FRUTTA (fr. fruits; sp. frutos; ted. Obst; ingl. fruitage)
Le frutta, a seconda della natura e della consistenza del pericarpo (v. frutto), possono distinguersi in: 1. frutta carnose o a polpa: si riferiscono a due tipi, drupa (v. frutto) e bacca. Di essi si utilizza come alimento la parte polposa del pericarpo; 2. frutta secche o a guscio: hanno un pericarpo membranoso, coriaceo o legnoso e si utilizza per l'alimentazione il seme. Col nome di frutta secche in commercio si indicano anche quelle essiccate. Riguardo ai paesi di origine si distinguono in nostrali ed esotiche, ma fra quelle nostrali vi possono essere specie di origine esotica che si siano acclimate nel nostro paese. Le frutta, dal punto di vista pratico, possono essere così classificate: 1. frutta a granella: pere, mele, cotogne, sorbe; 2. frutta con nocciolo: mandorle, pesche, albicocche, ciliege, susine, olive, pistacchi, giuggiole; 3. frutta con più noccioli: nespole, lazzeruole; 4. frutta con semi succosi: melogranati; 5. frutta a bacca: uve, fichi d'India, ribes, uvaspina, agrumi (per questi, esclusi dalla presente trattazione, vedi agrumi, arancio, cedro, limone, ecc.); 6. frutta aggregate: lamponi, more; 7. frutta composte: fichi, moregelse; 8. frutta secche: castagne, nocciole, noci, carrube, pinoli; 9. frutta esotiche: aberia, anona, asinina, banane, eugenia, feijoa, hovenia, kaki, pachira, palma da datteri, passiflore a frutti dolci, pavia dolce, persea, psidio; 10. frutta selvatiche: bagolaro, ciavardello o sorbo selvatico, corbezzolo o ceraso marino, corniolo, crespino, faggio, mirtillo, quercia, ballota.
Storia.
Una parte notevole del nutrimento degli antichi sia in Grecia sia in Roma era costituito da vegetali e fra essi anche da frutta selvatica o coltivata. Si osserva anzi che alcuni frutti, come il frutto della rosa, che oggi non appare più sulle mense, era accolto insieme con gli altri anche nei pranzi prelibati. I frutti più usati furono i seguenti: Il fico (σῦκον, ficus): si mangiava fresco e secco e i freschi erano assai apprezzati, mentre i secchi formavano il nutrimento occasionale più usato in qualunque momento della giornata; i fichi secchi portavano anche un nome particolare: ἰσχάδες, caricae; in taluni luoghi i fichi tenevano luogo di pane e Catone (De re rustica, 56) consiglia di diminuire agli schiavi la razione di pane nella stagione dei fichi. Il fico era uno dei frutti caratteristici di Atene che ne limitò anche l'esportazione; celebri erano pure per la loro grossezza quelli di Olinto. Le buone varietà coltivate furono introdotte tardi presso i Romani. Il sicomoro (συκάμινος, συκόμορος, ficus sycomŏrus, ficus aegyptia) era un frutto molto apprezzato, soprattutto in tempo di carestia; l'isola di Rodi ne era particolarmente ricca.
La mela (malum) nelle sue varietà, rotonde p. es., o ruggini, era mangiata sia cruda sia cotta e in questo caso con varî accorgimenti; certe qualità come quella che i Greci chiamavano πλατάνιον si potevano mangiare, per la loro asprezza, solo cotte. La pera (pirum), originaria dell'Europa o dell'Asia Minore, è nota agli antichi in parecchie qualità differenti, enumerate da Plinio (XV, 16) e non tutte ora bene identificate; anche essa era mangiata cruda e cotta e serviva anche a fare particolari piatti di cucina; le pere conservate e seccate al sole erano considerate come molto nutrienti e si mangiavano bollite nel vino. La mela cotogna (κυδώνια, malum cotoneum) è ricordata già da poeti greci antichi, come Alcmane e Stesicoro; anzi qualcuno degli antichi ha identificato questo frutto coi pomi delle Esperidi; v'erano diverse qualità anche di esso, ma poche si prestavano a essere mangiate crude; in generale si cucinavano col miele; innestando poi il cotogno col melo comune gli antichi ottenevano una varietà molto apprezzata (μηλίμηλον, γλυκύμηλον, malum musteum).
Le nespole (Mespilus germanica L.), di origine orientale, erano note agli antichi, ma più ai Romani che ai Greci, e secondo Plinio erano sconosciute al tempo di Catone. Le sorbe (οἶα, oppure οὖα, sorbum) sono ricordate da Ippocrate (VI, p. 572); se ne faceva anche una farina.
La pesca (persicum) fu conosciuta in seguito alla spedizione di Alessandro e dapprima rappresentò un frutto raro e perciò riservato alla mensa dei ricchi, poi si diffuse nella varietà persica semplice e in quelle duriora o duracina con la carne aderente al nocciolo. L'albicocco (Prunus armeniaca L.) era sconosciuto ai tempi di Teofrasto, ne parla Dioscuride e Plinio brevemente lo menziona col nome di Praecocium: probabilmente è pianta di origine cinese, la cui diffusione in coltura è avvenuta molto tardi, perché i Cinesi lo conoscevano certo oltre 2000 anni a. C.
Il melo granato (ῥοιά, malum granatum) risale in Grecia ad alta antichità; la leggenda diceva che Afrodite stessa (Athen., III, p. 84) l'aveva piantata a Cipro e l'Odissea (VII, 115) ne poneva l'albero nel giardino di Alcinoo. Con tutta probabilità l'albero della mela granata viene dall'Oriente in notevoli varietà, che i Greci e i Romani moltiplicarono e trattarono in modi diversi per ottenere diversi gusti.
Il giuggiolo (lotus) secondo la leggenda era stato il nutrimento dei Lotofagi: secondo la leggenda di Ulisse esso avrebbe rischiato di far perdere ai suoi compagni il desiderio del ritorno in patria con l'allettamento della sua dolcezza (Odissea, I, 94). La prugna (cereum prunum), nota in numerose varietà, non sempre per noi identificabili, fu di uso antico e largamente praticato; già i medici greci consigliano di adoperarle a scopo terapeutico e mescolate col miele e cotte.
Delle ciliege il Prunus avium nella forma selvatica esiste da tempo in Europa ed è rappresentato anche negli scavi preistorici, come in quelli della Lagozza; mentre il Prunus cerasus si vuole introdotto in Roma da Lucullo dopo l'impresa di Mitridate. Sono pure note agli antichi la corniola (κράνεια, corna), usata dapprima secondo Omero a nutrire i porci, ma poi passata anche a servire di cibo agli uomini; e varie bacche, come quelle di ginepro e di agnocasto. Il mandorlo è originario della Regione mediterranea e dell'Asia occidentale temperata. È citato da Teofrasto e da Dioscuride, Plinio però dubita che fosse conosciuto dai Romani all'epoca di Catone.
I datteri (ϕοίνικες, ϕοινικοβάλανοι, palmulae) sono ricordati la prima volta dal poeta ditirambico Melanippide e rimasero lungamente usate come frutta esotica importata dall'estero, così in Grecia come in Roma; essi erano già noti al tempo di Platone; Plinio ne enumerava ben 50 varietà tra cui le più caratteristiche erano quelle di Gerico e della Tebaide. Raramente erano mangiate fresche le olive, come frutta da tavola, mentre talora veniva mangiato il frutto della persea, che è una pianta ancora per noi non bene identificata.
Poeo in onore pare fosse il carrubo (κεράτιον, siliqua graeca o syriaca) e Galeno lo sconsiglia come nocivo alla salute.
L'uva è per gli antichi una delle principali frutta da tavola, anzi Galeno afferma che c'era gente che durante due mesi non mangiava che fichi e uva con poco pane e stava ottimamente in salute; varie erano le qualità note delle uve commestibili e diversamente apprezzate. Molta importanza ha per gli antichi l'uva secca (σταϕίς); se ne conoscono numerose varietà che richiedono ciascuna cure particolari. Il sambuco pare che fosse pure mangiato come frutta con particolare trattamento, e note agli antichi come nutrimento erano anche le more.
La fragola comune (Fragaria vesca L.) fu coltivata dai Romani e appare pure sulla mensa il corbezzolo, almeno dal tempo di Pericle.
