Marx, Fratelli
Attori cinematografici e teatrali statunitensi: Chico (propr. Leonard), nato a New York il 22 marzo 1887 e morto a Hollywood l'11 ottobre 1961; Harpo (propr. Adolph, poi Arthur, così modificato dopo l'avvento di A. Hitler al potere), nato a New York il 23 novembre 1888 e morto a Los Angeles il 28 settembre 1964; Groucho (propr. Julius Henry), nato a New York il 2 ottobre 1890 e morto a Los Angeles il 19 agosto 1977. Veri e propri emblemi dell'assurdo e della gioiosa distruzione del senso, della logica, della probabilità e di ogni ordine (narrativo o sociale) codificato dalla tradizione esistente, i tre geniali fratelli furono protagonisti di tredici film, magari sgangherati e ripetivi, ma pur sempre ricchi di battute fulminanti e di sequenze follemente anarchiche e irresistibili. Realizzati a partire dall'avvento del sonoro (il primo fu The cocoanuts, 1929, Noci di cocco, di Robert Florey e Joseph Santley; l'ultimo Love happy, 1949, Una notte sui tetti, di David Miller) i loro film furono diretti da diversi registi, ma soprattutto contò la presenza e la funzione dell'inimitabile trio che ‒ proveniente dal vaudeville e dal varietà minore ‒ si affidò sempre molto alla parola, ma con ricorrenti effetti di comicità in stile slapstick. Harpo, il più surreale dei tre, fece invece programmaticamente a meno proprio della parola, sostituendola con gesti, cose e oggetti sempre imprevedibili. Va ricordato che ai tre nei primi cinque film si affiancò un altro fratello, Zeppo (propr. Herbert), nato a New York il 25 febbraio 1901 e morto a Palm Springs (California) il 30 novembre 1979, mentre un quinto, Gummo (propr. Milton), nato a New York il 23 ottobre 1892 e morto a Palm Springs (California) il 21 aprile 1977, non apparve mai sullo schermo, limitando il suo ruolo a quello di agente di Groucho. I M. hanno rappresentato la follia nell'America saggia e laboriosa degli anni Trenta, l'anarchia nell'epoca in cui in Europa fiorivano regimi fascisti, l'eccesso più sbrigliato durante la Depressione economica; hanno deriso l'intellettualismo e sono stati adorati dagli intellettuali; sono rimasti orgogliosamente legati al vecchio teatro comico e al vaudeville ma a essi sono sopravvissuti, tant'è vero che film come Animal crackers (1930) di Victor Heerman e Duck soup (1933; La guerra lampo dei fratelli Marx) di Leo McCarey hanno avuto molto più successo nelle riprese degli anni Sessanta di quanto ne avessero ottenuto nelle prime visioni. La stessa rilevanza, nella loro comicità, della tradizione ebraica (spesso trascurata da critici ed esegeti italiani, anche perché destinata ad attenuarsi, se non a sparire, nel doppiaggio) risulta invece fondamentale, sottolineata da studiosi come M. Rogin o da C. Pajaczkowska e B. Curtis, che vedono illustrati proprio nei diversi atteggiamenti dei tre fratelli i tre stadi di assimilazione dell'immigrato rispetto alla cultura del Paese ospite. Nel 1974 Groucho ricevette un Oscar alla carriera, idealmente esteso a tutta l'attività dei suoi fratelli.
Figli di Simon Marrix, un sarto ebreo alsaziano emigrato negli Stati Uniti nel 1881 ‒ dieci anni dopo che l'Alsazia era divenuta territorio tedesco ‒ che nel Lower East Side di New York, abbreviatosi il nome in Marx, arrotondava i modesti proventi del suo laboratorio di confezioni dando lezioni di ballo, i M. furono avviati alla carriera artistica dalla madre, l'indomita Minnie (già Minna) Schoenberg, ebrea tedesca che ben presto decise di sottrarre i figli al poco redditizio commercio paterno spingendoli a imitare l'esempio di suo fratello Adolph, il quale cantava canzoni irlandesi e raccontava storielle in un teatrino di Manhattan, facendosi chiamare Al Shean. Sulle prime esperienze dei M. adolescenti nel mondo dello spettacolo si hanno poche notizie. Nel 1910, forse per fuggire l'eccessiva concorrenza di Broadway, la famiglia si trasferì a Chicago e, a questo punto, nacquero finalmente i Marx Brothers, per analogia con altre celebri famiglie di attori, cantanti e clown.
