Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Schiller inizia il percorso letterario come drammaturgo, con un teatro da cui emerge il suo spirito stürmeriano; la lirica si fa strumento di diffusione delle sue riflessioni sull’uomo, la storia e il suo tempo. Con gli scritti estetici, nati dall’intenso scambio intellettuale con Goethe, offre uno dei maggiori contributi per la teorizzazione del classicismo weimariano, paragonando la sua epoca con l’antichità greca e attribuendo all’arte la funzione di educare l’uomo all’umanità.
La vita
Come succede a molti “classici” della letteratura, anche a Schiller, nel corso dei secoli, toccano in sorte esaltazione e biasimo, il rischio che la sua esistenza interessi più delle sue opere e, nel suo caso specifico, il continuo confronto con Goethe. Anche senza perseguire intenzioni apologetiche, è innegabile che proprio alcune esperienze del giovane Schiller improntano il bisogno di libertà e la battaglia per una cultura al servizio dell’umanità che costellano la sua opera.
Johann Christoph Friedrich Schiller nasce a Marbach am Neckar vicino a Stoccarda nel 1759 in una famiglia piccoloborghese; il padre, Johann Caspar Schiller, medico militare al servizio del duca Karl Eugen von Württemberg, fa istruire il figlio presso l’accademia militare del ducato, la Karlsschule, una scuola dagli ottimi insegnanti, spesso di spirito progressista, ma anche luogo di severa sorveglianza dei giovani più dotati. La madre, Elisabetha Dorothea Schiller, una donna di profonda fede protestante, educa Friedrich secondo lo spirito pietista.
L’accademia non gli offre un ambiente felice: la mancanza di libertà personale opprime il giovane; anche lo studio della giurisprudenza, iniziato nel 1774, non lo appassiona; nel 1775 si iscrive a medicina, dove segue le lezioni di filosofia di Jakob Friedrich Abel (1751-1829), durante le quali impara a entusiasmarsi per Shakespeare. La letteratura assurge per lui a luogo di rifugio: si dedica alla lettura dei drammi di Gotthold Ephraim Lessing e Friedrich Maximilian Klinger e del Werther goethiano, che lo interessa a tal punto da fargli decidere di scrivere, insieme ad alcuni amici, un secondo Werther . Al 1776 risale il primo progetto per il dramma Die Räuber (I masnadieri), steso poi negli anni 1779-80, pubblicato, anonimo, nel 1781, e messo in scena per la prima volta nel teatro di Mannheim nel 1782. Venuto a sapere del viaggio segreto di Schiller per assistere alla prima della sua pièce, Karl Eugen, per il quale il giovane dal 1780 lavorava come medico di reggimento, lo fa arrestare. Schiller riesce tuttavia a fuggire a Mannheim, dove spera in un ingaggio come drammaturgo. Lavora un anno per il teatro, scrivendo Die Verschwörung des Fiesco zu Genua ( La congiura di Fiesco a Genova , 1783) e Kabale und Liebe (Intrigo e amore, 1783-1784), poi il direttore Dalberg, che teme di mettere a repentaglio i suoi rapporti con il duca, lo solleva dall’incarico. Schiller viene a trovarsi in una difficile situazione economica, nella quale lo aiuta l’amico Christian Körner, accogliendolo a Dresda. Nel 1787, con la speranza di ricevere un incarico a corte, si trasferisce a Weimar, ma le sue aspettative vengono deluse. Frattanto Schiller ha intrapreso lo studio della storia, componendo la prima parte di Geschichte des Abfalls der vereinigten Niederlande (Storia della decadenza dei Paesi Bassi uniti, 1788). Il successo dell’opera gli vale la nomina come professore di storia all’università di Jena, città in cui conosce la sua futura moglie, Charlotte von Lengefeld. Nel 1788 avviene anche il primo incontro con Goethe, destinato a non avere seguito fino a qualche anno più tardi, nel 1794, quando inizia fra i due una profonda amicizia e collaborazione letteraria, che si intensifica con il trasferimento di Schiller a Weimar (1799) e dura fino alla sua morte, nel 1805. Questo decennio è fondamentale per la maturazione di idee chiave del classicismo weimariano come la riflessione sul proprio tempo in relazione agli antichi, sul rapporto uomo-natura e la nascita di un programma estetico di eredità illuminista basato sulla ricerca di un’ideale di educazione dell’uomo all’umanità attraverso l’arte. Il contributo schilleriano all’estetica del classicismo tedesco si ritrova nei suoi scritti di carattere estetico come Über die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen (Sull’educazione estetica dell’uomo in una serie di lettere, 1795) o Über naive und sentimentalische Dichtung (Sulla poesia ingenua e sentimentale, 1795-1796), nonché nelle cosiddette poesie filosofiche, ad esempio Das Ideal und das Leben (L’ideale e la vita, 1795), e nelle ballate degli anni 1797-1798.
