FRESCOBALDI
. Famiglia fiorentina, detta anche dei Rinieri da Callerotta, del Palagio e da Montecastelli in Valdipesa, ebbe il suo apogeo nel Duecento e nella prima metà del Trecento, e spesso personaggi di questa famiglia sono citati nelle cronache e nei documenti del tempo. Questa limitazione cronologica alla sua fortuna politica si spiega con la posizione sociale dei F. e con il loro atteggiamento nelle contese faziose del comune fiorentino. Seguirono parte guelfa, ma rimasero ostinatamente avversi al governo popolare dopo le novità costituzionali segnate dall'istituzione del priorato e dalla promulgazione degli Ordinamenti di giustizia. Nella reazione magnatizia a codesti progressi essi figurano in un posto di prima linea, sia ai tempi di Giano della Bella, sia nelle estreme congiure dei grandi ai tempi del duca di Atene; sicché poche volte ricorrono nel ruolo dei priori, ed è significativo il fatto che, saliti a quel magistrato nel 1285, nella persona di Ghino, ne rimanessero esclusi fino al 1433, quando ricoprì quella carica Francesco di Filippo.
Pionieri del commercio fiorentino nei paesi d'oltralpe, li troviamo associati coi Francesi nei rapporti finanziari con Filippo il Bello, re di Francia, e con i Bardi nelle relazioni con Edoardo I e II d'Inghilterra. La serie inglese dei Patent Rolls documenta le sovvenzioni dei Frescobaldi a quella corona fin dal 1277; dà notizia che fino al 1310, godendo di un privilegio, trattarono con lo Scacchiere anche a nome di altre compagnie fiorentine, i Bardi compresi; diviene muta al riguardo dopo il 1311, quando furono cacciati dai mercati inglesi, rimasti alle più ardite iniziative dei Bardi e dei Peruzzi. Contemporaneo è il declino della fortuna politica in patria; fortuna che apparve magnifica alla cittadinanza anche per le esterne aderenze con i regali protettori di parte guelfa: Carlo I d'Angiò nel 1273, Carlo di Valois nel fatale ingresso del 1° novembre 1301, avevano alloggiato in quelle case dei Frescobaldi, che anche oggi rimangono, allo sbocco del ponte S. Trinita in Oltrarno, dove si ordivano, e si sarebbero continuate a tramare anche in seguito, le più insidiose congiure magnatizie.
Personaggio di gran nome e di pronta violenza fu Berto, che nei consigli del comune disse forte villania a Giano della Bella, prima che questi si volgesse a parte popolare; che in un conciliabolo di magnati, nella chiesa di S. Iacopo d'Oltrarno, contigua alle sue case, propose una reazione violenta contro Giano e gli Ordinamenti di giustizia, con fierezza di parole che Dino Compagni echeggia nella sua Cronica. Scissa la parte guelfa nelle due fazioni dei Bianchi e dei Neri, Berto si palesa, in un primo tempo, tra i fautori dei primi, perché legato come debitore a Vieri dei Cerchi; ma poi aderisce al contrario partito, senza stringersi troppo a Corso Donati e senza muoversi al suo soccorso quando la reazione popolare lo travolge. Del resto, come altre casate, i F. erano divisi nelle due opposte fazioni, e perciò quelli di parte nera facilmente si disponevano a patteggiare coi fuorusciti: così accadde nel 1304, quando una seria offensiva degli esuli fu preceduta da un tentativo di pacificazione, perché i F. neri, con irriducibili tendenze magnatizie, si trovavano in disaccordo col ceto preminente in patria dopo la cacciata dei Bianchi.
Ma le più note congiure dei F. sono intorno alla metà del Trecento, nelle estreme sedizioni magnatizie contro il governo popolare. È una delle famiglie più irrequiete e più ribelli al freno degli Ordinamenti di giustizia: così promosse una congiura nel novembre del 1340; favorì poco dopo l'insediamento del duca di Atene, partecipando all'illusione dei grandi che questi avrebbe revocato gli aborriti Ordinamenti; cospirò contro di lui quando vide fallita codesta speranza, associandosi alla generale sollevazione contro il tiranno e partecipando al governo misto conseguente a quella cacciata; capeggiò un'altra sommossa contro gli ordini popolari nel 1343, e fu fiaccata per sempre.