Per le tournée dei Marx Brothers & Co. (questo il nome della compagnia), Julius scrisse un canovaccio farsesco, Fun in hi skool ('Risate alla scuola media') con le due ultime parole volutamente storpiate, in cui venivano parodiati anche popolari pezzi d'opera, in particolare tratti dalla Carmen di G. Bizet, e lo interpretò indossando la parrucca di un vecchio professore: suoi allievi erano Milton, nella parte di un bambino ebreo che parla solo lo yiddish, e Adolph, nel ruolo di un irlandese completamente idiota. Quando Leonard si unì al gruppo, adottò la scorretta pronuncia pseudoitaliana che avrebbe poi usato nel cinema. Fu durante le repliche di un altro spettacolo (Mr. Green's reception, poi radicalmente trasformato a cominciare dal titolo, Home again) che Adolph, aspramente criticato su un giornale di provincia per la sua voce sgradevole, prese la decisione di non parlare mai più sulla scena, e la mantenne poi sul grande schermo. Sempre in quegli anni, durante una delle loro tante tournée, i M. strinsero amicizia con un attore, Al Fisher, che attribuì loro i soprannomi destinati a fama imperitura. Nel 1922 arrivò finalmente una scrittura dell'agenzia teatrale più famosa, la William Morris, che li lanciò, e non soltanto in provincia, in un nuovo lavoro, On the balcony.
La scalata al successo non fu priva di cadute: gli spettacoli portati in una tournée in Inghilterra, forse anche per difficoltà di comunicazione linguistica, non piacquero né al pubblico né alla critica; un primo tentativo di fare cinema si risolse in un fallimento. Humorisk, realizzato probabilmente nel 1926, e che a quanto sembra del cinema muto voleva essere una parodia, non fu mai distribuito e forse nemmeno montato. In compenso, grandissimo fu il successo di una nuova rivista, I'll say she is!, uno spettacolo per il quale i M. furono ospitati e contesi dai più noti e lussuosi teatri di Broadway. Ma soprattutto i M. furono scoperti e adorati da scrittori, giornalisti, intellettuali, come S.J. Perelman e il commediografo George S. Kaufman, che avrebbero scritto copioni e testi cinematografici per loro, introducendo Harpo e Groucho nei circoli più esclusivi, come l'Algonquin. Primo frutto della collaborazione fra Kaufman (in coppia con Morrie Ryskind) e i M. fu la commedia The cocoa-nuts, un 'musical senza musica' ispirato al boom della speculazione edilizia in Florida, dove Groucho è lo stravagante manager di un albergo in condizioni disastrose.Il successo di questo primo film, prodotto da Benjamin Schulberg per la Paramount ma girato ad Astoria, a poche miglia da New York (come i successivi fino a Duck soup), spinse i dirigenti della casa di produzione a preparare il successivo Animal crackers in modo più rigoroso, commissionando a Ryskind una sceneggiatura un po' meno goliardica, rinforzando il cast con un'attrice e cantante famosa, Lillian Roth, nel ruolo della figlia dell'onnipresente e insostituibile Margaret Dumont. Affidando il tutto a un regista inglese, Victor Heerman, capace, almeno in teoria, di esercitare un certo controllo con sufficiente autorità. Il risultato confermò le migliori aspettative anche in Europa: i critici inglesi paragonarono l'umorismo nonsensical dei M. a quello di L. Carroll; J.B. Priestley parlò di Rabelais; Antonin Artaud dichiarò di trovarli superiori a Chaplin e a Keaton, o almeno più 'nuovi' e attuali. A partire dal terzo film, i M. dovettero trasferirsi a Hollywood, cosa che all'inizio dispiacque molto a Groucho e Harpo, i quali a New York facevano parte di circoli intellettuali ed erano politicamente impegnati fra i liberal democrats.