Il dramma come scuola di saggezza
“Il palcoscenico, più di ogni altra istituzione pubblica, è una scuola della saggezza pratica, una guida per la vita borghese, una chiave d’accesso infallibile all’animo umano”: con queste parole, pronunciate da Schiller nel discorso Was kann eine gute stehende Schaubühne wirklich wirken? (Quale può essere il vero effetto di un buon palcoscenico permanente?, 1784), si può riassumere tutto il teatro schilleriano, dai primi drammi, che aderiscono ai canoni estetici dello Sturm und Drang, in particolare al culto dell’individualità, a quelli della maturità, i cui caratteri riflettono l’ideale etico della Klassik, in cui l’azione drammatica acquista un valore collettivo.
Il primo dramma di Schiller, Die Räuber, rappresenta esemplarmente la contraddittorietà dell’epoca moderna, portando sul palcoscenico la rivolta dell’individuo nei confronti della tradizione da due prospettive differenti, qui simboleggiate da fratelli nemici: Franz Moor, perfido e sleale, un “mostro” della natura, vuole distruggere tutto quello che gli impedisce di essere il padrone, è ossessionato dal voler imporre il proprio io a ogni costo; trama l’eliminazione del fratello Karl, cui spetterebbe la successione del conte Moor, e ottiene anche che il padre lo rinneghi. Fa inoltre rinchiudere il padre in una torre per portare a termine un altro piano diabolico: conquistare Amalia, la fidanzata del fratello. Karl, pensando che il padre lo abbia abbandonato, non crede più alla giustizia e si sfoga con una forma estrema di ribellione, mettendosi a capo di una banda di briganti. Con questa libera in seguito anche il padre, ma si accorge di avere comunque agito da colpevole, violando le leggi; alla fine Karl si costituisce alla giustizia, atto in cui si riconosce il trionfo della ragione sull’agire impulsivo, il fallimento della rivolta irrazionale di uno Stürmer, ma, al contempo, anche l’incapacità della ragione di agire a priori sulla responsabilità morale del soggetto.
Sebbene la contrapposizione dei caratteri di Karl e Franz risulti ancora piuttosto rigida e schematica, nei Räuber si scorge già uno degli interessi principali di Schiller al di là della ricerca della libertà individuale: lo studio del rapporto fra etica e ragione, rapporto qui contraddittorio e lontano dall’ottimismo illuminista.
La ricerca della libertà e il tentativo di conciliazione fra ragione ed etica rappresentano anche il fulcro tematico del Don Carlos (1787), tragedia in cinque atti in pentapodie giambiche ispirata alla storia spagnola, in cui Schiller cerca di trovare una giustificazione al comportamento umano, fondendo dramma politico e dramma privato.
