CHOPIN, Fryderyk Franciszek
Compositore e pianista, nato a Żelazowa Wola (Varsavia), da Nicola Ch., francese di origine polacca, e da Giustina Krzyżanowska, il 22 febbraio 1810, morto a Parigi il 17 ottobre 1849. All'età di sei anni fu iniziato agli studî musicali dal boemo A. Živný, fervente studioso dell'arte bachiana, e dopo tre anni era già in grado di presentarsi come pianista in una serata di beneficenza, eseguendo un concerto di Gyrowetz. Già noto e ammirato nei migliori ambienti di Varsavia, nei quali era stato introdotto dal principe A. Radziwiłł, il fanciullo fu affidato per il suo perfezionamento nella composizione a G. Elsner, direttore del conservatorio di Varsavia. Composti giމ alcuni lavori, inizin̄ la sua carriera artistica con alcuni concerti (nei quali presentava anche musiche sue) ch'egli diede a Vienna nell'agosto 1829. In questa cittމ egli poi tornn̄ (dopo essere stato trattenuto in patria per oltre un anno dall'amore concepito per un'allieva del conservatorio: Costanza Gładkowska), restandovi per pił di dieci mesi, e stringendovi amicizia col Malfatti, medico dell'imperatore, dal quale ebbe preziose presentazioni per gli ambienti aristocratici e artistici viennesi e parigini. E, soggiogata dai Russi la Polonia, Parigi diventa la residenza di Ch., il quale fin quasi dai primi tempi, protetto dal principe Radziwiłł, vi ottiene quella piena comprensione che fuori della patria non aveva ancora trovato. Avviato giމ verso una larghissima fama, dai connazionali venuti a Parigi egli era ricercato e celebrato quale gloria della patria lontana. In questo tempo Ch. si riavvicina a quella famiglia Wodziński che l'aveva accolto adolescente quale maestro della piccola Maria W., e dal nuovo incontro nasce nei due giovani un tenero amore, cui soltanto i pregiudizî di casta del padre di Maria poterono precludere il coronamento del matrimonio. Ch. aveva trascorso, in questi anni parigini, il periodo più felice e attivo della sua carriera musicale, ma il dolore infertogli dalla sua rottura coi Wodziński, come anche l'eccessivo sforzo cui la composizione, i concerti e l'insegnamento l'avevano esposto, menano il primo colpo alla sua già delicata salute. G. Sand, che da poco l'aveva accostato, lo convince ad accompagnarla a Palma di Maiorca, dov'ella conduceva (1838) il figliuolo ammalato, e dove anche egli avrebbe dovuto giovarsi del clima. Ma questa speranza andò delusa: Ch. vide il suo male aggravarsi, e dovette persino porsi a letto per tre settimane. Verso la metà di settembre, trasferitosi nel convento di Valdemosa presso Palma, egli riesce però - giuntogli un pianoforte - a riprendere il lavoro, e da Valdemosa datano infatti alcune delle migliori sue pagine. Non appena la salute di Ch. fu un poco migliorata, si rese possibile il viaggio di ritorno in Francia e verso la fine del '39 il maestro si stabilisce, a Parigi, nella stessa casa di G. Sand. I due rimasero da allora quasi sempre insieme, a Parigi o a Nohant (dove si recarono, sino al 1846, nell'estate), fino a che, per gravi contrasti d'idee e di carattere, non dovettero, nel 1847, separarsi definitivamente. L'attività artistica di Ch. s'avviava ora, per il rapido affievolirsi della resistenza fisica, alla fine. Nel febbraio del 1848 diede l'ultimo suo concerto a Parigi: chiamato in Inghilterra da una sua allieva, Jane Stirling, tenne varî concerti e viaggiò tra Londra, Manchester e la Scozia, aggravando il suo stato. Tornato a Parigi, dove giunge anche la sorella Luisa, vi muore dopo pochi mesi.
Il mondo musicale, allorché l'arte di Ch. cominciò a imporsi, era ormai orientato verso il romanticismo. Ch. fu uno dei principali e più importanti creatori della nuova vita musicale. La sua arte si libera completamente dalle influenze scolastiche, volgendosi a manifestare anche nella musica pianistica, fino allora alquanto vincolata dalle tradizioni tecniche clavicembalistiche, il nuovo senso romantico, e a valorizzare il cosiddetto colore armonico; elementi, questi, che appariranno con alterno predominio nella letteratura pianistica tedesca e in quella (specialmente impressionistica) francese. Non si può immaginare l'esistenza di Liszt e di Brahms da un lato, di Debussy dall'altro, senza tener conto di Ch.