Il noce (Juglans regia L.) è pianta della regione mediterranea orientale e dell'Asia occidentale: esso era noto ai Greci che lo trascurarono finché non ricevettero dalla Persia una varietà detta del Re: κάριον, βασιλικόν o περσοκόν. I Romani lo coltivavano dall'epoca dei re e lo ritenevano d'origine persiana: è noto il vecchio uso che essi avevano di gettar noci nelle feste nuziali. Del noce parlano Varrone, Plinio e Dioscuride.
La ghianda è stata dichiarata dagli antichi come il frutto caratteristico degli uomini primitivi, e ancora degli Arcadi in tempi storici, e di ogni età e di ogni paese in tempi di carestia; se ne mangiarono del resto anche in tempi normali, così in Grecia come in Italia. Le castagne, note sotto nomi diversi, erano pure generalmente conosciute e mangiate o direttamente o in forma di farina. Pure conosciute erano le nocciole; se ne citano di Abella nella Campania e di Preneste. Le mandorle dolci e amare erano forse più note in Grecia che a Roma; si credeva che mangiate prima del vino impedissero l'ebbrezza. I pistacchi (πιστάκια, pistacia), venuti dall'Oriente, sono talvolta considerati come commestibili: i pignoli sono pure compresi tra i frutti eduli.
Restano da considerare le cucurbitacee; la zucca (κολοκύνϑη) si mangiava bollita da sola o con acqua e aceto o con mostarda; d'inverno in Grecia si dava affumicata agli schiavi; erano pure in uso il cetriolo, il popone e il cocomero.
Notizie particolari circa l'arte della frutticoltura ne abbiamo già nei vecchi trattati di Catone e di Varrone, dove per es. la coltura del fico trova speciali considerazioni, anche accanto a quella della vite e dell'olivo, e speciali provvidenze riguardano l'innesto delle piante da frutta; libri interi vi dedica il maggior trattato di Columella anche in relazione con l'aumentata importanza della coltura degli alberi fruttiferi al tempo suo; e può essere significativa di una realtà la frase di Varrone (De re rust., I, 2, 6) che parlando d'Italia dice che tota pomarium videtur. Si cercò anzi di perfezionare i generi degli alberi da frutta (Plinio, Nat. hist., XV, 73) e ci fu chi ebbe l'ambizione di dare il suo nome a qualche varietà nuova: c'erano p. es. i pira Dolabelliana, Pomponiana, Seviana, e i mala Mattiana dal cavaliere C. Mattius, contemporaneo di Augusto.
Non si può dire che dall'epoca classica la frutticoltura abbia fatto grandi progressi per quel che riguarda la quantità delle specie fruttifere coltivate; grandi progressi invece ha fatti la tecnica, con la creazione di nuove varietà e con i miglioramenti nei metodi di coltivazione. Nuove specie di alberi da frutto, non coltivati dai Greci e dai Romani, e che hanno raggiunto una grande importanza nell'economia europea sono gli agrumi (v.). Il fico d'India (Opuntia ficus indica Mill.), pianta messicana, è oramai diffuso e acclimato fin dal sec. XVI nell'Europa meridionale, in Africa, in Asia. La fragola di Virginia (Fragaria virginiana Ehr.) originaria degli Stati Uniti fu introdotta nei giardini europei nel 1629; quella del Chile (F. chiloënsis Duch.) originaria di questo paese fu introdotta in Francia nel 1715 e si diffuse ben presto altrove. La nespola del Giappone fu introdotta in Inghilterra da G. Banks nel 1778.
La scoperta dell'America, i viaggi di esplorazione, i cresciuti rapporti con l'Estremo Oriente hanno fatto conoscere un gran numero di frutta esotiche (Pomocannella, corossol, cuore di bue, tutte originarie delle Antille; cherimolia, delle regioni equatoriali americane; mangostano, dell'arcipelago indomalese; albicocco d'America o delle Antille; gombo, di origine africana; mangifera domestica, dell'Asia meridionale, ecc., che però non sono entrati nell'uso comune europeo per l'impossibilità di coltivarli (solo alcuni si cominciano ad acclimare in Italia nelle regioni meridionali o in qualche punto della Riviera ligure) e per la difficoltà di conservarli sì da far loro sopportare lunghi viaggi. Tra questi frutti esotici gli unici che abbiano un consumo abbastanza rilevante sono, con il dattero (v.), la banana (v.), l'ananas (v.) e, in misura minore, il pompelmo (grape-fmit) e il jaji. Le banane originarie dell'Asia tropicale, sono state diffuse con la coltura in tutte le regioni tropicali e subtropicali, tanto che si coltivano anche nella Sicilia e nella Sardegna meridionale. Costituiscono, specie con le loro varietà farinose, l'alimento principale di molte popolazioni dell'Africa centrale.
Frutticoltura.
Tipi di frutteti. - Per quanto la frutticoltura in genere non sia che una forma intensiva di coltivazione, pure, avuto riguardo alle diverse forme che si possono dare alle piante, se si considerano i diversi prodotti per quantità e per qualità, il vario numero delle piante che possono distribuirsi su una superficie di terreno applicando una forma piuttosto che un'altra, è opportuno distinguere una frutticoltura estensiva ed una intensiva. Nella frutticoltura estensiva sono compresi quei sistemi colturali che dànno un prodotto mediocre e non sempre sicuro, sopra una superficie relativamente estesa, ma che richiedono poca spesa d'impianto, di manutenzione e di cure. A questa categoria appartengono: la coltivazione campestre, quella lungo le strade o i viali e il brolo. Nella frutticoltura intensiva sono compresi quei sistemi di coltivazione che richiedono rilevante impiego di capitali, molto lavoro, cure ed intelligenza e dànno in una superficie relativamente limitata di terreno prodotto abbondante, sicuro e di buona qualità. Appartengono a questa categoria il frutteto casalingo, quello di speculazione e i frutteti misti.
Nella frutticoltura estensiva si dà alle piante la forma di pieno vento, più raramente di mezzo vento, e si coltivano tipi di uso comune, commerciale, corrente; nella frutticoltura intensiva non si usa mai la forma di pieno vento, bensì tutte le altre forme; si coltivano varietà precoci o tardive, che sono più pregiate, più ricercate e quindi meglio pagate.
Questi tipi di frutteti sono quelli che si usano nel nostro paese e nel nostro clima. Nei paesi dell'Europa centrale ed anche in taluno dell'Europa settentrionale per ottenere frutta, che altrimenti non si svilupperebbero in piena aria, o forme molto precoci, esistono vasti impianti di serre, riscaldate anche artificialmente in certe stagioni, ove si coltivano piante da frutta. Tale frutticoltura, che noi chiameremo sotto vetro o a calore artificiale, è particolarmente usata e sviluppata nel Belgio, nella Francia settentrionale, nell'Inghilterra meridionale.
Forme delle piante da frutta. - È necessario dare una forma alle piante da frutta per limitare lo spazio occupato e quindi avere la possibilità di coltivarne in una data superficie un numero maggiore, e inoltre per ottenere costantemente un sicuro prodotto. Da non molti anni si usano tali forme nella frutticoltura italiana, ove abbondano ancora le forme alte naturali, raramente sottoposte al taglio, mentre negli Stati Uniti d'America si usano le forme basse (a vaso o piramidale) con fusto ridottissimo. Le forme più consigliabili e in uso sono: piramide, fuso, basse, a pieno e a mezzo vento, alberello, cespuglio, ceppaia, cordone (annuo, semplice, doppio), U semplice, U doppia, palmetta (verticale a 5 rami, Verrier a 6 rami, semplice, doppia). Per le caratteristiche di talune di queste forme e per il modo di ottenerle si vedano le voci speciali.
Impianto di un frutteto. - A seconda degli scopi del frutteto stesso, cioè se si tratti di frutteto casalingo oppure di speculazione o anche misto, le cure da usarsi per il suo impianto sono diverse. Ad ogni modo hanno importanza generale: il clima (perché gli alberi da frutto hanno a seconda delle specie esigenze climatiche diverse), il terreno, l'altitudine, la latitudine, la situazione (se in pianura, in collina, in vallate ecc.) e l'esposizione, che è più vantaggiosa se a mezzogiorno, come dimostrano alcune ricerche sul contenuto zuccherino di alcune specie di frutta.