Il testo propone due vicende principali parallele: il conflitto fra il re di Spagna Filippo II e l’infante Carlos e l’amicizia fra Don Carlos e il marchese Posa, intrecci che servono a Schiller per illustrare l’ideale della tolleranza universale e della libertà di coscienza. L’ostilità fra il re e il figlio è inizialmente di origine privata: Carlos, consapevole di quanto impostogli dai propri principi etici, rinuncia alla principessa francese Elisabetta di Valois, di cui è innamorato, ma che, per motivi politici, ha dovuto sposare il re. In questa delicata situazione si inserisce la principessa Eboli, che si innamora di Carlos e che, per gelosia, rivela la tresca al re. Posa, che condivide con Carlos l’idea di dover costruire lo “stato più felice che la società umana possa raggiungere”, appoggia la causa della liberazione dei Paesi Bassi dal predominio spagnolo. Spinto dall’entusiasmo per la possibilità di portare a termine più facilmente il suo piano, Posa si rivolge direttamente a Filippo II. Assume così un doppio ruolo: si mette al servizio del re e, al contempo, cerca di convincere Carlos a capitanare la rivolta nei Paesi Bassi. Il re scopre il doppio gioco del marchese, lo fa uccidere, ma consegna anche il figlio all’Inquisizione. Parecchi mondi si contrappongono nel dramma, quello dapprima illuminato poi troppo individualista di Posa, quello di Carlos, pronto a prendersi carico delle proprie responsabilità, e quello, tragico, del re, che si sente tradito da Posa e dalla regina ed è impotente davanti all’Inquisitore.
La lirica delle idee
Johann Christoph Friedrich Schiller
Gli dei della Grecia
Poesie filosofiche
Quando vostro era il regno e bello il mondo,
genti beate guidavate ancora
con le redini lievi della gioia,
esseri belli del mondo delle fiabe!
Quando il culto gioioso ancor splendeva,
tutto diverso, era diverso allora!
Quando di fiori si ornavano i tuoi templi,
o Venere Amatusia!
Quando della poesia il velo incantato
la verità leggiadro avvolgeva ancora,
forza vitale fluiva nel creato,
e ciò che mai non sentirà sentiva.
Per stringerla al seno dell’amore
più alta nobiltà si diede alla natura:
indicava agli sguardi d’iniziati
tutto forma di un dio.
Dove ora, dicono i nostri saggi,
gira una sfera di fuoco senza vita,
guidava allora il suo carro dorato
Elio, in serena maestà.
Oreadi popolavan queste cime,
una Driade quell’albero abitava,
dalle urne di dolci Naiadi usciva
dei fiumi la spuma d’argento.
[…]
Mondo bello, dove sei? Ritorna,
della natura soave primavera!
Solo nella terra fatata dei canti
la tua traccia fiabesca vive ancora.
Senza vita, in lutto è la campagna,
al mio sguardo non si offre nessun dio,
di quella calda immagine di vita
solo l’ombra è rimasta!
[…]
Sono tornati a casa, sì, ed il bello
e ciò che è alto, tutto si son presi,
tutti i colori e i suoni della vita,
sol la parola esanime a noi resta.
Strappati ai flutti del tempo, stan sospesi
al sicuro, lassù in cima al Pindo.
Quel che eterno deve vivere nel canto
nella vita ha da perire.
J. C. F. Schiller, Poesie filosofiche, trad. it di G. Pinna, Milano, Feltrinelli, 2005
Accanto al teatro, Schiller considera la lirica altrettanto importante per la diffusione delle sue riflessioni sull’uomo, la storia e il suo tempo. Non è un caso che si parli sia di Gedankenlyrik, poesia delle idee, che, per alcuni testi, di poesie filosofiche.
La lirica giovanile, raccolta nella Anthologie auf das Jahr 1782 (Antologia per l’anno 1782), è ancora piuttosto epigonale e legata ai canoni sentimentali di Friedrich Gottlieb Klopstock e alle descrizioni naturali di Albrecht von Haller e canta per lo più i sentimenti sublimi suscitati dalla natura, con cui l’io lirico si fonde panteisticamente. Agli stessi anni risalgono poesie politiche, ispirate a Christian Friedrich Daniel Schubart, come Die schlimmen Monarchen (I cattivi monarchi, 1782), in cui pathos retorico e immagini a effetto servono a esprimere l’indignazione del giovane poeta nei confronti dei despoti assolutistici; e ancora liriche d’amore come Liebeslyrik für Laura (Lirica d’amore per Laura), piuttosto epigonali e artificialmente costruite se confrontate con la Erlebnislyrik goethiana.
