FUGGER
. Nella fioritura di numerose e potenti famiglie di mercanti-industriali banchieri, che si manifesta nelle città dell'Alta Germania, e principalmente in Augusta, fra la metà del Quattrocento e i primi decennî del Cinquecento, occupa di gran lunga il primo posto quella dei F., la storia dei quali può considerarsi come tipica per lo sviluppo di una grande azienda commerciale che, sorta in ambiente e con forme schiettamente medievali, trova poi nelle condizioni nuove che annunciano l'inizio dell'età moderna l'occasione e lo stimolo a trasformarsi o ad assumere l'importanza di una potenza capitalistica mondiale.
Le origini della famiglia, che doveva raggiungere più tardi la nobiltà e anzi, in uno dei suoi rami che ancora sopravvive, il titolo di principe, sono assai modeste. Il capostipite Hans si trasferisce intorno al 1368 dal villaggio di Graben, nella Svevia bavarese, dove la sua famiglia esercitava l'agricoltura, la tessitura e la tintoria nella vicina Augusta, attrattovi probabilmente dallo sviluppo che vi avevano raggiunto le industrie tessili, e vi esercita l'industria della tessitura del fustagno, riuscendo ad essere accolto come maestro nella corporazione dei tessitori, e unendo a questa attività il commercio dei filati e dei tessuti. Egli riesce così a mettere insieme una modesta sostanza, a costruire una casa nel centro di Augusta e ad arrotondare la proprietà terriera della famiglia a Graben.
Il secondogenito Jakob I, o Jakob il Vecchio, è considerato come il fondatore della casa commerciale, favorita allora (intorno al 1450) dall'espansione che andava prendendo l'industria di Augusta. Jakob I, che appartenne anch'egli dapprima all'arte dei tessitori, figura invece nel 1463 in una lista della corporazione dei mercanti. È dunque evidente che l'attività commerciale era diventata per lui preminente, e che egli non esercitava più direttamente l'industria, ma faceva lavorare per proprio conto un certo numero di tessitori, vendendone il prodotto insieme coi filati, col cotone greggio, con la lana, la seta, le spezie e le frutta meridionali, che acquistava in Italia e particolarmente a Venezia, dove due dei suoi figli muoiono in età giovanile.
Morto nel 1469, lasciando otto figli, gli affari della ditta, diretta dalla vedova e dai figli maggiori Ulrich, Peter e Georg nella forma che doveva sempre conservare, della compagnia familiare, si sviluppano. Nel 1473 i F. entrano per la prima volta in rapporti diretti con l'imperatore, essendo stati incaricati dal cancelliere dell'Impero di fornire a Federico III buone stoffe di lana e di seta. Questa modesta fornitura e la distinzione che ne fu la ricompensa, di potersi fregiare di un'arma, rimasero tuttavia un fatto isolato, e non si possono far risalire ad esso i rapporti continuati di affari con la casa d'Asburgo, che si inizieranno solo 14 anni più tardi.
I F. sono ancora a quel tempo soprattutto dei mercanti di materie tessili e di tessuti, che mantengono il centro e la base della loro attività ad Augusta, dove però la loro potenza è enormemente cresciuta. Al commercio dei tessuti locali essi uniscono quello di una ricca varietà di stoffe di ogni provenienza. Al commercio in proprio uniscono quello di commissione e finalmente, sebbene ancora in misura modesta, anche affari di banca. L'espansione degli affari e l'inizio dell'attività bancaria sono favoriti dalla creazione della prima fattoria dei F. a Norimberga (1470), a cui è preposto il secondo dei fratelli, Peter, e dalla chiamata a Roma (1471), come scrivano nella cancelleria papale, di un altro dei fratelli, Markus, che aveva scguito la carriera ecclesiastica. Questi non dimentica gl'interessi della famiglia, e si adopera, con fortuna, perché gli ecclesiastici tedeschi per la raccolta e la trasmissione di offerte e indulgenze si valgano dell'opera dei suoi fratelli ad Augusta e a Norimberga. Si iniziano così, fin dal 1476, i rapporti di affari dei F. coi papi, che però soltanto dopo il 1487 dovevano salire a una grande importanza.
Alla morte dei due fratelli maggiori, Peter (1473) e Markus (1478), il minor fratello Jakob II, che era stato destinato agli studî ecclesiastici, fu mandato a Venezia per perfezionarsi nella tecnica del commercio prima d'intraprenderne l'esercizio. Qui egli risiede dal 1478 al 1480, e ne assorbe in tal modo la cultura e gli usi, che al suo ritorno in patria, dopo un lungo viaggio per le principali città dell'Europa, i suoi familiari stessi lo chiamano col nome italiano "Giacomo". L'anno in cui Giacomo ritorna in Augusta (1481) e in cui egli in virtù delle conoscenze acquistate nei suoi viaggi, della maggior larghezza di vedute, della genialità del suo spirito, per cui si armonizzavano in lui l'umanista, il cultore appassionato delle arti e l'uomo d'affari audace, diventa il vero animatore della ditta, di cui i fratelli Ulrich e Georg seguitano a tenere l'amministrazione e la gestione degli affari puramente commerciali; quell'anno coincide con l'inizio della maggiore fioritura della piccola ma famosa e ricchissima città dell'Impero, che diviene allora uno dei più ricchi centri capitalistici d'Europa.