In Italia si possono distinguere tre zone o regioni geografiche in rapporto alla frutticoltura: 1. regione delle piante a granella, che è la più fredda e presenta i caratteri del clima continentale: questa regione, oltre all'Italia settentrionale, comprende tutta la zona appenninica e le sue diramazioni della Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzi, Campania, Basilicata e Calabria; 2. regione delle piante a nocciolo: è intermedia fra la regione settentrionale e quella più calda meridionale, ed è limitata alla zona costiera dell'Adriatico; 3. regione degli agrumi o dell'olivo e del mandorlo, che comprende le zone più calde della penisola (Liguria, costiera del Lazio meridionale, Campania, Calabria) e le isole (Sicilia, Sardegna ed isole minori).
Esaminando le piante coltivabili nelle diverse regioni, si vede che i climi temperati sono più favorevoli alla frutticoltura tanto nei riguardi dello sviluppo delle piante, quanto nei rapporti di quello delle frutta, del loro aroma, del loro contenuto zuccherino ecc. Nei climi freddi invece le piante sono più facilmente attaccate dalle malattie e le frutta riescono acquose e poco zuccherine. Per alcune, come le varietà precoci di pesche e di albicocche, il clima caldo è favorevolissimo e le frutta riescono eccellenti.
I lavori di preparazione del terreno hanno sempre una capitale importanza e variano a seconda della natura dei terreni stessi. La lavorazione consiste in un dissodamento, detto scasso, che può essere reale se si rimuove completamente il terreno, e questo è necessario quando gli alberi si piantano a distanza inferiore ai 10 metri o parziale se tale distanza è superiore, ed allora si fa solo una fossa larga 3 metri o delle buche quadre di 3 metri di lato. La profondità dello scasso delle fosse o delle buche sarà maggiore nei terreni leggieri, silicei o calcarei, che in quelli compatti, nei climi caldi che in quelli freschi. La vite, il pesco, il ciliegio, che hanno radici fittonanti, richiedono lavori più profondi del melo del susino ecc., che hanno radici oblique ed orizzontali. La profondità media dello scasso è di 70 cm.; solo in casi eccezionali si può raggiungere 1 m.: se il sottosuolo è impermeabile bisogna evitare il ristagno dell'acqua, che provocherebbe la formazione di melma, a contatto della quale le radici infradicierebbero. Nei terreni inclinati bisogna fare le terrazze o banchine: è necessario tener presente che questo lavoro è più conveniente per la vite che per le altre piante da frutto, per le quali converrà solo se il pendìo è lieve, perché allora si possono ottenere banchine molto larghe.
Altra questione assai importante nell'impianto di un frutteto è la distanza e la disposizione dei soggetti. La distanza deve essere tale da permettere uno sviluppo su fficiente delle singole piante in modo che non si tolgano reciprocamente aria e luce, ma per ragioni di convenienza, se non è opportuno mettere le piante troppo vicine le une alle altre, non si deve neppure metterle troppo lontano. Per le piante a spalliera è necessario che esse coprano, dopo formate, la superficie ad esse destinata; per le forme libere dopo il loro completo sviluppo si deve poter girare intorno ad ogni pianta per compiere liberamente i necessarî lavori.
La distanza fra le diverse piante può essere determinata come segue (le cifre indicano i metri): Albicocco, nei campi a pieno vento: 5-6; id. a ventaglio nei frutteti: 4-5. Aranci, terreni in piano: 3; id. terreni in colle: 4. Carrubo: 15. Castagno: 12-15. Ciliegio a pieno vento: 6-10; id. a mezzo: 5-6; id. a U semplice: 0,80; id. a U doppia: 1,60; id. a palmetta: 2-2,40; id. a forme basse: 3-4. Cotogno: 3-5. Fico a ceppaia: m. 3,50 da fila a fila e m. 2 sulla fila; id. a pieno vento: 5-6. Gelso a pieno vento: 6-10; id. a forme nane: 2,5-3; a ceppaie: 2. Giuggiolo: 6. Limoni: 5-6. Mandorlo: 6-8. Melo, forma bassa sul dolcino: 3-4; id. a pieno vento sul franco: nei broli: 8-10; id. a pieno vento nei campi: 10-12; id. a pieno vento sulle strade: 10-12; id. a mezzo vento sul franco: 8-10; id. a mezzo vento sul dolcino: 6-8; id. a cordone orizzontale semplice sul paradiso: 3-4; Melograno: 3-4. Nespolo, a forme nane: 3-4; id. a mezzo vento: 8-10. noce: 12-17. Nocciolo (ceppaie): 3-4. Olivo: 10-20. Pero, a piramide sul franco: 4; id. sul cotogno: 2-3; id. fuso sul cotogno: 1,50; id. a pieno vento sul franco nei broli: 8; id. nei campi: 10; id. lungo le strade: 10-12; id. a mezzo vento: 4-8; id. a cordone orizzontale semplice: 2-3; id. a cordone verticale: 0,30; id. a palmetta semplice o doppia: 4-5. Pesco a vaso: 3-4; id. a pieno vento: 5-6; id. a U semplice:1; id. a U doppia: 2; id. a palmetta a 5-6 branche: 2,50-3. Pistacchio: 4. Sorbo: 10-12. Susino: Regine Claudie: 5-6; id. Mirabelle: 4-5; id. Zwetschken: 5-6; id. a mezzo vento: 4-5; id. a vaso: 3-4. Vite: 1-2.
Disposizione degl'impianti. - L'impianto si può fare a file, a triangoli equilateri (detto anche a settonce) collocando una pianta per ogni angolo di un esagono ed una al centro; in quadrato collocando una pianta agli angoli di esso; a triangolo isoscele collocando in quadrato, oltre a una pianta agli angoli, una nel mezzo. Il numero delle piante necessario in un ettaro si ottiene, nelle piantagioni in fila, moltiplicando il numero delle file per quello delle piante di una fila, per le altre piantagioni si hanno i dati nella qui acclusa tabella:
Epoca della piantagione. - L'epoca più opportuna è durante il periodo di riposo delle piante, cioè dall'autunno alla primavera. Però gli impianti non si debbono fare né quando il terreno è troppo umido, né durante i forti geli, perciò in via generale sono da escludere i mesi di dicembre e di gennaio.
Trattandosi di terreni asciutti, leggieri, soffici, conviene piantare in autunno, perché i soggetti possano formare nuove radici ancora prima dell'inverno. Nei climi rigidi, nelle vallate chiuse, nei monti dominati dai venti, nei terreni umidi, tenaci, argillosi è opportuno invece eseguire le piantagioni in primavera appena il terreno comincia a disgelare. Talora è necessario fare degl'impianti fuori tempo ed allora occorre usare talune cautele, adoperando piante di 5 o 6 anni e non quelle troppo giovani, sfrondando parzialmente e tagliando non solo i getti non lignificati, ma anche accorciando i rami principali e quindi annaffiando abbondantemente i soggetti finché la stagione permane calda.
Concimazioni. - Bisogna somministrare a larghe dosi concimi complessi, voluminosi, di lenta assimilazione e ben distribuiti nel terreno fino ad 80 cm. almeno di profondità. Una buona concimazione per pianta al momento dell'impianto è data dalla seguente formula: kg. 30 stallatico ben decomposto o terriccio; kg. 4 lanino; kg. 0,5 scorie; kg. 0, 1 perfosfato al 16%; kg. 0, 1 kainite. Nei terreni ricchi di calcare conviene invece usare un concime composto secondo la seguente formula: kg. 30 stallatico ben decomposto o terriccio; kg. 4 lanino; kg. 0,400 potere d'ossa o perfosfato al 16-18%; kg. 0,400 gesso; kg. 0, 200 kainite; se non si avesse a disposizione la kainite, allora si può sostituire questa con kg. 0,050 di cloruro o solfato potassico. Il modo migliore di concimare consiste nel mescolare i fertilizzanti, quattro o sei settimane prima, con la terra scavata fuori delle buche.
Piante infruttifere. - Talora si hanno piante infruttifere ed in tal caso si deve esaminare: 1. se il terreno e il clima siano confacenti alla pianta che si coltiva ed al soggetto su cui è innestata; 2. se la forma e la potatura siano conformi alle esigenze della varietà; 3. se il terreno sia esaurito di materiali o per mancanza di concimazione o perché già sfruttato da altre identiche piante; 4. se la pianta sia esaurita per abbondanza di produzione; 5. se le piante siano state abbandonate a sé stesse senza potature e senza cure contro i parassiti; 6. se la vegetazione legnosa sia troppo rigogliosa; 7. se le piante deperiscano per mancata attività delle radici o per effetto di malattie. Riscontrando taluno di questi casi si apportino le cure necessarie, altrimenti bisogna sacrificare le piante oppure innestarle, perché si tratta di sterilità congenita.