Nella scrittura pianistica anteriore a Ch., basata sulla tradizione clavicembalistica non vinta completamente dal rinnovamento dei beethoveniani e dei primi romantici, si ritrovavano ancora caratteri proprî di uno strumento a percussione. Il cantabile rimaneva assai spesso nei confini del suono martellato; le armonie raramente potevano raggiungere nel timbro effetti di vaporosità; si sentiva insomma che qualche cosa mancava perché la nuova coscienza pianistica raggiungesse la piena maturità. Ed ecco ora, presso Chopin, i larghi arpeggi, le melodie a grandi intervalli, il passare improvviso da un'ottava ad un'altra, il dilagare di tutti gli elementi sonori della composizione lungo tutta la tastiera del pianoforte, ecco insomma il pianoforte rivelato nella sua natura e nelle sue proprie possibilità. L'aderenza fra l'opera d'arte e il mezzo sonoro è tanto stretta che quasi tutta la produzione di Ch. (in ogni caso la più importante) nasce per il pianoforte. La melodia chopiniana, non soltanto nelle volute di arabeschi che l'abbelliscono, ma anche nella sua interna struttura, si rivela come una melodia necessariamente pianistica, ricca com'essa è di gradazioni cromatiche, di alterazioni, di larghi intervalli. Così si dica anche del ritmo a vaste ondulazioni, spiegato, più che dalla misura, dal respiro stesso della frase melodica. Quanto all'armonia, essa anche più degli altri elementi determinava tale preferenza. Ch. seppe creare un mondo armonico, diremo così, incantato e sognante: i suoi accordi non si riproducono, ma variano per infinite sfumature, le modulazioni giungono di sorpresa e conducono la melodia attraverso tonalità lontane, creando in tal modo un'atmosfera di meraviglia, d'imprevisto: è un'armonia oscillante, in movimento continuo come le onde del mare, un'armonia che, per vivere, come essa vive, al di fuori di qualsiasi conseguenza contrappuntistica. ha bisogno di essere concentrata nei limiti di un solo istrumento, del pianoforte cioè, che è l'unico capace di presentare esplicitamente un mondo sonoro nella sua totalità.
L'opera di Chopin si volge a preferenza verso forme aperte e libere o dall'artista liberamente svolte: il Preludio, lo Studio, il Notturno, il Valzer, la Mazurca, lo Scherzo, la Ballata, la Polacca, il Bolero, l'Improvviso, hanno accolto quanto di meglio abbia concepito Ch. Si sente in queste opere l'intimo e profondo legame tra forma e sostanza, tra materia e costruzione. Il discorso musicale si svolge secondo una sua logica interiore e non appare guidato da schemi esterni: schemi che Cn. poteva così poco sopportare che, per es., di composizioni in forma di sonata non ne lasciò che ben poche. E infatti in queste poche il carattere di Ch. appare, sì, con evidenza luminosa in questa o in quella pagina, ma troppo evidente vi è anche lo sforzo che ne accompagna la composizione; e l'impostazione, gli sviluppi, le conclusioni, appaiono dettati dall'esterno, più che originati da intima logica dialettica. Tra le opere più caratteristiche dell'artista singolarmente "nazionale" bisogna ricordare le Polacche e le Mazurche. Le danze della sua terra tornano nel suo animo in un'esaltata commozione. Nelle Polacche è un'irrompere di melodie decise, potenti, guerresche, nelle Mazurche lo spirito polacco si esprime invece attraverso i suoi aspetti più gioiosi, o delicatamente lirici, o passionali. Altro è il carattere dei Notturni, dei Valzer, dei Preludi, e degli Studî. I Notturni sono veri e proprî lieder per pianoforte: la linea melodica si svolge così come si svolgerebbe un racconto, racconto che molte volte acquista un carattere drammatico; infatti Ch. ama, in armonia con il bitematismo delle forme strumentali classiche ma anche con lo stroficismo del lied, porre in contrasto con la melodia iniziale un elemento dal ritmo più vivo e concitato, cui segue una ripresa della prima idea a concludere la composizione. Ma occorre notare che i passaggi dall'una all'altra idea e dall'una all'altra strofa si compiono direttamente, senza ponti o transizioni agogiche, quali troviamo nella forma-sonata. I Preludî sono assai spesso anch'essi formati da due elementi, ma dai Notturni si distinguono, in genere, per varietà di affetti, chiarezza ritmica ed elaborazione di scrittura. Gli Studî costituiscono ciascuno, per così dire, la conseguenza di una data esigenza della tecnica nella musicalità pura, e in alcuni di essi, come in alcuni dei Preludi, Ch. giunge alla scrittura più preziosa ed elaborata. Nei Valzer, liberamente informati al tipo consueto, il ritmo è più elastico, appropriato a musiche intese non tanto a sostenere e accompagnare praticamente il ballo, quanto a suscitare vaghe visioni del mondo della danza. La Ballata è presso Ch. la fedele trasposizione in un piano musicale del componimento letterario omonimo, così come esso fu inteso e trattato nel periodo romantico: un succedersi perciò di elementi musicali che equivalgono alle strofe del componimento poetico e che sono legati l'uno all'altro dalla complessiva struttura ritmica e dal dominio di un'idea melodica centrale. Lo Scherzo non va confuso con l'omonima forma beethoveniana: perduto ormai ogni legame col minuetto, esso è piuttosto una specie di fantasia di carattere drammatico, in due episodî: lo Scherzo vero e proprio e il Trio.
