FUCILLO
Nacque a Sorrento sul finire del secolo XV, figlio di un tal Domenico, che gli lasciò l'appellativo "di Micone", usato da lui come cognome. Di umili origini, ma non povero, F. si trasferì a Napoli dove, quasi certamente subentrando nell'attività paterna, divenne mercante di vino nel rione di S. Pietro Martire, vicino alla porta di Massa. Ambizioso e facinoroso, nei turbolenti anni durante i quali Napoli passò dal dominio degli Aragonesi a quello dei Francesi e degli Spagnoli, radunò intorno a sé una congrega di "compagnoni", vagabondi e trafficanti, formando una banda di quartiere. Con l'appoggio di questa F. diventò capo "di piazza", quindi prese moglie, ebbe figli e si circondò di un piccolo stato maggiore, composto dai fedelissimi A. Volpe, G.B. Della Pagliara, A. Cafusso e A. Correaro, artigiani, dai fratelli Tommaso Aniello e Pietro Paolo Sorrentino, da Tommaso de Acampora, Pietro Antonio Lantaro e Antonio Libraro, noti compagnoni. Nel settembre 1532, quando entrò in Napoli il nuovo viceré Pedro Alvarez de Toledo marchese di Villafranca, la nomea di F. era ormai ben radicata nella zona di S. Pietro Martire e si stava diffondendo in tutta la città.
All'inizio del 1533 il Toledo decise di avviare una serie di opere edilizie per il riordino e l'ammodernamento della capitale. Giudicò particolarmente urgenti il rifacimento delle mura e la pavimentazione con mattoni delle strade, allora lastricate di selci. Poiché i deputati cittadini obiettarono che le risorse destinate ai lavori pubblici, già impegnate, non sarebbero state sufficienti, il viceré propose una tassa straordinaria, da esigere per qualche anno, in ragione di 1 tornese per ogni rotolo di carne, pesce o formaggio, 2 carlini per botte di vino e 5 grani per "tondo" di grano. Mentre l'eletto del popolo Domenico Bazio, detto il Terracino, approvò la tassa e indusse all'obbedienza le piazze di Montagna, Porto e Portanuova, quelle di Nido e di Capuana, che dubitavano della temporaneità dell'imposizione, negarono il loro assenso e così fece anche F., oltretutto toccato personalmente dalla gabella.
La conseguente riunione della piazza popolare, il 26 gennaio nella chiesa di S. Agostino, fu assai animata. F. vi intervenne insieme con i suoi seguaci, armati di spade, soffiando sul fuoco della protesta con l'intento di mettersi a capo di un tumulto, obbligando con la violenza il Bazio a recarsi dal viceré per chiedere l'abrogazione dell'imposta e scortandolo a Castelnuovo a capo di una grande folla. Tanto ingenuo e inesperto quanto audace e temerario, commise tuttavia l'errore di lasciare entrare il Bazio da solo nel castello, dove l'eletto del popolo si pose sotto la protezione del castellano Ferrante d'Alarcón. Verso sera, qualche vaga promessa da parte dell'Alarcón fece credere a F. e ai più animosi di aver vinto la battaglia, cosicché l'assembramento attorno a Castelnuovo si sciolse, pur continuando le agitazioni in città. Invece il Toledo, informato degli avvenimenti, ordinò di arrestare F. e tutti gli organizzatori della rivolta.
Il reggente della Vicaria F. Urries ne organizzò la cattura: con uno stratagemma, la mattina del 27 genn. 1533, F. venne attirato a Miroballi, fuori dal suo rione di S. Pietro Martire, e ammanettato. Subito dopo i gendarmi lo condussero nella Vicaria vecchia, per l'interrogatorio. La notizia dell'arresto riaccese il tumulto. La folla, nuovamente riunitasi in S. Agostino, chiese invano l'intervento dell'eletto, ma nella notte un servitore del Bazio diffuse la voce che il viceré aveva ordinato di impiccare il prigioniero. Tutti corsero alla Vicaria, per assaltare il palazzo e liberare F., che nel frattempo era stato sottoposto a tortura dai giudici A. Barattucci e M. Sassi. Le guardie reagirono con archibugiate, ci furono morti e feriti d'ambo le parti. L'Urries, visto il peggiorare della situazione, ordinò di accelerare i tempi: un frate diede i sacramenti a F., stremato dalle torture, dopodiché l'aguzzino maggiore F. de Robles lo strangolò. Alle 2 di notte del 28, aperta una finestra del palazzo, il cadavere appeso con una corda venne gettato alla folla che invocava il suo capo. L'orrore suscitato da questa visione e l'uscita della guarnigione spagnola da Castelnuovo fecero cessare il tumulto.
Tra il 28 gennaio e il 2 febbraio furono assicurati alla giustizia molti compagni di Fucillo. L'8 febbraio il Volpe e il Della Pagliara vennero impiccati alla Vicaria, mentre il Cafusso e il Correaro, insieme con altre persone, furono condannati alle galere. I Sorrentino, l'Acampora, il Lartaro e il Libraro riuscirono a fuggire. Tommaso Aniello Sorrentino, in particolare, divenne poi, nel 1547, uno dei capi della nuova rivolta contro il Toledo. Il viceré, pago di aver vinto questo primo confronto con la città, volle, come gesto di clemenza, sospendere l'esazione della tassa, rinviandola a un momento più opportuno. Questo si presentò nel 1535, quando i timori suscitati dalle scorrerie della flotta ottomana di Khair ad-din, il Barbarossa, nel Tirreno indussero i Napoletani a pagare la gabella per il restauro delle mura.
La rivolta di F., pur essendo un episodio minore della storia di Napoli (narrato secondo differenti versioni da vari storici partenopei del XVI e XVII secolo), fu comunque la prima sollevazione cittadina a carattere schiettamente popolare, nella quale non s'inserirono, anche per la brevità del tumulto, rivendicazioni aristocratiche o borghesi.
Fonti e Bibl.: Dell'Istoria di notar A. Castaldo, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'Istoria generale del Regno di Napoli, a cura di G. Gravier, VI, Napoli 1769, int. 5, p. 44; G. Rosso, Istoria delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo V, ibid., VIII, ibid. 1770, int. 2, p. 48; T. Costo, Della seconda parte del compendio dell'Istoria del Regno di Napoli, ibid., XVIII, ibid. 1770, p. 339; P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, ibid., XIV, ibid. 1770, p. 613; Cronica di Napoli, in Raccolta di varie croniche, diarj ed altri opuscoli… appartenenti alla storia del Regno di Napoli, a cura di C. Pelliccia, I, Napoli 1780, pp. 200 ss.; S. Miccio, Vita di d. Pietro di Toledo, in Arch. stor. ital., s. 1, IX (1846), pp. 20 ss.; B. Capasso, La Vicaria vecchia, Napoli 1889, pp. 164-179; R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari 1967, p. 35; G. D'Agostino, Il governo spagnolo nell'Italia meridionale (Napoli dal 1503 al 1580), in Storia di Napoli, V, 1, Napoli 1972, pp. 50 s.