Produzione e commercio.
Per quanto le principali varietà di frutta fossero state introdotte in Europa fin dall'antichità classica (v. sopra), e nelle Americhe, in Australia e nell'Africa meridionale fin dall'epoca delle prime colonizzazioni, la loro coltivazione non ebbe per lungo tempo una grande importanza commerciale. La coltura delle frutta conservò a lungo un carattere complementare delle altre produzioni agrarie, per usi familiari o al più per il mercato rurale o cittadino più vicino. Qualche zona si rese famosa per le sue colture, come quella intorno a Bolzano e Merano nell'Alto Adige, che verso la fine del 1700 spediva mele e altre frutta alle più importanti città dell'Impero austriaco e della Russia; ma si trattò di eccezioni.
Nella seconda metà del sec. XIX, invece, la frutticoltura andò assumendo uno sviluppo autonomo e un carattere più industriale, e il commercio un'importanza internazionale. Molte furono le cause di questa trasformazione, e principalmente l'aumento della domanda e il diffondersi del consumo della frutta, il progresso della tecnica dei trasporti che facilitava la spedizione di prodotti deperibili anche su mercati lontani; il costituirsi di una vasta industria della conservazione (v. conserva alimentare), che, utilizzando le frutta ne rendeva possibile il consumo in ogni stagione e non soltanto nel periodo del raccolto.
I primi a dare un orientamento industriale alla frutticoltura furono alcuni paesi dell'Europa occidentale e centrale. Così, ad es., fin dal 1860 circa, in Gran Bretagna, Germania, Austria (Alto Adige) si creano scuole agrarie e stazioni sperimentali, frutteti specializzati, associazioni di produttori ed esportatori; in Olanda e in Belgio, le prime colture in serra o sotto vetro. I paesi mediterranei restano indietro nella tecnica colturale, ma, per le loro condizioni climatiche, sono essi soltanto in grado di produrre alcune specie (frutta polpose, frutta secche) e possono perciò iniziarne con successo l'esportazione. I paesi extra-europei a loro volta, che solo il melo e il pero coltivavano un po' largamente, iniziano in quest'epoca la coltivazione su larga scala delle altre specie da frutto.
Quest'orientamento ha una progressiva accentuazione agl'inizî del sec. XX e più ancora dopo la guerra mondiale. Il consumo delle frutta mostra ancora una decisa tendenza ad estendersi in confronto al contrarsi del consumo dei cereali (v.): e il movimento è anche facilitato da nuovi accertamenti scientifici sul valore nutritivo delle frutta nell'alimentazione (v.).
Parallelamente la frutticoltura si estende in Europa, e sopra tutto, fuori d'Europa, negli Stati Uniti, Canada, Africa del Sud, Australia, Africa del Nord. Sorge un mercato mondiale delle frutta, che comprende da una parte i grandi paesi importatori, la Gran Bretagna, la Germania, l'Austria, i paesi dell'Europa settentrionale, le cui coltivazioni non sono sufficienti al consumo interno; dall'altra i grandi paesi esportatori: Olanda e Belgio, Francia, Italia, Spagna e altri paesi mediterranei, e i paesi extraeuropei in cui la frutticoltura si è diffusa.
Tra le frutta fresche, le pomacee (mele e pere), più resistenti al trasporto, alimentano correnti commerciali notevoli, specialmente dall'America del Nord e dall'Australia all'Europa; ma anche le frutta polpose (pesche, ciliege, albicocche e susine) superano ormai, in virtù dei progressi dei trasporti in refrigeranti, le maggiori distanze. Vi è poi tutta la produzione di frutta a guscio, essiccate, in conserva, che, assolutamente indipendente da maggiori o minori distanze, costituisce la base cui spesso si lega la prosperità della frutticoltura in molti paesi.
La produzione nei principali paesi. - Gran Bretagna, Germania e altri paesi dell'Europa centrale e settentrionale. - Alcuni di questi paesi hanno, come già si è detto, coltivazioni di frutta tecnicamente assai progredite: così la Gran Bretagna di mele e pere nel Kent, nel Devonshire, nel Worcestershire, la Germania di mele e pere nel Württemberg e in altri stati del centro. La Polonia coltiva mele, pere e susine; la Cecoslovacchia mele, pere e uva, ecc. Le colture di questi paesi non sono però sufficienti a coprire il consumo locale. È questo perciò il gruppo tipico dei paesi importatori.
Ungheria, Iugoslavia, Bulgaria, Romania, Russia. - Paesi prevalentemente cerealicoli, non hanno dato grande sviluppo alle colture di frutta. A differenza dei precedenti, però, presentano condizioni climatiche più favorevoli a questo genere di colture, e da qualche tempo, in vista anche della crisi dei prezzi dei cereali, cercano di introdurle. Dànno attualmente, oltre che pomacee, anche buone quantità di ciliege, albicocche, susine e uve da tavola. La Iugoslavia è, dopo gli Stati Uniti, il principale fornitore di prugne secche sul mercato mondiale.
Olanda e Belgio. - In tutti due questi paesi la frutticoltura ha assunto un alto grado di industrializzazione, favorita in questo indirizzo dalla vicinanza di ricchi mercati di consumo. Tipica di questi paesi è la coltura di numerose specie di frutta in serra: si calcola, ad es., che il Belgio conti più di 15 mila serre destinate a frutta soltanto, per una superficie di 1,5 milioni di mq. Fra i prodotti più caratteristici è l'uva da tavola: ne fu iniziata la coltura alla metà del sec. XVII, prima in pieno campo oppure lungo i muri, da una settantina di anni in serra. Nel Belgio la coltura si pratica a Hoeylaert, Overyssche, la Hulpe, varietà più diffusa la Gros Colman; in Olanda nel Westland, nelle varietà Frankenthal, Grös Colman e Black Alicante. Grande produzione si ha anche di mele in Olanda con le varietà Belle Fleur du Brabant e Belle de Boskoop, e di pere nel Belgio; poi di ciliege, susine, e frutta a bacca.
Francia. - Ha in Europa, in questo campo, una posizione di privilegio. Produzioni precoci essa può ottenere non solo dalle regioni meridionali ma dalle colonie nord-africane, dove le colture frutticole sono in grande sviluppo; produzioni tardive, talvolta anche in serra o sotto vetro, essa ottiene dalle regioni del nord. Le esportazioni, a loro volta, sono favorite dalla vicinanza dei mercati inglese e tedesco. La coltivazione è condotta con criterî razionali, seppure non sempre specializzata; l'organizzazione commerciale, ottima in certi rami, è ancora deficiente in altri. Tutte o quasi le specie da frutto sono diffuse nel paese. Il melo, soprattutto nelle varietà da sidro, e il pero, sono coltivati nelle regioni del nord-ovest, nei Vosgi, nel Giura, nei Pirenei e nelle Alpi. Il pesco, l'albicocco, il ciliegio, il susino sono coltivati nelle Alpi marittime, nel Var, nel Vancluse, nella Vallata del Rodano, nei Pirenei Orientali, nella vallata della Garonna, e anche in qualche regione del nord (Yonne e Parigi): diffuse le varietà Amsden, Précoce de Nice, Précoce de Hale, per il pesco; Luizet, Muscat Précoce Boulbon, ecc. per l'albicocco; Précoce du Luc, Reine Hortense, Bigarreau, ecc. per il ciliegio; Reine-Claude, Saint-Antoine, ecc., per il susino. L'uva da tavola è coltivata in pieno campo nelle regioni in cui sono diffuse le frutta polpose; sotto vetro nella regione parigina e più a nord: varietà preferite la Chasselas dorée, la Dattier, Séposvert, Muscat, ecc. Tra le frutta a guscio, la specie più coltivata è il noce, specialmente nelle regioni della Dordogna, Lot, Corrèze, Charente, Isère, ecc.: la coltura vi è però un po' in decadenza. Conserva solo grande prosperità la zona dell'Isère, che fornisce la famosa noce di Grenoble: la coltura vi è condotta con criterî razionali, nelle varietà Mayette, Parisienne, Franquette, ecc., mantenute a mezzo di innesti.
