Fratta (Frattesi)
In VE I XI 6 D. condanna recisamente (eicimus), alla pari coi più brutti volgari d'Italia, montaninas omnes et rusticanas loquelas, lontane per la loro aberrante fonetica (accentus enormitate) dalla lingua dei mediastini cives: e le esemplifica con Casentinenses et Fractenses (v. CASENTINO; MEDIASTINUS). Nessun dubbio che vada mantenuta la lezione Fractensef del ms. berlinese (il cod. di Grenoble e il Trivulziano hanno Fratens(s)es), rifiutando la congettura Pratenses già del Trissino e del Corbinelli e poi sostenuta dal Parodi e dal Rajna dopo l'editio maior: tra l'altro Prato sembra poco adatto a rappresentare parlate campagnole (e tanto meno quelle di montagna). Si tratterà dunque di una Fratta, toponimo comunissimo in Italia, e in Toscana.
Il Rajna, accettando in un primo tempo la lezione Fratenses, pensò che D. si riferisse, tra le varie Fratte possibili, a Fratta di Valle Tiberina, ora Umbertide, " insigne per il vicino monastero camaldolese di Monte Corona, ch'ebbe l'onore di essere un tempo governato da S. Pier Damiano ": la zona non è lontana dal Casentino ed è probabile che D. si sia aggirato da quelle parti nei primi tempi dell'esilio. Però il Rajna pensava che anche questa Fratta esemplificasse un tipo di parlata montanara. Il Marigo, accettando l'identificazione, ha precisato che in realtà Fratta Umbertide è situata in una zona pianeggiante della media valle del Tevere, tra Umbria e Toscana, e può quindi rappresentare bene la categoria delle ‛ rusticanae loquelae '. Si noti comunque che entrambi gli studiosi non prendono in considerazione altre Fratte toscane, buon numero delle quali in Val di Chiana, prossima al Casentino. Secondo una recente ipotesi del Pézard (accettata dal Panvini), si tratterebbe invece di Fratta in Romagna, a sud-ovest di Faenza, nel punto più alto del bacino del Montone, in una zona dominata dal castello posseduto da uno dei rami dei conti Guidi e che si affronta precisamente col Casentino, dove pure erano potenti domini di quella famiglia, sopra l'Alpe di San Benedetto (cfr. If XVI 95 ss.). Attraverso queste due zone D. indicherebbe i punti periferici estremi, e pertanto linguisticamente aberranti, rispetto ai due centri delle regioni cui appartengono, Firenze e Bologna, che a tale centralità geografica devono la loro situazione di privilegio linguistico (e v. MEDIASTINUS per l'interpretazione che ne dà il Pézard). Con l'et D. non intenderebbe distinguere due generi di parlate, rispettivamente delle zone montuose e delle campagne pianeggianti, ma semplicemente indicherebbe nella ‛ rusticità ' un carattere aggiunto, normalmente connesso alla condizione dei ‛ montanini ', e avrebbe dunque di mira esclusivamente questi ultimi. L'interpretazione del Pézard sembrerebbe confermata da VE II I 6, dove D. esclude che il volgare illustre possa convenire montaninis rusticana tractantibus, ma rimane anche l'impressione che il giudizio dantesco risulterebbe più articolato postulando nel nostro passo non una ma due distinte categorie di parlanti, entrambe non cittadine. Si ricordi che pure il Passavanti (Specchio, ediz. Lenardon, p. 353) parla di coloro che " con favella maremmana, rusticana, alpigiana, l'arrozziscono [la Scrittura] ".
Bibl. - P. Rajna, editio maior del De vulg. Eloq., 62-63; Marigo, De vulg. Eloq. 94-95; A. Pézard, Fractenses? (De volgari Eloquentia, I, XI, 6), in Medium Aevum Romanicum. Festschrift für H. Rheinfelder, Monaco 1963, 258-266 (rist. in " La rotta gonna ", II, Firenze 1969, 19-29); D.A., De vulg. Eloq., a c. di P.V. Mengaldo, I, Padova 1968, 19.