Sullo schermo i M. mantennero le caratteristiche fondamentali delle rispettive maschere sperimentate con successo in teatro: Chico si chiamerà di volta in volta Ravelli, Baravelli, Chicolini e via dicendo, sostenendo il ruolo dell'oriundo italiano avido, pasticcione e inaffidabile; Groucho si presenterà come esploratore famoso (Animal crackers), improbabile rettore di un'altrettanto improbabile università (Horse feathers, 1932, di Norman Z. McLeod), o addirittura, in Duck soup, capo del governo della città-stato di Freedonia. Nei film la sua autorità nasce esclusivamente da una notevole faccia tosta. Mentre Harpo, sempre chiuso nel suo silenzio, di tanto in tanto ha mistici incontri con la sua arpa da cui sa trarre suoni angelici. E nei momenti più inattesi riesce a estrarre dalle profonde e misteriose tasche della sua palandrana oggetti assurdi e sorprendenti, capaci di risolvere le situazioni più ingarbugliate. Accanto a loro, vittima consenziente anche se spesso dolorosamente colpita nel suo aristocratico riserbo, l'eroica Margaret Dumont, via via signora dell'alta società, vedova di un Primo ministro o patronessa delle arti. Ma soprattutto i M. irrompono sullo schermo come ospiti non invitati e socialmente inaccettabili, se non addirittura perenni clandestini, secondo la definizione di G. Celati (1976). In uno dei loro film più famosi, A night at the Opera (1935; Una notte all'Opera) di Sam Wood, Chico (Tomasso) e Harpo (Fiorello) salgono a bordo di un transatlantico in partenza per gli Stati Uniti nascosti dentro un baule, insieme al loro amico Ricardo; Groucho viaggia lussuosamente in cabina, grazie alla generosità di Mrs Claypool (ovviamente la povera Dumont); e, del resto, la porta della sua cabina, troppo affollata, finisce per crollare, al termine di un'emblematica sequenza che conferma la precarietà di ogni temporaneo rifugio. Nel precedente Monkey business (1931) di McLeod, i quattro fratelli (c'è anche Zeppo) erano stati veri e propri clandestini a bordo di un transatlantico di lusso e all'inizio apparivano, o meglio non apparivano in maniera beckettiana, all'interno di altrettanti barili contrassegnati da un'etichetta che la diceva lunga sulla loro origine etnico-religiosa: kippered herrings, aringhe marinate.
Insolenti e tutt'altro che disposti a nascondersi o a restare inosservati, precorrendo di vari decenni quella chutzpah ‒ o ebraica faccia tosta ‒ che nel cinema statunitense si avvertirà solo dopo gli anni Sessanta, all'epoca di Mel Brooks e di Barbra Streisand, i clandestini, tre o quattro che siano, riescono a passare al di là di qualsiasi frontiera, per quanto severamente sorvegliata: si travestono da barbieri, da eroi dell'aviazione sovietica, da quattro 'Maurice Chevalier', da marionette, ma a ben vedere sono sempre e soltanto loro stessi, armati unicamente della loro sfacciataggine. In Duck soup, loro capolavoro e uno dei film più folli e più surreali della storia del cinema, sono tutti coinvolti, chi da una parte chi dall'altra, nel conflitto che oppone la città di Freedonia alla città di Sylvania: Groucho diviene addirittura il leader di Freedonia, ma Chico e Harpo non esitano a tradire i superiori e a passare quando ne hanno voglia da un fronte a un altro, con la stessa facilità con cui ‒ nella famosa scena della specchiera infranta che i M. riprendono da Max Linder e da innumerevoli comiche mute ‒ lo stesso Harpo, travestito da Groucho, deve imitarne i gesti e gli atteggiamenti per fargli credere di essere la sua immagine, passando alla fine dall'altra parte dello specchio, mentre il fratello prende il suo posto. Il gioco si interrompe solo quando arriva Chico, anche lui travestito, che minaccia di creare un terzo polo impossibile nel rapporto già pericolante fra l'originale e la copia. Del resto, già nel loro primo film, The cocoanuts, che si svolgeva in un elegante hotel per villeggianti della Florida, Groucho, che ne era il direttore e sedeva impettito al bureau, non esitava ad allearsi con quei terribili clienti dall'altra parte del banco (Harpo e Chico) per distruggere mobili e soprammobili dell'albergo.