Di ben diversa levatura è invece la lirica poetologica Die Götter Griechenlands (Gli dèi della Grecia, 1788 e 1793), in cui Schiller spiega, attraverso versi e immagini allegoriche, la sua teoria estetica. Nel maggio del 1784 il poeta visita la Sala dell’antichità di Mannheim, visita che descrive nel suo Brief eines reisenden Dänen (Lettera di un viaggiatore danese, 1785) come “un’esperienza di risveglio”: riconosce infatti nelle statue greche quella kalokagathia venuta meno nella modernità. Per spiegare tale mancanza compone Gli dèi della Grecia, utilizzando un tono elegiaco per dar voce al lamento per la perdita della cultura greca, e, allo stesso tempo, idilliaco, per esprimere il suo entusiasmo verso la civiltà perduta. In particolare il poeta, per mezzo di una struttura antitetica, contrappone il “bel mondo” della Grecia, in cui uomini e dèi interagivano armoniosamente, al suo tempo, ormai lontano dallo status idilliaco del passato. L’unica via per ricreare l’armonia perduta nel presente sembra essere l’arte.
Dal 1794, anno in cui si intensifica il contatto fra Schiller e Goethe, la lirica schilleriana si fa sempre più filosofica. Ne sono esempio Das Ideal und das Leben (L’ideale e la vita) – pubblicata nel 1795 sulla rivista “Die Horen” in una prima versione dal titolo Das Reich der Schatten (Il regno delle ombre) e poi rielaborata fino al 1804 –, che analizza il contrasto fra libertà e necessità, spirito e materia, trovandone una sintesi armonica “nella sfera della bellezza”, e Der Spaziergang (La passeggiata, 1800), che mostra lo sviluppo culturale dell’umanità attraverso una passeggiata che conduce l’io lirico dalla “prigione” della propria casa alla natura pura della campagna, fino alla città desolata. La poesia si conclude con l’aspirazione al ritorno fra le braccia della natura.
Gli scritti teorici: l’arte come mezzo di educazione morale
Johann Christoph Friedrich Schiller
Lettera sesta
L’educazione estetica dell’uomo. Una serie di lettere
[…] I Greci non solo ci svergognano per una semplicità estranea alla nostra epoca; nello stesso tempo sono i nostri rivali, spesso anzi i nostri modelli negli stessi pregi coi quali abbiamo cura di consolarci per l’innaturalezza dei nostri costumi. Ricchi di forma e di contenuto insieme, filosofi e artisti, delicati ed energici, li vediamo unire in una magnifica umanità la giovinezza della fantasia e la virilità della ragione.
Allora, in quel bel risveglio delle forze spirituali, i sensi e lo spirito non avevano ancora un dominio rigidamente separato; nessun contrasto li aveva già provocati a dividersi ostilmente l’uno dall’altro e a definire la loro linea di demarcazione. La poesia non aveva amoreggiato con l’arguzia e la speculazione non si era ancora contaminata con la cavillosità. All’occorrenza, potevano entrambe scambiarsi le funzioni, ciascuna onorando la verità soltanto a modo proprio. Per quanto salisse in alto, la ragione amorosamente si portava sempre dietro la materia, e per quanto sottilmente e minuziosamente se ne distinguesse, mai ne restava mutilata. Certo, scomponeva la natura umana e la proiettava ingrandita nello splendido pantheon divino, eppure non perché la lacerasse in pezzi, bensì per il fatto di mischiarla in varie forme, dacché in nessun singolo dio mancava l’umanità intera. Com’è tutta un’altra cosa per noi moderni! Anche presso di noi l’immagine della specie è proiettata ingrandita negli individui – ma in frammenti, non in varie combinazioni, così che per raccogliere insieme la totalità della specie si ha da cercare qua e là, da individuo a individuo.