Qualcuno dei F. è ancora adoperato nelle ambascerie, come Leonardo, inviato a papa Bonifazio IX nel 1396, o in fazioni guerresche, come Tommaso, che muore fra i tormenti nel 1427 anziché rivelare al duca di Milano le segrete intelligenze della sua repubblica con quei di Genova, nemici al Visconti. L'ultimo ostracismo ai F. è dato da Cosimo nel 1434, proprio all'inizio dell'egemonia medicea. Contro Lorenzo il Magnifico ordì una congiura Battista, nel 1481, e finì sulla forca. La nobiltà della famiglia, di cui sopravvivevano tre case al principio del Settecento, ebbe lustro durante il principato da tre senatori, da alcuni cavalieri di Malta e da un Carlo del senatore Matteo, che servì Francesco I, duca di Mantova.
Il già ricordato Leonardo compì, negli anni 1384-85 (?), insieme ai concittadini Guccio di Dino Gucci e Andrea Rinuccini un viaggio in Egitto e in Terrasanta, lasciandocene un'assai accurata descrizione, dove si espongono, con larga copia di particolari e sicura competenza, le condizioni della vita sociale ed economica dei paesi visitati. Di questa relazione, considerata uno dei più pregevoli documenti geografici del tempo, si posseggono varî codici; tornato a Firenze, il F. coprì varî pubblici uffici, fra cui quello di ambasciatore presso il papa (1396). Nel 1405 fu all'assedio di Pisa: l'ultima notizia che se ne ha, ignorandosi la data della sua morte.
Della famiglia Frescobaldi furono poeti Lambertuccio (morto nel 1304), che fu anche banchiere e mercante, i suoi figli Giovanni (morto nel 1337) e Dino (morto prima del 1316) e il figlio di Dino, Matteo (1297?-1348). Dei primi due si hanno solo pochi sonetti. Dino, se è vera la testimonianza del Boccaccio, avrebbe mandato a Dante, ospite dei Malaspina nel 1306, i primi sette canti dell'Inferno ritrovati nella casa del poeta a Firenze. Compose parecchie rime d'amore, che sono tra le migliori del dolce stil novo, e tra esse è famosa la Canzone della morte. Matteo ha un canzoniere artisticamente inferiore, ma più vario di quello del padre, perché comprende con le poesie d'amore, altre morali e politiche.
Bibl.: I sonetti di Lambertuccio in E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, Città di Castello 1912, p. 263 segg.; quattro sonetti di Giovanni in A. Mabellini, Sonetti editi e inediti di Ser Ventura Monachi, Torino 1903, pp. 41-48 e 57-59. Le rime di Dino in I. M. Angeloni, D. F. e le sue rime, Torino 1907, e in L. Di Benedetto, Rimatori del dolce stil novo, Torino 1925, pp. 241 segg. Le rime di Matteo in G. Carducci, Rime di M. di D. F., Pistoia 1866. La relazione del viaggio di Leonardo in C. Gargiolli, Viaggi in Terra santa di L. F. e d'altri del sec. XIV, Firenze 1862.
In generale: S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1647; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, Firenze 1929; I. del Lungo, Dino Compagni e la sua cronica, Firenze 1879-87; A. Sapori, La crisi delle compagnie mercantili dei Bardi e dei Peruzzi, Firenze 1926; L. M. Mariani, Priorista fiorentino, inedito nel R. Archivio di Stato di Firenze. Su Lambertuccio: S. Debenedetti, L. F., poeta e banchiere fior. del sec. XIII, in Miscellanea di Studi critici pubblicati in onore di G. Mazzoni, I, Firenze 1907, p. 20.; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, Berlino 1908, pp. 324-25; L. Righi, Appunti sopra la lirica di Monte Andrea, rimatore fiorentino del sec. XIII, Firenze 1920. Su Giovanni: S. Debenedetti, op. cit., p. 24, n. 1; L'elenco dei sonetti in C. e L. Frati, Indice delle carte di P. Bilancioni, ecc., Bologna 1891, pp. 332-333. Su Dino, oltre lo scritto di I. M. Angeloni, v. S. Debenedetti, in Giornale storico della letteratura italiana, XLIX, pp. 332 e 340; V. Rossi, Scritti di critica letteraria, Firenze 1930, I, pp. 63-64. Su Matteo: S. Debenedetti, Matteo F. e la sua famiglia, in Giornale storico della lett. italiana, XLIX, pp. 314-341; G. Carducci, Rime di M. di D. Frescobaldi, raccolte e riscontrate sui codici, Pistoia 1866. Su Berto: M. Bori, Atti di un capitano del comune di S. Gimignano. Berto Frescobaldi, in Miscellanea storica della Valdelsa, XIV (1906), fasc. 2-3. Su Leonardo: A. Gregorini, Le relazioni in lingua volgare dei viaggiatori italiani, in Ann. della R. Scuola norm. sup. di Pisa, Filosofia e Filologia, XI, Pisa 1906; G. Manzoni, Esercitazioni sulla lett. religiosa in Italia nei secoli XIII e XIV, Firenze 1905, p. 292.