Spagna. - Non ha grandi colture specializzate, sebbene la tecnica produttiva e l'organizzazione commerciale vi abbiano fatto sensibili progressi. Più diffuse sono in Spagna le specie di frutta polpose, l'uva da tavola e le frutta a guscio e secche. Il pesco è coltivato soprattutto nelle provincie di Barcellona, Murcia e Valencia, nelle varietà principali Temprano o Abridor e Común. L'albicocco è coltivato nelle provincie di Albacete, Murcia e nelle zone delle Baleari, nelle varietà Bubida, Antones, Maniqui, ecc.: il frutto è destinato prevalentemente alla confezione della conserva. Il susino e il ciliegio sono più diffusi nella provincia di Barcellona, nella varietà Claudia il primo, nelle varietà Gordal, Garrofol, Temprano nera, ecc., il secondo. L'uva da tavola, coltura importantissima che assicura al paese un primato in Europa, è diffusa nelle provincie di Almeria, Madrid, Badajoz, Malaga e Alicante: le varietà sono numerose e rinomate, specialmente la Malaga e l'Almeria, questa ultima anche conosciuta sotto il nome di Ohanes, la Moscatello, la Malvar, ecc. Il mandorlo è eoncentrato nell'Andalusia orientale, Levante, Baleari e Tarragona (95% del raccolto totale): varietà apprezzate, la Planeta, Colubrina e Castellet a guscio duro e la Bilanqueta e Mollar a guscio tenero fra le precoci; la Pestanela, Marcona, ecc. a guscio duro fra le tardive. Il nocciolo ha particolare importanza nella Catalogna: varietà più coltivate la Común, Blanca, Roja, ecc. L'uva passa è ottenuta nelle qualità Pasa valenciana, col raccolto delle prov. di Valencia e Malaga, e Pasa de Sol o Pasa de Málaga, col raccolto della provincia di Malaga: la produzione è però in forte diminuzione sia per i danni arrecati dalla fillossera, sia per la concorrenza degli Stati Uniti e dell'Australia. I fichi secchi sono ottenuti dai raccolti delle provincie di Almeria, Baleari, Murcia, Malaga, Granada, Huelva, Castellon, nelle varietà Pacuecos, Franciscana, Lepe, Praga.
Altri paesi mediterranei. - Grecia, Turchia, Algeria, Tunisia fomiscono soprattutto uva da tavola, frutta secca e a guscio. Importanti: in Grecia la produzione di uva passa del tipo Corinto lungo le coste del Peloponneso e nell'isola di Candia; quella dei fichi secchi della varietà Kalamata (sede dell'industria) in Messenia e Laconia; in Turchia, la produzione di uva passa del tipo Sultanina e Razaki nei dintomi di Smirne, di nocciole del tipo Tambul, Sivri, ecc., nella provincia di Ordu, ecc., di fichi delle varietà Bordjea e Lob Ingir in Smirne e nella valle del Meandro; in Algeria, in Tunisia, in Tripolitania, l'uva da tavola della varietà Chasselas, e i fichi secchi.
Stati Uniti. - La frutticoltura di questo paese è una delle più prospere e più progredite del mondo. Un'accurata sperimentazione, la selezione delle varietà e gl'innesti, una perfetta tecnica agraria, una razionale preparazione del prodotto e una vasta organizzazione commerciale ne costituiscono gli aspetti più caratteristici. Il territorio che accentra la maggior parte della produzione è la California. Furono le prime missioni francescane (1769: missione di San Diego), a introdurre in essa le specie fruttifere del vecchio mondo: agrumi, olivi, fichi, melograni, uva, in sostituzione dei prodotti indigeni, costituiti prevalentemente da frutta a bacca. Ma per molti anni le colture ebbero estensione limitatissima. Con la politica di concessione di terre iniziata dal Messico e continuata dagli Stati Uniti (1860), la frutticoltura poté segnare qualche progresso. Ebbe sviluppo poi l'irrigazione artificiale di vaste zone aride, e ciò fu nuovo potente impulso alla colonizzazione. Mentre nel 1850 la superficie agraria era costituita prevalentemente da pascoli, nel 1913 si divideva fra le grandi colture cerealicole e la frutticoltura intensiva. Nel dopoguerra, il ribasso dei prezzi dei cereali, legumi e foraggi in confronto alla sostenutezza dei prezzi delle frutta portò a nuove trasformazioni agrarie: dal 1919 al 1925, la superficie destinata alle grandi colture diminuì del 26%, mentre quella destinata alla frutticoltura aumentò del 43%. Contemporaneamente prendeva enomie sviluppo l'industria delle conserve: fra il 1919 e il 1927 la produzione di frutta in scatola aumentava del 48%, quella di frutta essiccata del 50%. Questi aumenti per molto tempo non hanno pregiudicato la situazione del mercato, trovando sbocco nell'accresciuto consumo interno e nello sviluppo delle esportazioni. Ma il continuo entrare in attività di nuovi impianti minaccia ormai un forte squilibrio fra domanda e offerta.
Con riguardo alle singole specie di frutta, è da notare che ha la maggiore diffusione negli Stati Uniti, anche in rapporto alla sua adattabilità alle più svariate condizioni di terreno e di clima, il melo. Tutti gli stati lo coltivano; ma più specialmente quelli di Washington e New York (complessivamente il 40% della produzione commerciale), poi la Virginia, la California, l'Oregon, ecc. Le varietà sono numerose: Baldwin, Rhode Island Greening, Northern Spey, Winesap, Yellow Transport, Yellow Newton. La produzione è ingentissima: aumentata da 80.142.000 bushels nel 1890 a 16.543.000 nel 1930, è la base di rifornimento del mercato mondiale. Il pero è cotivato per scopi commerciali all'incirca negli stessi paesi in cui è diffuso il melo. La varietà più apprezzata è la Baztlett, che dà un ottimo frutto per conserva. La California da sola fornisce il 60% della produzione totale degli Stati Uniti di pere in scatola e quasi tutta quella delle pere essiccate. La coltura del pesco è specialmente importante nella California, dove però la maggior parte della produzione viene destinata all'industria delle conserve; nella Georgia e, a distanza, nel New York, Ohio, ecc. Le varietà più coltivate si aggruppano in queste razze: Peen-to race e South China race o Honey, adatte alle condizioni di clima subtropicale; Spanish race, atta a climi meno caldi; North China race, adattabile a varie temperature e di notevole importanza commerciale; Persian race, che comprende varietà assai tardive. Nella California, l'80% della produzione è formato da pesche Elberta, varietà a pasta gialla e con la zona di contatto col nocciolo priva di colorazione, in rapporto alle esigenze dell'industria di conservazione.
L'albicocco è largamente coltivato in California nelle varietà Newcastle Early, Royal, Blenheim, ecc.: il frutto è destinato specie all'industria delle conserve. L'uva da tavola è prodotta per il 90% circa del complesso della California, particolarmente nei distretti di Fresno, Enlar e San Joaquin. Le varietà più diffuse sono la Malaga, la Tokai e l'Emperor.
Anche le coltivazioni del noce e del mandorlo sono principalmente localizzate nella California. Le varietà di noce prima coltivate erano generalmente a guscio duro, ma furono in seguito trascurate per adottare varietà a guscio tenero: la Santa Barbara soft-shell e l'Eureka; una varietà ottima da poco introdotta è la Ehrhardt. La coltura del mandorlo, stazionaria fino al 1914, si è, da quell'anno, rapidamente sviluppata, ma non è ancora sufficiente a soddisfare il consumo interno. Numerose sono le varietà coltivate, ma solo poche d'importanza commerciale: fra queste la Nonpareil, IXL, Non plus ultra, Drake, Texas e Peerless. La California ha anche un'ingente produzione di uva passa (q. 2.200.000 circa) e di fichi secchi. L'uva è principalmente del tipo sultanina e del tipo moscato, quest'ultimo diffusosi nel dopoguerra; non manca però il tipo Corinto. Le varietà principali di fichi sono la Calimyrna, la White Adriatik e la Black Mission. La produzione non è sufficiente che a soddisfare circa il 40% del fabbisogno interno, per cui gli Stati Uniti devono ricorrere in gran parte all'importazione dall'estero.
