FRICHIGNONO, Pietro Francesco, conte di Castellengo
Nacque a Torino nel 1632 da Giovanni Antonio, segretario ordinario del Senato di Piemonte e procuratore dei poveri, e da Margherita di Alessandro San Martino di Castellamonte.
Di famiglia borghese, originaria forse di Locarno e stabilitasi in seguito a Moncalieri, si laureò a Torino (1653) e l'anno dopo sostituì come lettore di diritto civile il fratello Ettore Bonifacio nella stessa università dove più tardi terrà tale carica dal 1659 al 1689.
Il legame con il fratello, giureconsulto già noto e stimato, costituì una costante della carriera del F. e gli valse il suo primo incarico nel 1669: allora, infatti, fu inviato a Milano per seguire le trattative della cessione del feudo ducale di Mombaldone, vicino ad Asti, al re di Spagna, in cambio del feudo della Morra, presso Bra. Dopo le lungaggini poste in atto dal governatore di Milano, marchese P. Spinola, e dal Consiglio segreto, ben evidenziate nella corrispondenza del F. a Torino, venne inviato a seguire le trattative a Madrid, al seguito dell'ambasciatore ordinario, Roberto Solaro.
Dalle istruzioni inviategli nel dicembre 1670 risulta inoltre che avrebbe dovuto ottenere dalla corte di Madrid il pagamento definitivo "delle dotti" dell'infanta Caterina d'Asburgo, moglie di Carlo Emanuele I, di cui ancora, dopo oltre ottant'anni, i duchi di Savoia non avevano ottenuto che una parte.
Tornato a Torino nel 1672, il F. venne nominato consigliere di Stato e Finanze: come tale fece parte della delegazione del Buon Governo dei Comuni, istituita già nel 1661, e alla quale era appunto sottoposta una sezione del Consiglio di Stato.
Sono proprio di questi anni alcuni suoi scritti e pareri presentati alla duchessa reggente (dal 1675) Maria Giovanna di Nemours, in materia di amministrazione locale: infatti, delle libertà comunali, dei Consigli civici e dell'elezione dei sindaci il F., in netto contrasto con l'indirizzo della reggente, tendeva a salvaguardare i diritti delle Comunità, minacciati dalla politica accentratrice e autoritaria della duchessa.
Nel 1676, promosso il fratello alla carica di presidente della Camera dei conti di Piemonte, il F. gli successe quale avvocato generale della stessa Camera, ottenendo anche la carica di senatore e - l'anno seguente - la disponibilità, ossia la facoltà di trasmettere gli uffici al figlio. Comportando l'esercizio di tali cariche in Piemonte la nobiltà personale, nel 1680 il F. venne infeudato di Montonaro con il titolo comitale.
Nel 1681 estinta la linea dei Frichignono conti di Castellengo, Ettore Bonifacio, il F. e Giovanni Antonio ne rivendicarono la successione, come agnati prossimiori, riuscendo nell'intento nel 1684, anche se al prezzo di una transazione molto onerosa (Manno, p. 452).
Nel 1684, pur continuando l'insegnamento allo Studio di Torino e l'esercizio dell'avvocatura, entrò a far parte della venerabile Compagnia dell'Istituto S. Paolo di Torino, all'interno del quale occupò varie cariche, fino a divenirne, vent'anni più tardi, presidente. La morte di Ettore Bonifacio, dal F. dolorosamente sentita, costituì tuttavia un'ulteriore spinta alla sua carriera. Già inviato alla corte di Lisbona nel 1683 per le trattative relative al progettato - e non voluto dal duca - matrimonio di Vittorio Amedeo con l'infanta di Portogallo, diventò consigliere del giovane duca per le finanze ducali e in particolare per i problemi economico-finanziari delle Comunità. Sostenitore di una politica contraria a eccessive imposizioni sul paese, cercò di favorire una graduale diminuzione del debito pubblico locale e prese parte alla commissione per lo studio della riduzione dei debiti delle Comunità.