Al tempo stesso, il rapporto dei M. con lo spazio è costantemente ridefinito dalla parola, più che dalle scenografie intercambiabili o dai labili confini dell'immagine, perennemente al servizio delle loro apparenti improvvisazioni: è appunto la parola a dettare le uniche regole possibili ‒ del resto precarie e poco affidabili ‒ in un mondo assurdo. Sempre distorta, manipolata, palleggiata o buttata via, con l'assoluta arbitrarietà che fino allora era stata teorizzata solo dallo Humpty Dumpty di Alice's adventures in wonderland (1865) di L. Carroll e dai surrealisti, la parola si presenta comunque in una gamma variegata e complementare: al flusso magmatico e trascinante di Groucho corrispondono il cattivo inglese italianizzato di Chico, il mistico silenzio di Harpo e soprattutto una deliberata, costante, assoluta volontà trasgressiva. L'importanza fondamentale della parola nel mondo dei M. ‒ anche nel caso di Harpo, che via via la traduce in un dizionario tattile fatto di cose ‒ ha fatto sì che venissero da più parti espressi dubbi sul valore del loro cinema in quanto tale.La loro attività cinematografica, in ogni caso, ebbe i suoi alti e bassi: dopo i primi cinque film, sgangherati e spontanei, il 1935 vide il loro passaggio alla Metro Goldwyn Mayer, sotto l'egida di Irving G. Thalberg, che ottenne da Kaufman e Ryskind una sceneggiatura ben calibrata, tra numeri musicali allestiti con eleganza (le scenografie sono di Cedric Gibbons), e gag comiche che i M. provavano dal vivo di fronte a un vero pubblico fino a quando non raggiungevano la perfezione. I risultati, in questo primo esperimento della MGM ‒ A night at the Opera ‒ furono di prim'ordine: un'apertura folgorante, in cui la povera Dumont viene letteralmente distrutta, e sequenze memorabili come quella, già citata, della cabina occupata da decine di persone, oppure quella conclusiva della messa in scena del Trovatore rivoluzionata dagli interventi dissacranti dei M., vero e proprio assalto alla cittadella dell''alta cultura' con le armi della rivolta e del gioco.Purtroppo, forse anche a causa dell'improvvisa scomparsa di Thalberg, le opere successive dei M. alla MGM (A day at the races, 1937, Un giorno alle corse, di Wood; At the circus, 1939, Tre pazzi a zonzo, di Edward Buzzell; Go West, 1940, I cowboys del deserto, ancora di Buzzell; The big store, 1941, Il bazar delle follie, di Charles Riesner) si rivelarono in parte ripetitive e non aliene da momenti di stanchezza, soprattutto nel primo e nell'ultimo caso. Ancor meno felice, anche se realizzato nell'ambiente più familiare del teatro minore, risultò Room service (1938) di William A. Seiter, frutto di un occasionale prestito dei M. alla RKO. Delusi da questi risultati e assenti dal cinema per tutto il periodo della Seconda guerra mondiale, i M. riapparvero nel 1946, ormai cinquantenni, con A night in Casablanca (Una notte a Casablanca) di Archie L. Mayo, una parodia, alquanto ovvia, del film del 1942 di Michael Curtiz e con il modesto, ma simpatico, Love happy, dove Harpo ebbe per la prima volta un vero e proprio ruolo di protagonista.
Fonti biografiche e autobiografiche:
The Groucho letters, ed. A. Sheekman, New York 1967.
R.J. Anobile, G. Marx, The Marx bros. scrapbook, New York 1973.
G. Marx, Groucho and me, New York 1973².
H. Marx, R. Barber, Harpo speaks!, New York 1985².
S. Kanfer, Groucho: the life and times of Julius Henry Marx, New York 2000.
Fonti critiche:
A. Eyles, The Marx brothers. Their world of comedy, London 1966.
P.D. Zimmerman, B. Goldblatt, The Marx brothers at the movies, New York 1968.
S. Bernardi, Il gioco e la ricerca nelle gags dei Marx Brothers, in "Cinema nuovo", 1975, 235-36.
G. Celati, Il corpo comico nello spazio, F. La Polla, I baffi di Groucho, M. Perniola, Il Witz come elisione del conflitto, in "Il Verri", 1976, 3, pp. 23 e segg., 34 e segg., 83 e segg.
A. Martini, I Marx, Firenze 1980.
F. La Polla, Il riso, la morte, e i diavoli: ancora su Woody Allen e i fratelli Marx, in Il recupero del testo: aspetti della letteratura ebraico-americana, a cura di G. Fink, G. Morisco, Bologna 1988.
C. Pajaczkowska, B. Curtis, Assimilation, entertainment, and the Hollywood solution, in The Jew in the text: modernity and the construction of identity, ed. L. Nochlin, T. Garb, London 1995, p. 242.
M. Rogin, Blackface, white noise: Jewish immigrants in the Hollywood melting pot, Berkeley 1996, pp. 156, 299.
G. Fink, Non solo Woody Allen, Venezia 2001, pp. 129-38.
Vedi inoltre:
G. Cremonini, Il comico e l'altro, Bologna 1978.
G. Celati, La farsa dei tre clandestini, Bologna 1987.
Flywheel, shyster and flywheel: the Marx brothers' lost radio show, ed. M. Barson, New York 1988 (trad. it. I fratelli Marx: legali da legare, a cura di P.F. Paolini, Milano 1989).