FRATICELLI
. Setta religiosa, sparsa specialmente in Italia fra il 1317 e il 1466. Il nome, che ne dimostra l'origine italiana, occorre per la prima volta in un documento pontificio: la bolla Sancta Romana del 30 dicembre 1317, diretta, oltre che contro il gruppo dei cosiddetti spirituali francescani, capitanato da Angelo Clareno (morto nel 1337), contro la setta in generale, designata sotto i nomi di fraticelli, frati di povera vita, bizzocchi, beghini; costoro si trovano sparsi in Italia, in Sicilia, in Provenza, a Narbona, Tolosa e altrove. La bolla Gloriosam Ecclesiam, del 23 gennaio 1318, riguarda in special modo gli spirituali toscani che sotto Enrico da Ceva si erano sottratti all'Inquisizione con la fuga in Sicilia, e che pure vengono compresi nella setta dei fraticelli. Il gruppo di Provenza fu terribilmente represso nel 1318, ma i loro aderenti laici, chiamati beghini, vi si mantennero ancora qualche tempo, come pure nella vicina Catalogna. I fraticelli italiani ebbero vita più tenace, nonostante l'azione dell'Inquisizione. Varie circostanze li favorirono, prima tra le quali la controversia sulla povertà di Cristo sorta sotto Giovanni XXII (1321) e la conseguente ribellione di Michele di Cesena, ministro generale dei frati minori. Gli aderenti di questo si chiamano più esattamente michelisti, per distinzione dai fraticelli propriamente detti, i quali però ingrossarono il proprio numero, adottando gli argomenti di quelli contro il papato. L'assenza del papa dall'Italia, i dissidî tra la Chiesa e i comuni, e finalmente lo scisma d'Occidente (1378-1417) favorirono lo sviluppo della setta. Molte città dell'Italia centrale non reagirono energicamente contro di loro. I fraticelli di Narni (circa 1354) nominano specialmente Assisi, Perugia, Todi e Pisa, come favorevoli a loro. Nella stessa Roma i fraticelli si erano annidati in S. Giovanni ante portam latinam, sotto il nome di "frati della povera vita" (Catalogo di Torino, del 1330 circa). Ebbero l'ardire d'indirizzare un loro scritto giustificativo "a quelli che reggevano Roma" (Oliger, Documenta, p. 74 segg.). Si trovano pure a Tivoli, Subiaco, Marino, Poli, Palestrina, e nella valle di Rieti. Altre sedi della setta erano l'Umbria, la Toscana, le Marche, il Napoletano, la Sicilia. Dalle Marche nel 1389 un fra Michele da Calci (presso Pisa) si era spinto a Firenze per predicare ai suoi fedeli la quaresima, ma, scoperto, fu condannato al rogo. Nel 1427 S. Giovanni da Capistrano e S. Giacomo della Marca furono istituiti inquisitori contro i fraticelli delle Marche, della provincia di Roma e del ducato di Spoleto, e menarono una campagna a fondo contro la setta. Sotto Niccolò V ne furono bruciati parecchi a Fabriano. S. Giacomo della Marca scrisse allora il suo Dialogo contro i Fraticelli (edito ad Baluzius-Mansi, Miscellanea, II, pp. 595-610). Nel Napoletano furono dapprima favoriti dalla regina Sancia, che li teneva a corte. Cola di Rienzo negli anni 1348-1350 fu ospite dei fraticelli della Maiella, e ingannato dalle loro profezie si recò presso l'imperatore Carlo IV a Praga, dove fu imprigionato. Nello stesso regno di Napoli Carlo duca di Calabria proteggeva i fraticelli, per cui fu più volte ammonito da Giovanni XXII; la setta vi si mantenne però fin verso la fine del secolo XIV, e aveva nel suo seno anche un vescovo di Aquino di nome Tommaso. A Napoli un certo Giacomo scrisse un trattato contro di loro tra il 1368 e il 1378 (Oliger, Documenta, p. 163). Al principio del sec. XV si trovano nella Maremma toscana e a Lucca, nella quale città vengono processati nel 1411. L'ultimo processo inquisitoriale contro la setta si svolse a Roma nel 1466, dopo che i fraticelli di Poli e di Maiolati (Marche) erano stati sorpresi in un pellegrinaggio ad Assisi e condotti a Roma. Questo processo segna la fine della setta in Italia, mentre altrove era già estinta.
In Catalogna, dove il beghinismo imperversava nella prima metà del sec. XIV, vi fu un tentativo, nel 1430, d'introdurre una forma speciale di fraticellismo, iniziato da Filippo Berbegall, francescano scontento, che intitolò la sua congrega "della Cappucciola". Secondo i documenti pontifici egli riuniva gli errori dei fraticelli d'Italia con gli errori degli ussiti di Boemia. Vigorosamente combattuto dall'autorità ecclesiastica e, con apposito scritto, da S. Giovanni da Capistrano, questo nuovo rampollo della setta ebbe poca vita. Qualche vaga notizia si ha inoltre di fraticelli in Boemia, forse fuggitivi dall'Italia, che si sarebbero legati con gli ussiti. Verso la metà del sec. XV esistevano pure quattro conventi di fraticelli in Grecia, col centro in Atene. Forse vi si erano rifugiati dalle Marche, durante l'accennata campagna. Niccolò V, il 13 febbraio 1451, nominò inquisitore contro di loro il domenicano fra Simone di Candia. Altre notizie di fraticelli si hanno perfino dalla Persia (sec. XIV), ma erano forse piuttosto michelisti.
