scisse, frasi
Le frasi scisse (o semplicemente scisse; ingl. cleft sentence: Jespersen 1937; fr. phrase cliveé) sono costrutti sintattici composti da due unità frasali, una principale e una subordinata, aventi la funzione di focalizzare un costituente (il cosiddetto elemento scisso) attraverso un’operazione particolare di messa in rilievo (➔ focalizzazioni). Un esempio di frase scissa è:
(1) è lui che mi ha portato il libro
Semanticamente, una frase scissa corrisponde a una frase semplice (o canonica) di cui ha le stesse condizioni di verità (Lambrecht 2001): nell’esempio precedente, lui mi ha portato il libro. A livello informativo, la frase principale contiene il cosiddetto focus (cfr. § 3), la subordinata esprime il contenuto proposizionale ‘presupposto’.
A livello sintattico, una scissa è costituita, come si è detto, da due frasi (nell’es. 2, ciascuna tra parentesi quadre). La principale contiene il verbo essere senza soggetto, seguito dall’elemento scisso (sottolineato nell’es. 2); la secondaria è introdotta da che:
(2) [è Mario] [che vuole partire]
Gran parte della grammatica moderna ha interpretato la frase scissa come un costrutto con ordine ‘marcato’ degli elementi (➔ ordine degli elementi; Benincà, Salvi & Frison 1988), derivabile dalla corrispondente frase canonica attraverso un movimento analogo a quello che si usa nelle ➔ dislocazioni: il costituente scisso sarebbe quindi ‘estratto’ dalla frase non marcata e portato in primo piano nella frase principale, in posizione di argomento del verbo essere.
Se l’elemento scisso è coreferente col soggetto della frase di base, la subordinata contenuta nella scissa può essere anche costituita da a + infinito (frase scissa implicita):
(3) è Mario a voler partire.
L’elemento scisso può essere costituito da una varietà di elementi della frase canonica: un ➔ oggetto diretto (4), un complemento circostanziale (5), un avverbio (6), una subordinata argomentale (7) o avverbiale (8):
(4) è Mario che ho visto [= ho visto Mario]
(5) è con Mario che sono partito [= sono partito con Mario]
(6) è domani che ci devi andare [= ci devi andare domani]
(7) è aspettare tanto che non sopporto [= non sopporto aspettare tanto]
(8) è per vedere Mario che voglio andare a Roma [= voglio andare a Roma per vedere Mario]
Per converso, non possono essere elemento scisso una varietà di elementi, come i nomi supporto (➔ nomi) o i ➔ verbi supporto:
(9) *è di telefono il colpo che ha ricevuto
(10) *è d’occhio il colpo che ho dato
Un caso particolare è costituito dalle frasi scisse cosiddette temporali (o spurie), in cui nella posizione di elemento scisso si trova un sintagma nominale indicante durata:
(11) è un anno che non lo vedo
La peculiarità di questo costrutto sta nel fatto che il costituente temporale, espresso nella frase canonica da un ➔ sintagma preposizionale (non lo vedo da un anno), può perdere la preposizione passando in posizione di elemento scisso (cfr. la corrispondente scissa prototipica: è da un anno che non lo vedo).
Sono considerate scisse anche frasi interrogative del tipo:
(12) chi è che manca? [= chi manca?]
(13) da chi è che sei stato? [= da chi sei stato?]
Tali frasi sono normali (non marcate) in una varietà di dialetti e varietà regionali del sud d’Italia: napol. dov’è che vai? «dove vai?» (va notato del pari che questa struttura è l’interrogativa non marcata in portoghese).
Lo statuto della clausola subordinata all’interno di una scissa è controverso. La tradizione anglosassone la interpreta come frase relativa (➔ relative, frasi) dipendente dall’elemento scisso; tuttavia, tale interpretazione sussiste solo nei casi in cui l’elemento scisso corrisponde al soggetto o al complemento oggetto. Altrimenti, i casi in cui è dislocato un elemento avverbiale (6) o un’intera frase subordinata (8) mostrano che non è sempre possibile rintracciare un antecedente nominale per la clausola subordinata; questa non può pertanto essere considerata propriamente relativa (Quirk et al. 1985). Parallelamente, la natura del che non può essere univocamente definita: lo si può considera-re un pronome relativo nei primi casi o un complementatore (➔ completive, frasi) negli altri. In forza di ciò, la parte subordinata di una scissa è stata descritta come una «pseudorelativa» retta dall’elemento scisso (Cinque 1988).