Negli anni seguenti, che videro il paese travolto dalla lunga e durissima guerra della Lega di Augusta, il F. sostenne a più riprese con notevoli somme le finanze ducali, tanto da restare, come scrisse egli stesso in un memoriale al duca, "dissestato in finanze". Ma i riconoscimenti non si fecero attendere: subito dopo la pubblicazione degli accordi di Pinerolo fra il re di Francia e Vittorio Amedeo II, nell'agosto 1696, il duca di Savoia inviò il F. insieme col presidente Filiberto Sallier de la Tour al congresso di Rijswijk, ad "accudire e promuovere gli interessi" del Piemonte.
Nelle istruzioni il duca di Savoia sottolineava la delicatezza dell'incarico, perché da lungo tempo non era "caduto a' suoi predecessori et a lui un affare di tanta importanza e sì gravi conseguenze". Il principale obiettivo della loro missione era quello di far sì che nel trattato della pace generale fossero esplicitamente inserite le clausole del precedente accordo fra la Francia e la Savoia: restituzione delle piazzeforti occupate di Pinerolo e del suo territorio e smantellamento della piazzaforte di Casale.
Nonostante le sottigliezze e i cavilli dei primi mesi, grazie alla ferma volontà inglese e soprattutto alla presa di Barcellona operata da Louis Joseph duca di Vendôme e a quella di Cartagena da parte della flotta francese, si giunse in meno di un anno alla firma della pace generale, il 10 sett. 1697. E l'azione degli inviati sabaudi fece sì che venisse confermato il trattato di Torino del 29 ag. 1696 in ogni suo punto, e ne fu annessa copia alle convenzioni generali tra la Francia, la Spagna, i Paesi Bassi e l'Inghilterra.
Al ritorno a Torino il F., anche per il felice esito della missione, ricevette nuovi attestati della stima e della considerazione del sovrano. Il 19 febbr. 1698 fu nominato giudice e conservatore generale delle Gabelle e, l'anno seguente, presidente effettivo del Senato di Piemonte; gli vennero inoltre riconosciute le precedenti investiture dei feudi di Vernone e di Castellengo, sempre con il titolo comitale. Il 17 febbr. 1701 infine, venne nominato presidente della Camera dei conti di Piemonte.
Morì a Torino il 5 marzo 1708.
Sposatosi una prima volta con Paola Costa Raschieri, il F. aveva avuto da lei nove figli, mentre non ebbe figli dal suo secondo matrimonio con Margherita Ludovica Birago. Il primogenito Raffaele Ignazio, che ereditò il titolo e il patrimonio, fu referendario di Stato e gli altri, Gabriele, Tommaso e Carlo Giuseppe ricoprirono anch'essi uffici e cariche di giustizia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Archivio di Corte, Lettere ministri, Spagna, 1670-71, mazzi 28-29; Ibid., Negoziazioni, Spagna, m. 4, n. 9; Ibid., Negoziazioni, Francia, mazzo 17, n. 10: Istruzione al conte della Torre e al conte F. per la loro andata al congresso della pace generale…; per la corrispondenza del F. con la reggente e Vittorio Amedeo II: Ibid., Lettere di particolari, "F", mazzo 63, 1669-1697; per le nomine agli uffici e le infeudazioni cfr. Camera dei conti, Patenti Controllo Finanze, 1676, I, ff. 42 s.; 1678-79, f. 192; 1679-80, f. 200; 1692-93, f. 266; 1697, f. 68; 1698-99, f. 72; Torino, Bibl. reale, Manoscritti, Varia, 549, pp. 733-736; Ibid., Bibl. naz.: A. Manno, Il patriziato subalpino (datt.), vol. VI, pp. 452 s., 459 s., sub voce; G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti…, Torino 1798, L, p. 502; D. Carutti, Storia della diplomazia alla corte di Savoia, III, Torino-Firenze-Roma 1880, pp. 241-245; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, pp. 283, 380; M. Abate, L'Istituto bancario S. Paolo di Torino, Torino 1963, pp. 85, 251; L'Università di Torino nei secc. XVI e XVII, Torino 1972, pp. 275, 362 ss.