Canada. - Nella Nuova Scozia, il melo era coltivato già fin dalla prima metà del sec. XVII; nell'Ontario, fin dalla prima metà del sec. XVIII. Lo sviluppo di una frutticoltura industriale risale però agli ultimi 60 o 70 anni e nella Colombia inglese al periodo seguente l'apertura della Canadian Pacific Railway (1886). Il melo è la specie più diffusa. È coltivato nella Nuova Scozia (70% della produzione complessiva), poi anche nel Quebec, Ontario, Nuova Brunswick: le varietà sono, oltre alle locali Maintösh Red, Fameuse, ece., quelle degli Stati Uniti. Il pesco, il susino, il pero, il ciliegio, l'uva da tavola, i frutti a bacca sono largamente coltivati nella penisola del Niagara e nella Colombia Inglese. Le prime spedizioni di frutta per la Gran Bretagna (mele) furono effettuate nel 1849 dalla Nuova Scozia. Soltanto però dopo una ventina d'anni si poterono stabilire correnti di traffico regolari. L'esportazione fu facilitata, oltre che dalla crescente richiesta del mercato inglese, dal sorgere verso il 1890 di grandi organizzazioni cooperative fra agricoltori, e dall'opera di realizzazione della coltura e della tecnica commerciale da esse e dal governo esplicata. Il Canada è oggi, dopo gli Stati Uniti, il più grande approvvigionatore di mele per il mercato mondiale.
Unione Sud-Africana. - Le origini della frutticoltura sud-africana possono farsi risalire ai primi tempi dell'occupazione del Capo da parte degli Olandesi. Le specie più coltivate furono dapprima l'albicocco, l'uva, specie per vinificazione e produzione dell'acquavite; il pero, il cui frutto si destinava largamente alla conservazione, e, dopo l'allottamento delle terre, il melo. Fino al principio del sec. XX la produzione era appena sufficiente all'approvvigionamento del mercato interno. Dopo fu possibile ottenere produzioni in quantitativi eccedenti la domanda del paese, e ciò soprattutto fu dovuto a Cecil Rhodes che impiantò i primi frutteti specializzati, in numerose proprietà dei distretti di Paarl, French Hoelk, Stellenbosch e Wellington, ancora oggi i centri più importanti di coltivazione. L'esportazione aumentò rapidamente, e oggi è divenuta un importante coefficiente dell'approvvigionamento mondiale, favorita anche dal fatto che, per trovarsi il paese nell'emisfero australe, il raccolto avviene in epoca diversa da quella dei maggiori paesi produttori. Lo stato, da parte sua, ha cercato in tutti i modi di favorirla: sono notevoli in questo paese un'accurata disciplina legislativa della tecnica di spedizione del prodotto e l'uso di navi fornite dei più moderni sistemi di refrigerazione per il trasporto a grandi distanze.
Australia. - In Australia, se si eccettua il melo, la cui coltivazione risale alla prima epoca di colonizzazione ed è diffusissima, soprattutto nella Tasmania, a nord e a sud di Hobart, nella Bogdad e, più di recente, nella Tamar Valley, dando luogo a una buona esportazione in periodi in cui il grosso della produzione americana è assente (aprile-agosto), tutte le altre specie sono di coltivazione industriale recentissima, e destinate prevalentemente all'industria della conservazione e dell'essiccazione. La origine di questa frutticoltura risale infatti alla politica di colonizzazione e alle opere d'irrigazione attuate dagli stati di Victoria e della Nuova Galles del Sud in anni precedenti e susseguenti alla guerra, nelle regioni lungo il corso del fiume Murray e dei suoi affluenti. Come risultato di questa politica, grande importanza agricola hanno assunta nella Confederazione la Goulburn Valley nello Stato di Victoria, e la zona irrigata del Murrumbidge nella Nuova Galles del Sud. I risultati economici dell'impresa, dopo un inizio brillante, non sono stati però soddisfacenti.
Organizzazione commerciale. - Tutta una serie di imprese commerciali specializzate cura l'incetta del raccolto e il suo avviamento ai mercati di consumo, dopo un conveniente confezionamento della merce. Anche in questo ramo di traffici, tuttavia, come in quello dei cereali (v.), accanto alle imprese commerciali ordinarie si è andata sviluppando l'organizzazione cooperativa fra produttori col compito appunto di confezionare e commerciare il raccolto degli associati alle migliori condizioni e di distribuire fra essi gli utili netti. Né mancano esempî di cooperative che hanno allargato il loro compito anche all'assistenza degli agricoltori in questioni relative alla tecnica colturale o all'esercizio di fabbriche di conserva e di altre industrie connesse alla frutticoltura.
Il movimento di cooperazione tra frutticoltori ha avuto negli Stati Uniti il maggiore sviluppo. La nascita si può far risalire al 1867, quando un gruppo di frutticoltori dei dintomi di Hammonton, in Califomia, fondò la Fruit Growers' Union. Da allora il movimento si estese, e associazioni del genere sorsero un po' in tutti gli stati. Ma la California rimase all'avanguardia; essa oggi annovera una delle più potenti cooperative del mondo, la Califomia Fruit Exchange, fondata fin dal 1901, per il commercio della frutta fresca: è una federazione di oltre cento associazioni locali di frutticoltori, impegnate per contratto a commerciare per il suo tramite i prodotti forniti dai rispettivi aderenti. Insieme con questa grande cooperativa la California ne conta numerose altre per produzioni speciali (pere, fragole e lamponi, uva passa, ecc.). Fuori della California, cooperative importanti si hanno soprattutto nel commercio delle mele.
Anche nel Canada, la vendita cooperativa delle frutta è molto diffusa. Si ricordano la Niagara Peninsular Fruit Growers' Association, fondata nel 1920; la United Fruit Companies of Nova Scotia, fondata nel 1910; la Okanagan United Growers, fondata nel 1913, la British Columbia Growers' Association. In Australia si sono formate cooperative per la vendita delle frutta nella Nuova Galles del Sud, specialmente a Gosford.
In Francia, in Belgio, in Cecoslovacchia esistono pure sindacati o cooperative, in Spagna delle Camere, in Turchia delle Borse per la vendita di alcuni prodotti per lo più destinati all'esportazione (uva passa, ecc.). In Olanda esistono associazioni cooperative di produttori (Veilingsvereeningen) che provvedono a mantenere delle aste nelle quali le offerte vengono fatte, a differenza delle aste comuni, partendo da un prezzo base, generalmente più alto del normale.
Complessa è l'opera che intermediarî o cooperative devono esplicare per il collocamento della merce. Esistono nei diversi paesi alcuni grandi mercati, che accentrano l'offerta e la domanda delle frutta, e controllano tutto il commercio. Su questi mercati non si vende che raramente su prezzo preventivamente fissato; più spesso la vendita ha luogo, mediante rappresentanti o commissionarî, per trattativa privata, o all'asta. Naturalmente, il fatto di spedire senza fissazione preventiva di prezzo una merce deperibile, come la frutta, rende aleatoria l'operazione, facendone dipendere il successo dalla capacità, oltre che di spedire prodotti accetti al consumo, per l'acquirente, di scegliere i mercati di destino della merce non saturi di offerta, al momento dell'arrivo. Ed è questo uno degli aspetti più caratteristici del commercio delle frutta.
In Inghilterra Londra e Liverpool accentrano le offerte dei principali paesi produttori del mondo. Londra ha due mercati: Spitalfields e Covent Garden. Nel primo la vendita ha luogo all'asta, nel secondo prevalentemente per trattativa privata. A Liverpool esistono pure due mercati: il Fruit Exchange, il più importante per quanto riguarda le importazioni, in cui si vende all'asta; il North-Market, in cui si vende per trattativa privata. In Gemiania, sono grandi centri di commercio Amburgo, e poi Monaco di Baviera, Berlino e Francoforte sul Meno. Amburgo accentra tutto il commercio d'importazione marittimo: vi si contratta all'asta. A Monaco di Baviera, a Berlino, a Francoforte sul Meno, le vendite vengono effettuate invece per trattativa privata.
Anche nel commercio delle frutta come in quello dei cereali (v.) si ha un intervento regolamentare dello stato nei riguardi della selezione e del confezionamento dei prodotti. L'orientamento del consumo verso i prodotti più pregevoli per qualità, selezione e impacco ha posto i varî paesi concorrenti nella necessità di assicurare ai proprî prodotti questi requisiti. La regolamentazione statale prescrive l'insieme dei requisiti minimi che la merce deve possedere, e rende per ciò stesso uniforme il tipo su cui dovranno basarsi le contrattazioni.
