FRONTALITÀ
. Nell'arte statuaria dei popoli antichi, come gli Egiziani, i Babilonesi, gli Assiri, i Greci dell'età arcaica (fino a tutto il sec. VI a. C.), si denomina "legge di frontalità" una particolare convenzione, per cui, indipendentemente dalla posa che lo scultore conferisce alla figura (in piedi, curva, in ginocchio, ecc.) e dall'azione in cui essa appare occupata, la figura stessa si distingue per un'assoluta rigidezza e immobilità della testa e del busto. Immaginando tagliata una di queste figure secondo un piano ideale, che dalla sommità della testa, percorrendo il naso, il mento e il collo, il torace e la linea alba, va sino agli organi sessuali, questo piano ideale non subisce la minima deviazione e inclinazione, né a destra né a sinistra, ma conserva la perfetta rigidezza di una linea retta continua, che nella statua in piedi è la linea verticale. Ciò in conseguenza della rigida posizione frontale, o frontalità, del corpo della figura. La legge della frontalità viene considerata come una scoperta del danese J. Lange che l'enunciò in una memoria pubblicata nel 1892.
La ragione prima del fenomeno è data dalla necessità in cui l'artista si trova, e l'artista principiante in particolar modo, di accostarsi al modello mediante una semplificazione del modello medesimo, mediante cioè la sua riduzione a schemi geometrici. Compito fondamentale dello scultore primitivo è quello di fornire una riproduzione della figura umana attraverso un processo di approssimazione, differenziando le varie parti del corpo nei loro aspetti più superficiali, e accennando solo superficialmente i rapporti che intercedono fra l'una parte e l'altra, senza quello studio profondo delle anatomie ossea e muscolare, quale si riscontra nell'arte di tempi più progrediti. Testa e tronco sono nell'arte antica le sole parti che conferiscono dignità e ragion d'essere alla figura. L'espressione, considerata come secondaria, del movimento e dell'azione, viene quindi affidata esclusivamente agli arti, i quali per una specie di reazione alla rigidezza del tronco e della testa, appaiono spesso riprodotti in movimenti assai più marcati di quanto la realtà comporti, con una visibile tendenza all'esagerazione del gesto. Una maggiore aderenza al vero, con l'inclinazione dell'asse del tronco e della testa in un senso o nell'altro, determina uno squilibrio apparente tra il lato destro e il lato sinistro della figura. L'artista primitivo e arcaico tiene però spiccatamente all'osservanza delle regole di simmetria, e a nessun patto vi rinunzia.
La legge di frontalità si perpetua nell'arte egizia, come nell'arte babilonese e assira, dalle origini sino alla fine, anche per la tradizione aulica che obbliga a conservare gli stessi schemi per la rappresentazione dei sovrani e dei personaggi di alto rango. Fra i Greci, invece, la maggiore spregiudicatezza e sensibilità davanti ai problemi dell'arte, la continuata familiarità con lo spettacolo dei corpi atletici esibiti in piena libertà nelle palestre e nelle gare ginniche, fanno sì che gli scultori si accorgano per tempo dell'innaturalezza e artificiosità dello schema frontale e della necessità di ovviarvi; cosicché essi arrivano alla conquista di schemi che sono addirittura opposti a quello frontale.
La posizione frontale - in cui la suddetta frontalità è più o meno attenuata - si ritrova sia nell'arte dell'Estremo Oriente, sia nell'arte occidentale, dalla bizantina fino alla moderna, adoperata per raggiungere o accentuare una particolare impressione, di fascino religioso, di grandiosità: e, se molte volte deriva dalla tradizione o da una riflessione estetica, essa appartiene a una concezione artistica spontanea, istintiva, che si può ritrovare anche nell'arte delle popolazioni primitive e nell'arte rustica.
Bibl.: J. Lange, Darstellung des Menschen in der älteren griechischen Kunst, trad. tedesca, Strasburgo 1899; H. Lechat, Une loi de la statuaire primitive. La loi sur la frontalité, in Revue des universités du Midi, I (1895), pp. 1-23; G. Perrot e Ch. Chipiez, Hist. de l'art dans l'antiquité, VIII, Parigi 1903, p. 685 segg.; A. Della Seta, La genesi dello scorcio nell'arte greca, in Mem. dei Lincei, sc. morali, XII (1906), p. 159 segg. (opposizione alla teoria di J. Lange).