Vicino a codesti eretici stavano fraticelli non eretici, o solo sospetti di eresia. A questi appartengono certi fraticelli dell'Umbria della metà del sec. XIV, i quali avevano varî romitorî vicino a Perugia, Assisi e Sansepolcro. Pretendevano essi di osservare la regola di S. Agostino, e di essere stati autorizzati a ciò dai vescovi di Perugia e di Città di Castello. Il loro capo era un certo Francesco Nicolai da Perugia, in segreta relazione coi fraticelli napoletani. Fra Angelo d'Assisi, inquisitore per l'Umbria, fece loro il processo nel 1361. Un istrumento del cardinale-legato Giacomo, con data di Roma 13 febbraio 1417 (pubblicato dal Garampi) dichiara che "i poveri romiti" o "fraticelli" del Monte Soratte non sono eretici. Lo stesso Garampi porta molti altri esempî nei quali il nome fraticello non denota un eretico. Da fraticelli convertitisi o rimasti immuni da false dottrine procedono probabilmente "i poveri eremiti di Angelo Clareno", ortodossi che incontriamo la prima volta nelle Marche (Treia) nel quarto decennio del Quattrocento. Niccolò V autorizzò la loro vita in varie diocesi delle Marche e dell'Umbria, il 4 luglio 1447. Vivevano sotto la giurisdizione dei vescovi locali. Sisto IV li riunì all'ordine francescano.
Non vi era nella setta dei fraticelli unità né di dottrina né di organizzazione, che variavano secondo i gruppi e i tempi. L'elemento più comune era il non riconoscere la gerarchia della chiesa romana. Da principio essi erano prevalentemente scismatici, apostati dell'ordine francescano, che pretendevano di osservare alla lettera la regola di S. Francesco. Nella citata bolla Gloriosam Ecclesiam vengono loro imputati cinque errori: 1. vi sono due chiese, una carnale e ricca che è la chiesa romana, l'altra spirituale e povera che è quella dei fraticelli; 2. i ministri della chiesa carnale hanno perso ogni autorità, la quale risiede nella chiesa spirituale; 3. ogni giuramento è illecito; 4. i sacerdoti in stato di peccato perdono ogni giurisdizione e non possono amministrare i sacramenti; 5. il Vangelo di Cristo ha avuto conpimento soltanto con i fraticelli, mentre fino allora era stato oscurato ed estinto. A questi errori si aggiungono altri capi di falsa dottrina sul sacramento del matrimonio, sulla fine del mondo e l'avvento dell'Anticristo, i quali risentono senza dubbio del gioachinismo professato dagli antichi spirituali, dai quali derivarono i primi fraticelli (v. gioacchino da fiore).
Nei manifesti che i fraticelli lanciarono in pubblico per giustificare la loro posizione scismatica appare come loro dottrina principale che Giovanni XXII con le quattro decretali "ereticali" sulla povertà di Cristo ha rinnegato la fede, è divenuto eretico, ed è quindi decaduto anche dal papato; i suoi successori, non correggendo l'errore, si trovano nella medesima posizione, per cui i fraticelli si ritengono i soli rappresentanti della Chiesa di Dio. Enumerando poi i singoli errori di Giovanni XXII non fanno che copiare gli scritti dei michelisti contro lo stesso papa e i suoi successori, a tal punto che un loro scritto va sotto il nome di Michele di Cesena (Baluzius-Mansi, Miscellanea, III, 341) e sotto quello dell'Occam (Firmamentum, IV, Parigi 1512, p. 142). Chiamavano la loro dottrina "verità" o "opinione", per cui sono denominati anche "fraticelli dell'opinione", termine che designa sempre un fraticello eretico.
Non riconoscendo i fraticelli la gerarchia cattolica, era logico che ne costituissero una loro propria. Difatti in varî processi si tratta dei loro papi, vescovi, sacerdoti, confessori. Alcuni però, secondo le circostanze, frequentavano anche le chiese cattoliche.
Il nucleo interno della setta era costituito dai "frati", che vivevano alla maniera dei frati mendicanti, avevano dei conventi, per lo più in luoghi appartati, i quali erano qualche volta raggruppati in provincie con ministri provinciali e, a capo di tutti, un ministro generale. Vestivano più o meno alla foggia dei francescani, ma con abiti corti e spregevoli, il che dava occasione a Giovanni dalle Celle di osservare che alla perfezione loro non può bastare "la misura del cappuccio di S. Francesco". In caso di pericolo o in viaggi assumevano le vesti comuni. L'apparenza di estrema povertà e di vita rigorosa, nonché le loro denunzie delle ricchezze, guadagnarono loro il favore della plebe, che li aiutava con elemosine. Pretendevano di essere i soli veri frati minori, anzi si chiamarono qualche volta "della regolare osservanza", benché non avessero nulla a che fare con i veri osservanti, sorti in Italia nel 1368 per opera di Paoluccio de' Trinci. Questi osservanti qua e là soppiantarono i fraticelli, come a Perugia (circa 1370), nella provincia romana (1418), nella Maremma toscana (circa 1420). I confessori e predicatori tra i fraticelli facevano lunghi viaggi per visitare i loro fedeli, nelle case dei quali nascostamente celebravano i loro riti. Tra i fedeli non mancarono dei nobili (a Rieti una contessa, a Poli varî membri della famiglia Colonna), che potevano essere un ostacolo all'azione degl'inquisitori.
Nei loro scritti conservatici non v'è alcun accenno a turpitudini o pratiche illecite, delle quali furono accusati.
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