Le regolamentazioni che più si avvicinano al sistema integrale, ossia comprendenti per tutti i prodotti tanto il commercio interno quanto quello estero, sono quelle in atto nel Canada e nella California. Il Canada sottopone a disciplina tutto il commercio, interno ed estero, di qualsiasi prodotto ortofrutticolo. Una caratteristica di tale legislazione è quella di stabilire per il commercio di esportazione un controllo obbligatorio e preventivo, e per il commercio interno invece un'ispezione saltuaria della merce. La California prescrive la standardizzazione dell'impacco e la selezione di quasi tutti i prodotti ortofrutticoli, con un sistema di controllo e d'ispezione diretto a garantire l'osservanza delle disposizioni. Tutti gli altri paesi, invece, hanno adottato sistemi di regolamentazione parziale, limitata al solo commercio di esportazione e spesso a quello di alcuni prodotti soltanto. Fra questi, però, se ne trovano alcuni che controllano anche i trasporti. Così nel Sud-Africa, secondo il Fruit Export Control Act del 1925 e il Perishable Products Export Control Act del 1926, un organo speciale, il "Control Board", ha il compito di controllare l'esportazione di frutta dall'Unione e di stabilire quali siano i piroscafi adatti al trasporto di tali derrate deperibili.
L'attrezzatura tecnica per il commercio della frutta si è, in anni recenti, notevolmente perfezionata. Diffusa è ormai la pratica di selezionare e imballare il prodotto in appositi stabilimenti (packing-house) forniti di macchine per le singole operazioni (lavatura, pulitura, graduazione, marcatura, impacco). In materia di trasporti ferroviarî si ricorre ormai ai carri ventilati, a quelli isotermici e a ghiacciaia. Parallelamente per i trasporti marittimi, è in uso assicurare una conveniente ventilazione del prodotto nelle stive o addirittura adoperare navi fornite di celle frigorifere raffreddate con aria fredda.
Produzione e commercio in Italia. - Fra tutti i paesi mediterranei, l'Italia, per la sua speciale configurazione geografica e per la sua maggior vicinanza ai grandi mercati di consumo dell'Europa centro-orientale e settentrionale, presenta particolari condizioni per lo sviluppo di una frutticoltura industriale e se nelle regioni meridionali, fatta eccezione per alcune zone della Campania, delle Puglie e della Sicilia, la coltura, per la siccità estiva, deve necessariamente orientarsi verso le specie a frutto secco o da disseccare (mandorli, noci, noccioli, fichi), o qualche specie subtropicale e tropicale (pistacchio); nelle regioni centrali e settentrionali, la coltura può arricchirsi di gran parte delle specie a frutto fresco. Dovunque, poi, ma specialmente nel Mezzogiorno, è possibile ottenere le cosiddette produzioni primaticce che pervengono al consumo in anticipo rispetto al grosso della produzione.
Nei primi decenni dall'unificazione, tuttavia, l'ancora limitato consumo dei mercati del Nord-Europa da una parte, la scarsa attrezzatura commerciale del paese dall'altra, non consentirono il pieno sfruttamento di queste favorevoli condizioni naturali; la frutticoltura conservò un carattere assolutamente familiare o casalingo, atto a garantire quantitativi di frutta per il consumo domestico o per mercati di vendita vicini. Verso il 1870 si profilano, però, i primi tentativi di dare alla frutticoltura uno sbocco commerciale. F. Cirio (v.) iniziò le prime spedizioni di frutta sui mercati dell'Austria e della Germania: egli attingeva il prodotto dalle più ricche zone piemontesì (Canale, Alba), dalla Toscana, dal Napoletano. Altri lo seguirono: correnti di esportazione si creavano lentamente; la frutticoltura ne subì l'influsso, e, pur senza perdere il suo carattere di coltura complementare, andò tecnicamente migliorando. Contemporaneamente, ad opera del Cirio, sorsero i primi nuclei dell'industria delle frutta in conserva. Occorse però attendere la fine del secolo per veder sorgere anche in Italia la frutticoltura industriale, limitata cioè a una o poche specie, condotta in piantagioni specializzate, con metodi razionali e fini prettamente commerciali. A Massalombarda, in Romagna, nel 1894, tal Gianstefani creò un pescheto di 6 ettari. Esso fu poi acquistato da A. Bonvicini ed esteso grandiosamente, cosicché quel territorio è divenuto uno dei migliori centri di frutticoltura d'Italia. Il Bonvicini creò impianti di lavorazione ed imballaggio del prodotto e fabbriche di conserva. Iniziative di frutticoltura più o meno specializzata, per scopi prettamente commerciali, si erano andati anche manifestando a Canale d'Alba e Santena in Piemonte, ad Albenga in Liguria, nel Trentino, nel Veneto, in Toscana, nel Mezzogiorno. Nell'immediato anteguerra, il capitale impiegato nella frutticoltura si valutava a più di 2 miliardi, il prodotto in 394 milioni, esclusi gli agrumi il cui capitale si valutava in 1 miliardo e mezzo e il prodotto in 108 milioni. L'esportazione del 1913 ammontò a 16 volte quella di 25 anni prima.
La guerra interruppe lo sviluppo della frutticoltura e ridusse di molto l'esportazione. Ma, a guerra finita, le iniziative sia pur lentamente ripresero. D'altra parte l'annessione dell'Alto Adige accrebbe la frutticoltura italiana delle ricchissime zone specializzate di Merano e Bolzano. Dal 1924 il ritmo di sviluppo della frutticoltura si è fatto rapidissimo; molte iniziative tecniche: selezione di varietà, istruzione agraria, sperimentazione, concorsi nazionali e regionali hanno portato larghi benefici; si sono moltiplicati ovunque i frutteti specializzati; e la produzione è ritornata al livello di anteguerra, con notevole miglioramento nella qualità.
L'organizzazione commerciale ha fatto negli anni più recenti sensibili progressi. Esistono in Italia ormai grandi ditte esportatrici, che acquistano il prodotto dagli agricoltori e, previa selezione e impacco effettuati con sistemi più razionali, lo spediscono, sotto proprie marche, all'estero. La cooperazione, iniziatasi verso il 1905 a Cesena e a Pedaso, oggi trova la massima sua espressione nella Sezione vendite collettive dei prodotti del suolo, della Federazione italiana dei consorzî agrarî. Essa vende i prodotti per conto delle cooperative locali aderenti. Ha uffici e rappresentanze nei principali centri di produzione e consumo. Centri di concentramento ed esportazione forniti di buoni impianti frigoriferi sono sorti a Verona e a Bologna; se ne costituiscono a Padova; sono in progetto a Milano e a Torino. I trasporti ferroviarî hanno progredito molto in rapidità e attrezzatura tecnica. Si sono sviluppati anche molto, in anni recenti, i servizî d'informazione sull'andamento dei grandi mercati di consumo, sicché riesce possibile una più razionale distribuzione del prodotto disponibile su questi mercati. Si è infine estesa ai principali centri di produzione l'industria delle conserve.
La coltivazione del melo è oggi specialmente estesa nel Piemonte, nell'Emilia, nella Campania e nell'Abruzzo, e con indirizzo accentuato industriale nell'Alto Adige e nella Romagna. Le varietà maggiormente coltivate sono la Gravenstein e la Permain dorata estiva fra le precoci (Modenese); le Renette (Piemonte, Romagna, Emilia e Alto Adige); la Rosa Mantovana (Alto Adige e Romagna); le Calville (Alto Adige); la Limoncella e l'Annurca (Campania), fra le autunno-vernine.
Il pero vegeta bene in ogni regione d'Italia, ma è particolarmente coltivato in Toscana (provincie di Firenze, di Pisa, di Pistoia) e nell'Emilia (provincia di Modena); nelle Marche, nel Trentino e nell'Alto Adige. Varietà diffuse sono: la Coscia (Toscana), la Giardina (Marche), la Spadona (Romagna, Veneto e Abruzzo), la Moscatella (Alto Adige e Trentino), le Bergamotte (Modenese), la Bianchetta (Veneto), e infine la William (in via di rapida diffusione in tutte le zone), fra le precoci; la Alexander (Alto Adige), la Bergamotta d'Esperen, la Curato, la Passa Crassana (Piemonte, Romagna, Alto Adige e Veneto) e la Spincarpi (Veneto, Abruzzo, Calabria e Basilicata), fra le autunno-vernine.