In un ambiente così favorevole comincia dopo il 1480 ad esercitarsi l'attività di Jakob II, il Ricco, che aveva tutti i requisiti necessari per trarne il massimo vantaggio, e trovava per la sua audacia una base sicura nella solida organizzazione della sua ditta. Con l'ingresso di Jakob il Ricco nella ditta coincide infatti l'inizio della rapida espansione degli affari, che non può attribuirsi soltanto all'opera sua, dato che egli non aveva allora che 21 anno, ma che deve aver ricevuto da lui un notevole impulso. I F. si costruiscono in Augusta una nuova casa, con ampî magazzini, cortile e uffici; intensificano ed estendono il commercio delle spezie, delle sete e della lana e aggiungono a questo anche gli affari di banca, tanto che in un atto pubblico del 1486 si parla per la prima volta di una "banca di Ulrico Fugger" in Augusta; e di tal genere di affari si occupa di preferenza la fattoria che i F. avevano istituito a Norimberga. Dopo il 1487 si fa più evidente l'attività personale di Jakob, di cui le cronache del tempo dicono che si occupò soprattutto di affari minerarî, del commercio vero e proprio dei cambî e di tutti gli affari di riscossioni e pagamenti per conto di terzi e di prestiti.
Questi nuovi rami che si aggiungono, senza sostituirli, ai più vecchi dell'attività industriale e commerciale dei F., diventando però la fonte principale della loro ricchezza, sono strettamente collegati fra loro. Sono i prestiti fatti agli Asburgo, dapprima all'arciduca Sigismondo e poi a Massimiliano, che offrono ai F. l'occasione di partecipare al commercio dei metalli nel momento più favorevole, quando cioè i bisogni del commercio notevolmente accresciuto e soprattutto le accresciute necessità finanziarie delle potenze europee, determinavano un'intensa richiesta d'argento, e anche più il rapido sviluppo delle artiglierie moltiplicava la domanda di rame. In un primo tempo i prestiti fatti agli Asburgo sono garantiti con pegni o più spesso soddisfatti con la vendita anticipata di tutta quella parte dei prodotti delle miniere del Tirolo che spettano ai principi per diritto di signoria. Comincia così da parte dei F. un commercio assai proficuo di rame e d'argento che ha uno dei suoi sbocchi più importanti a Venezia, di dove l'argento è inoltrato in quantità rilevanti su Roma, e serve a pagare le rimesse di fondi, che i F. hanno riscosso in Germania per conto del papa o di altri prelati. Dal commercio dei metalli la ditta passa presto alla partecipazione o all'esercizio diretto delle miniere e di forni per la fusione dei metalli, sia per effetto di concessioni ottenute dal principe, sia associandosi, in qualità di soci capitalisti, a preesistenti imprese minerarie, come quelle dei Thurzo di Cracovia, che esercitavano importanti miniere di rame e d'argento nei Carpazî. L'attività dei F. nel campo minerario e metallurgico si estende così dal Tirolo in Ungheria, dov'essa assume la massima importanza, e più tardi nel Salisburgo, in Stiria, in Carinzia, nella valle dell'Isarco, e finalmente in Spagna, ad Almaden, dov'essi, succedendo a una ditta di banchieri italiani, assumono la gestione di quegl'importantissimi giacimenti di mercurio.
In meno di venti anni, fra il 1490 e il 1500, la casa F., sotto la spinta di Jakob II, che solo alla fine di quel periodo, in seguito alla morte dei fratelli maggiori, assume anche formalmente la direzione della società, riesce cosi ad assicurarsi il controllo sulla maggior parte della produzione europea del rame, e per trovare un collocamento vantaggioso a questa produzione, oltre che per i suoi sempre più numerosi affari di banca, è indotta ad assumere il carattere e l'organizzazione di una grande impresa mondiale.