[…]
Fu la cultura stessa a produrre questa ferita dell’umanità moderna. Non appena l’esperienza più vasta e il pensiero più preciso da un lato resero necessaria una più netta divisione delle scienze, il più complicato meccanismo a orologeria degli Stati rese dall’altro necessaria una più rigida separazione dei ceti e delle occupazioni, spezzandosi così anche l’intimo legame della natura umana e un conflitto fatale dividendo le sue forze armoniche. L’intelletto intuitivo e quello speculativo si scissero allora, con sentimenti ostili, nei rispettivi diversi campi, di cui cominciarono a sorvegliare i confini con diffidenza e gelosia, e la sfera cui ciascuno restringe la propria attività ci si è imposta anche come un padrone il quale non raramente finisce con il reprimere le restanti nostre disposizioni. Mentre qui la lussureggiante immaginazione devasta le faticose piantagioni dell’intelletto, là lo spirito di astrazione estingue il fuoco al quale si sarebbe dovuto scaldare il cuore e accendere la fantasia.
J. C. F. Schiller, L’educazione estetica dell’uomo. Una serie di lettere, a cura di G. Boffi, Milano, Rusconi, 1998
Il programma estetico del classicismo weimariano, fondato sulla ricerca di un’ideale educazione dell’uomo all’umanità attraverso l’arte e di un legame armonico fra politica ed etica, trova in Schiller il suo fulcro nello studio della filosofia kantiana (dal 1792) e nei saggi estetici degli anni 1793-1796: Über Anmut und Würde (Su grazia e dignità, 1793), Über die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen (1795) e Über naive und sentimentalische Dichtung (1795-1796).
Il primo scritto – nato dal confronto con La critica del giudizio (1790) di Kant, che Schiller considera troppo rigida nella categorizzazione fra dovere e inclinazione – affronta la ricerca dell’armonia fra etica ed estetica, equilibrio che l’autore riscontra nella persona morale. Questa moralità si manifesta attraverso “grazia” e “dignità”; la grazia è espressione dell’anima, proviene direttamente dal soggetto e si rivela laddove l’anima è libera ed equilibrata, in particolare nell’“anima bella”. La dignità, attribuita a un’indole sublime, è manifestazione della capacità dell’individuo di dominare le proprie pulsioni seguendo la libertà di spirito. Grazia e dignità si trovano unite armonicamente nella bellezza delle statue greche, nelle quali la necessità della natura scompare nella nobile maestà del volto e la moralità si esprime attraverso la bellezza corporea.
Schiller si rende conto che questa armonia è difficilmente rintracciabile nella realtà; anzi, nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo sostiene che la società moderna, con la sua complessità non permette agli uomini di sviluppare armoniosamente la propria natura fino a raggiungere l’umanità. Per ovviare a questa situazione e restituire all’individuo la vera libertà bisogna offrire all’uomo un’educazione estetica, compensando così gli svantaggi portati dalla civilizzazione. Il ritorno ai Greci non può avvenire riprendendone i contenuti, ma ritornando alla loro forma armonica. Ma l’uomo moderno non può far altro che prestare le sue forme dall’antichità e Schiller afferma che, nel momento del godimento estetico, l’animo è sottoposto a un cambiamento e, per un breve momento, il soggetto esce dalla sua realtà sociale e culturale.
Per illustrare meglio le modalità che l’individuo può seguire per ritornare all’armonia della natura e ritrovare la compiutezza perduta, nel saggio Della poesia ingenua e sentimentale Schiller introduce i concetti di “ingenuo” e “sentimentale”, riferendoli al poeta. Il poeta ingenuo, in cui riconosce anche Goethe, è natura, il poeta sentimentale, in cui riconosce anche se stesso, cerca la natura. Per il poeta moderno l’ideale sarebbe ritornare a essere ingenuo, ma siccome non si possono rimuovere secoli di storia, l’unica possibilità che gli rimane è quella di tornare “alla natura attraverso ragione e libertà”, raggiungendo così per un’altra via, l’opera umana, l’unità di natura e libertà.