Nella vasta e varia opera chopiniana si deve rilevare anche la compatta unità stilistica. Mentre a uno sguardo poco attento essa può apparire come una serie di felici e brillanti improvvisazioni, un esame accurato invece rivela la solidità della costruzione, la logica del linguaggio musicale, la classica perfezione di tutte le parti. Anche in Ch., come negli autori del periodo classico, il discorso procede attraverso periodi ben definiti e perfettamente equilibrati, anche in lui troviamo quel nascere della composizione dalle enunciazioni di quattro od otto battute, quel crescere, svilupparsi, concludersi attraverso risposte, sviluppi, divertimenti, ciascuno racchiuso in gruppi di battute di un numero multiplo di quattro. Il suo spirito, la sua atmosfera armonica, il suo ritmo elastico e oscillante, la natura di quel canto di così vasto respiro, tutto questo è, sì, nuovo e romantico, ma non per questo ignora le forme logiche, quadrate, le linee luminose necessarie al maggior risalto dell'opera d'arte.
Opere: (Utile la consultazione del catalogo tematico delle composizioni stampate di Ch., pubblicato a Lipsia nel 1888). Per pianoforte e orchestra: Variazioni, op. 2, sopra Là ci darem la mano (1830); due Concerti, op. 11 (1833) e 21 (1836): variazioni, op. 12, sopra un rondò di Hérold (1833); Fantasia, op. 13, su arie nazionali polacche (1834); Krakowiak, op. 14 (1834); Andante spianato e Polacca (1855). Per violino, violoncello e pianoforte: Trio, op. 8 (1833). Per violoncello e pianoforte: Introduzione e Polacca, op. 3 (I833); Duo concertante (senza numero) su temi di Meyerbeer (1833); Sonata, op. 65 (1847). Per due pianoforti: Rondò, op. 73 (1855). Per pianoforte solo: 3 sonate, op. 4,35 e 58 (pubbl. rispettivamente nel 1851, nel 1840 e nel 1845); 56 Mazurche (pubbl. in numerosi fascicoli dall'op. 6 in poi); 19 Notturni (dall'op. 9, 1833); 27 Studî (dodici dell'op. 10, 1833; dodici dell'op. 24, 1837, e tre per il metodo del Moschéles, s. op., 1840); 15 Valzer (dall'op. 18, 1834); 4 Scherzi (dall'op. 20, 1835); 4 Ballate (dall'op. 23, 1836); 12 Polaeche ed una Polacca-Fantasia (dall'op. 26, 1836); 24 Preludî, op. a8 (1839) ed uno, op. 45 (1841); 4 Improvvisi (dall'op. 29, 1838); 3 Rondò (dall'op. 1, 1825); 3 Scozzesi (appartenenti all'op. 72, 1855); oltre numerose composizioni isolate, tra le quali celeberrime sono il Bolero, op. 19 (1834), la Tarantella, op. 43 (1841), l'Allegro di concerto, op. 45 (1842), la Berceuse, op. 53 (1845) e la Barcarola, op. 60 (1846).
Bibl.: F. Liszt, F. Ch., Parigi 1852; W. de Lenz, Die grossen Pianoforte-virtuosen, Berlino 1872; F. Niecks, F. Ch., Londra 1888; F. Hösick, F. Fr. Ch. (in polacco), Varsavia 1903; J. Hunecker, Ch.: The man and his music, Londra 1901; E. Poirée, Ch., Parigi 1907; G. Petrucci, Epistolario di F. Ch., 1907; I. Valetta, Ch., Torino 1910; A. Weissmann, Ch., Berlino 1912; H. Leichtentritt, F. Ch., Berlino 1913; id., Analyse v. Ch.s Klavierwerken, Berlino 1920; A. Longo, Chopiniana (analisi delle opere pianistiche), in Arte pianistica, 1917-1920; E. Ganche, Ch., 1ª ed., Parigi 1909; E. Jachimecki, Fr. Ch. (in polacco), Cracovia 1927.