FRATERNA (lat. fraternitas; fr. communauté; ted. gesamte Hand)
Così i Greci, come i Romani, conoscono la consuetudine familiare dei fratelli, che rimangono uniti dopo la morte del padre, costituendo il primo tipo della società, quella che i Romani chiamano societas omnium bonorum. Questo istituto è un naturale portato dell'economia domestica in una società ancora primitiva e si capisce come le circostanze l'abbiano fatta risorgere nel Medioevo, durante l'epoca germanica e più tardi nell'epoca feudale e nella prima età comunale.
Un particolare tipo di fraterna ci offre la società feudale, ma essa non è volontaria; bensì dipende dall'unità legale del feudo, perché i fratelli debbono costituire un consorzio per l'esercizio dei diritti feudali, che spettano alla domus, al casato, ai discendenti dal primo investito, quando non vi sia diritto di primogenitura. Qui però la fraterna è soltanto uno dei casi di questa comunione. Più caratteristici sono gli altri due casi, quello cioè dei rustici e quello dei mercanti. Nel primo, sono le opportunità della coltivazione agricola e dei patti fondiarî che conducono alla frequente formazione di fraternitates. Abbiamo infatti numerosissime carte di livello, enfiteusi, precaria, ecc., nelle quali l'originario concedente dà per tre generazioni, oppure per 29 anni, un podere a un coltivatore e ai suoi discendenti, i quali, come ben si comprende, hanno tutto l'interesse di rimanere uniti. Nel tempo stesso, nelle nostre città si risvegliavano i traffici e si costituivano imprese commerciali o industriali, che offrivano anch'esse ai figli dell'iniziatore l'opportunità di rimanere uniti per godere i vantaggi del nome già conosciuto, delle relazioni con la clientela bene avviata, del credito che alla ditta era accordato. Così a Venezia, ad esempio, si formò l'istituto della "fraterna compagnia" per la quale i fratelli e i loro discendenti mantenevano in comunione i loro beni e interessi. Il nome "compagnia" è caratteristico, dacché deriva dalla communio ad eundem panem et vinum, cioè accenna al convivere domestico; così in Francia, nelle consuetudini del Beauvoisis, si parla di coloro che rimangono uniti "au même pain et pot".
Le conseguenze giuridiche della fraterna furono oggetto di numerosi studî e consulti da parte dei giuristi medievali. I negozî intrapresi da ciascuno dei membri della fraternità si presupponevano geriti per conto di tutti, sicché una responsabilità solidale gravava sugli appartenenti alla comunione fraterna. Qui però si oppongono due correnti giuridiche, che si avvertono ancora nei secoli XIV e XV, l'una dominata dal diritto romano, l'altra facente capo al diritto longobardo. La prima tendeva a restringere questi obblighi solidali, l'altra invece li affermava in modo assoluto. I romanisti ritenevano che, in fatto di debiti, si dovesse presumere sempre che il membro della fraternità che li avesse contratti, l'avesse fatto in nome proprio, salva la prova che avesse agito a nome dei fratelli; così in fatto di acquisti. Invece dalla legge longobarda si desumeva la solidarietà e l'obbligo di conferire gli acquisti nella comunione, eccettuato il caso che i beni provenissero da donazione oppure che il fratello li avesse avuti per servizî resi al re o al duca. Gl'inconvenienti derivanti dal principio della solidarietà nei debiti, resero necessaria, a Venezia, una legge Priuli del 1619, che prescrisse non potere un fratello obbligare gli altri senza il loro espresso consenso.
Anche fuori d'Italia si conoscono consorzî di questo genere: particolare importanza ebbero fino ai nostri tempi le comunioni familiari (zadruga) degli Slavi meridionali.
Bibl.: A. Pertile, Storia del diritto italiano, III, 2ª ed., Torino 1894, p. 282; C. Fumagalli, Il diritto di fraterna, Torino 1912; P. S. Leicht, Ricerche sul diritto privato nei documenti preirneriani, I, Roma 1914, p. 78 segg.