Oltre alla casa madre di Augusta, oltre alle fattorie sparse nelle maggiori città della Germania, fra cui le principali erano a Norimberga, Francoforte, Lipsia, Breslavia, altre se n'erano istituite in Tirolo, a Innsbruck e a Schwaz, per la vigilanza sulle miniere e la spedizione dei metalli; in Ungheria, a Ofen (Buda); in Polonia; al di qua delle Alpi, a Bolzano, a Venezia, a Milano, a Genova, di dove nel 1509, quando Venezia in guerra coi Turchi non può spedire le sue galere in Levante, armano con altre società tedesche alcune navi per spedirvi un grosso carico di rame; a Roma, dove essi acquistano una casa e dove si parla di una vera "banca dei Fugger" che esercita presso la corte papale le stesse funzioni che vi avevano finora esercitato i banchieri fiorentini, e dove essa assume per qualche tempo la gestione della zecca; e finalmente a Napoli. Importanza eguale o superiore a quella di Venezia assume, dopo la fine del Quattrocento, la fattoria di Anversa, a cui si aggiunge, poco dopo, quella di Lisbona per la partecipazione dei F., fin dal 1503, accanto ad altre ditte dell'Alta Germania, alle imprese marittime e commerciali dei Portoghesi nelle Indie. In tal modo l'attività della grande impresa, che fa capo ad Augusta, si estende dall'Ungheria, dalla Polonia e dalla Russia, attraverso Anversa, fino alla Spagna e al Portogallo, e di qui fino alle Molucche e al Brasile; dai Paesi Scandinavi fino a Napoli. Nella grande varietà degli affari esercitati dalla ditta, quelli di banca devono essere di gran lunga preponderanti, a giudicare dall'inventario del 1527, in cui, sopra un attivo totale di 2.811.000 fiorini d'oro renani, 1.650.000 fiorini sono rappresentati da crediti verso l'imperatore e alti principi tedeschi, verso il papa e alti prelati e verso parecchi sovrani stranieri. A questa attività bancaria si riferiscono i due episodi famosi e molto significativi, che legano il nome dei F. alla storia della Riforma e a quella dell'Impero: l'episodio cioè del 1517, quando i F., a soddisfazione del prestito di 30.000 ducati fatto ad Alberto di Brandeburgo per l'acquisto del vescovado di Magonza, ottennero da lui la cessione della sua parte nella vendita delle indulgenze, per cui un loro rappresentante con le chiavi della cassa accompagnava il domenicano Tetzel nella sua predicazione, provocando lo sdegno di Lutero e inducendolo all'affissione delle famose 95 tesi. Anche più noto è l'altro episodio della parte avuta anche da Jakob F. nell'elezione di Carlo V (1519), alla quale contribuì con un prestito di 543.000 fiorini sugli 850.000 che rappresentavano il costo totale dei voti.
Una tal mole di affari, per la maggior parte fortunati, determinò un aumento rapidissimo della ricchezza familiare dei F.: mentre nel 1494 il patrimonio sociale dei tre fratelli (Ulrich, Georg, Jakob) era di appena 54.565 fiorini, alla morte di Ulrich (1510) esso è già salito a 245.463; e 17 anni dopo, quando, morto nel 1525 anche Jakob, il nipote e successore Antonio vuol fare un esatto inventario della consistenza patrimoniale, trova un attivo di 2.811.000 e un passivo di 870.000 fiorini, risultando così il patrimonio netto della società di 1.941.000 fiorini. Ma questa fortuna sorprendente, come tutte le fortune dei grandi banchieri privati del più tardo Medioevo e degl'inizî dell'età moderna, portava dentro di sé il tarlo che doveva presto o tardi condurla alla rovina: il legame troppo stretto e indissolubile che la legava alla sorte dei principi, a cui essa forniva i mezzi per vivere e per combattere e che dal canto loro l'avevano validamente aiutata nella sua ascesa. Il pericolo fu visto da Anton F., che, già prima del 1550, avrebbe voluto liquidare la società e ritirarsi dagli affari. Ma la cifra enorme dei crediti verso l'imperatore non solo era tale da rendere impossibile la liquidazione, ma metteva il creditore nella necessità di aderire alle sue nuove richieste per evitare che una sconfitta togliesse ogni speranza di riscuotere il vecchio credito. L'immobilizzazione raggiunse tali proporzioni che non fu possibile farvi fronte col solo patrimonio sociale, ma si dovettero impegnare i denari dati dai clienti per depositi o assegni. La solidità della ditta cominciò a manifestarsi già debole quando Filippo II, nel 1557, sospese i pagamenti in Spagna e nei Paesi Bassi. Soltanto 5 anni dopo la ditta ottenne dal governo spagnolo il riconoscimento del credito gigantesco con alcune garanzie; ma dovette subire gravi perdite per riduzioni degl'interessi arretrati e per le condizioni sfavorevoli con le quali dovette assumere l'esazione di alcune imposte. Nuove perdite essa subì nella seconda bancarotta della corona di Spagna nel 1575, finché il definitivo distacco dalla Spagna delle provincie olandesi e la terza bancarotta spagnola nel 1607, in cui i F. furono coinvolti per 2.500.000 ducati, portarono alla fortuna dei F. il colpo decisivo. Il loro credito fu gravemente scosso dal fatto che di quella somma più della metà (2 milioni) era costituita da denaro dei loro depositanti; e scese presto così in basso che nel 1630 per scontare una cambiale dei F. di sole 5000 corone si richiede la firma del genovese Spinola. Si arrivò così alla liquidazione, affidata in parte ai maggiori creditori; la perdita complessiva per debiti insoddisfatti dagli Asburgo risultò di 8 milioni di ducati; e di tutta l'enorme ricchezza della famiglia non rimase che la proprietà fondiaria, anch'essa gravata da debiti.
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