La produzione delle ciliegie è specialmente importante nelle provincie di Verona, Vicenza, Trento, Gorizia, Bologna, Ravenna, Forlì, Modena, Napoli, Avellino, Benevento e Bari. Varietà più apprezzate: la Fuciletta di Bisceglie, di maturazione assai precoce, le Durone di Ravenna, Cesena, Modena, Veneto e Friuli.
La coltivazione del pesco è diffusa specie nelle provincie di Napoli, Salerno, Ravenna, Forlì, Bologna, Verona, Treviso, Venezia, Padova, Cuneo, Torino, Savona e Imperia. Le varietà più coltivate sono la Fior di Maggio, la Amsden, le Trionfo, la Bonfiglioli, la Maddalena e la Bella di Roma, fra le precoci; la Bucoincavato, la Morellona, la Sant'Anna, la Carman, la Bella di Georgia, le Elberta, e alcune varietà locali venete, fra quelle di media maturazione; la tardiva di Massa, la Hale, la Presidente e la Principe di Piemonte, oltre alla Moscatella, la Giallona di Verona e qualche altra varietà locale, fra le tardive. Caratteristica la produzione di Percoche gialle della Campania.
La coltivazione dell'albicocco è di importanza assai notevole nella Campania e in parte nella Val Venosta (Alto Adige). Le albicocche della Campania sono assai apprezzate per la loro precocità e il loro delicato profumo; quelle altoatesine per la resistenza ai trasporti.
La coltivazione delle susine e delle prugne, diffusa ìn tutta Italia, ha preso sviluppo considerevole, acquistando carattere commerciale, specialmente in Emilia, nella Toscana e nella Campania. Le varietà più coltivate sono, oltre alle Burbank e Santa Rosa, di recente introduzione, la San Pietro nera e la Pernigone (Modenese), gli Amoli (Modenese, Goriziano e Trentino), la Regina Claudia verde (Campania).
I maggiori vigneti specializzati per la produzione dell'uva da tavola si trovano nelle Puglie, nell'Emilia, nella Toscana, in Sicilia, negli Abruzzi, nel Lazio e nell'Alto Adige. Le varietà maggiormente coltivate sono: fra le precoci; lo Chasselas doré (Sicilia, Puglie, Emilia, Toscana), e la Panse precoce (in via di diffusione); tra quelle di seconda e terza epoca, la Regina o Pergolona (Emilia, Abruzzo e Lazio), la Baresana (Puglie), il Moscato di Alessandria o Zibibbo (Sicilia, Calabria, Pantelleria), il Moscato di Terracina (Lazio), la Schiava Meranese o Frankenthal, detto anche Kurtrauben (Alto Adige e Trentino), l'Italia, la Razaki e la Bicane (in via di diffusione), e alcune altre varietà locali di minor pregio.
La coltura del mandorlo è diffusa specie in Sicilia, nelle Puglie, nell'Abruzzo e nella Sardegna. Nella prima zona fra le varietà più apprezzate sono l'Avola scelta e corrente e la Fascineddu (prov. di Siracusa), la Rinaldi, la Pesca, l'Aragonese e la Pollata (prov. di Agrigento), l'Etna e la Serradifalco (prov. di Catania); nella seconda la Santoro e la Fragiulio a guscio semiduro, la Rachele e la Montrone a guscio duro (prov. di Bari), la Catuccia (prov. di Taranto).
La coltura delle noci è diffusa in tutte le regioni, specie nella Campania, nel Piemonte e negli Abruzzi. Le varietà maggiormente coltivate sono la Noce di Sorrento grossa e a guscio tenero, la Noce di San Giovanni di grossezza media e tardiva, la Noce comune o di montagna simile alla precedente, ma di maturazione più precoce (Piemonte e Abruzzi).
Il nocciolo è largamente coltivato nella Campania e in Sicilia. Centri di minore importanza si trovano nel Lazio e nel Piemonte. Le varietà coltivate sono molte: in Campania le lunghe (specie la lunga di San Giovanni) a maturazione normale, le tonde a maturazione precoce, le tonde napoletane e le mortarelle (queste commerciate solo sgusciate) a maturazione tardiva; in Sicilia la nucidda, la domestica, l'ordinaria e qualche altra, fra quelle a maturazione normale; la vernitica, la mandorlina, la guiara, ecc., fra quelle a maturazione tardiva.
La coltura del castagno è molto diffusa in tutta Italia, favorita dalla conformazione montana di gran parte del territorio. La produzione, assai notevole prima della guerra, ha subito in seguito notevoli contrazioni per il rapido sviluppo assunto da alcune industrie che utilizzano il legname di castagno. Le maggiori produzioni si hanno nella Toscana, nel Piemonte, nella Liguria, nella Calabria, nell'Emilia, nel Lazio e nella Campania. Le varietà vengono distinte commercialmente in tre tipi principali: i marroni, qualità grosse, con le facce piuttosto convesse: sono specialmente apprezzati quelli del Piemonte (particolarmente di Susa), della Toscana, di Napoli. Le castagne domestiche di sapore molto dolce, gradevolissimo, hanno la pellicola che si stacca facilmente. Se ne coltivano diverse varietà e principalmente le Gentili e le Pistoiesi, le Ragiolane, le Rubiesi, ecc. Le castagne selvatiche sono più piccole e meno dolci delle precedenti.
La coltura dei pistacchi è localizzata quasi totalmente in Sicilia, nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta e specie Catania. Quella dei pinoli è estesa lungo parte del litorale tirrenico e adriatico. La produzione è specialmente notevole in Toscana e in Romagna; zone di minore importanza si trovano lungo il litorale del Lazio, delle Marche e dell'Abruzzo.
La produzione dei fichi secchi, abbastanza cospicua, rappresenta una delle maggiori industrie legate alla frutticoltura. È assai diffusa fra i coltivatori del mezzogiorno d'Italia. Le principali zone di produzione sono in Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Abruzzo. Centri di minore importanza si trovano nella Basilicata, in Sardegna, nel Lazio e anche nella Venezia Giulia e nella Liguria. Fra le numerose varietà di fico esistenti in Italia, le più importanti sono il fico Dottato e il Brogiotto, largamente coltivati in ognuna delle zone precedentemente citate. I sistemi di essiccamento in uso sono varî, ma dato il clima favorevole, l'essiccamento al sole è quello che predomina per il prodotto scelto, mentre i fichi di qualità inferiore si essiccano nei forni. Qualche grande azienda usa speciali stufe, che hanno il vantaggio di assicurare una perfetta essiccazione del prodotto, anche se la stagione si dimostra avversa.
La produzione di prugne secche e uva passa ha importanza secondaria in Italia. Uva passa ottima si produce nell'isola di Pantelleria.
Le frutta nell'alimentazione. - L'importanza delle frutta dal punto di vista dell'alimentazione dipende specialmente dalla loro particolare sapidità, dalla loro ricchezza in vitamine, dal contenuto in cellulosa (dal quale essenzialmente derivano le caratteristiche proprietà lassative), mentre il valore energetico è per massima parte dovuto alla percentuale di sostanze zuccherine. Di più nella loro composizione chimica hanno larga parte i radicali basici (e per questo le loro ceneri sono alcaline), ciò che ha molta importanza nell'alimentazione per il cosiddetto equilibrio acido-hase. Nella composizione centesimale delle frutta la maggior parte è rappresentata dall'acqua, poi dai carboidrati e in minima parte dalle proteine e dai grassi. Alla vitamina C contenuta abbondantemente nei limoni, nelle arance, nell'uva, ecc. sono dovute le note proprietà antiscorbutiche di questi vegetali. Il contenuto delle frutta, quando la buccia è integra e non venga tolta con manipolazioni impropr: e, è in generale sterile da germi. Tra le diverse frutta ha recentemente assunto importanza la banana, particolarmente ricca di sostanze energetiche, di vitamina C, non di difficile digeribilità (contrariamente a quanto si pensava) tanto che è molto usata anche nella dietetica infantile. Nei procedimenti adoperati per ottenere le frutta candite, le vitamine A e B non vengono distrutte. Le frutta decomposte o imperfettamente conservate possono essere causa di gravi intossicazioni sul tipo del botulismo (v.).
V. tavv. XXXV-XXXVIII.