento diece e cinque, / messo di Dio, anciderà la fuia / con quel gigante che con lei delinque, dove il termine è riferito alla puttana sciolta di XXXII 149. Gli antichi commentatori hanno frettolosamente sorvolato sul termine rimandando a " la preditta putana " (Lana); il Buti chiosava " la meretrice, per la quale intende lo papa e la corte di Roma fuggitiva, che è fuggita, per mellio adulterare con lui da Roma in Francia ". Diversamente il Daniello: " la piena di foia e adultera puttana " (v. FURO).