Va tuttavia notato che l’antecedente di una frase pseudorelativa prototipica (per es., ho visto Maria che partiva; ho sentito lui che suonava; ➔ percezione, verbi di) deve obbligatoriamente essere soggetto della frase stessa; ciò è in contraddizione con la funzione svolta dal costituente scisso in tutta la serie di frasi (4-8).
Secondo l’interpretazione più diffusa, la configurazione sintattica del costrutto scisso realizza una specifica strategia di focalizzazione (➔ focalizzazioni). Il focus di una frase è l’elemento che il parlante ritiene essenziale per l’interlocutore, e su cui perciò concentra il massimo della prominenza informativa (Halliday 1967). In una frase non marcata, l’elemento focalizzato tende a occupare la posizione finale. Nella sua formulazione originaria, la nozione di focus prevede che l’informazione in esso contenuta sia da considerarsi ‘nuova’ (➔ dato/nuovo, struttura), nel senso che il parlante la presenta all’interlocutore come conoscenza non condivisa, né deducibile dalle conoscenze condivise: tale informazione è il prodotto stesso dell’atto di enunciazione, così come viene concepito da chi lo esegue. L’opposizione tra informazione nuova e informazione non nuova in un enunciato è stata ripresa e rielaborata nei termini di informazione asserita e presupposta, e utilizzata per descrivere la struttura informativa delle scisse (Jackendoff 1972; Lambrecht 2001).
Secondo tale interpretazione, l’articolazione sintattica di una frase scissa evidenzia esplicitamente le polarità della sua struttura informativa: la frase principale veicola un’asserzione che contiene il focus informativo, la subordinata esprime il resto del contenuto proposizionale dato per presupposto dal parlante:
(14) [è Mario]asserito [che vuole partire]presupposto
Dal punto di vista della distribuzione, il focus informativo di una frase scissa precede obbligatoriamente il contenuto presupposto, realizzando così una struttura informativa ‘inversa’ rispetto a quella standard.
Un altro aspetto da considerare è quello della cosiddetta portata del focus (➔ negazione). Esso può riguardare porzioni diverse dell’enunciato (Lambrecht 1994); attraverso un semplice test con domande più o meno generiche, è possibile distinguere i casi di focus esteso a tutto l’enunciato (15) da quelli di focus ristretto a un solo costituente (16 e 17; il focus è sottolineato):
(15) – Cosa succede? – [Mario vuole partire]focus esteso
(16) – Cosa vuole fare Mario? – Mario [vuole partire]focus ristretto
(17) – Chi vuole partire? – [Mario]focus ristretto vuole partire
La strategia informativa attuata da una frase scissa porta necessariamente all’attivazione di un focus ristretto (18) e non è compatibile con contesti d’uso in cui sia richiesto un focus esteso a tutto l’enunciato (19):
(18) – Chi vuole partire? – È Mario che vuole partire
(19) – Cosa succede? – *È Mario che vuole partire
In sintesi, una scissa è una struttura sintatticamente marcata che segnala un focus informativamente marcato in funzione per lo più contrastiva, ovvero in opposizione rispetto a un altro riferimento già presente nel discorso:
(20) – Ho saputo che Luca vuole partire – È Mario che vuole partire
Tuttavia, nell’uso le frasi scisse trovano diversi impieghi che non sempre si inseriscono propriamente nella strategia di focalizzazione descritta. In molti casi, la scissa non attiva una chiara contrapposizione tra il focus e il presupposto.
Nelle scisse temporali, ad es., accade spesso che il contenuto della subordinata non abbia le caratteristiche di una presupposizione, e che l’informazione veicolata sia interamente asserita e ‘nuova’:
(21) – Come sta Antonio? – È un anno che non lo vedo
Un ulteriore indebolimento della dinamica di focalizzazione si riscontra in usi tipici della lingua scritta, come cronache e narrazioni, in cui l’elemento focalizzato della scissa è un costituente anaforico (perciò necessariamente non ‘nuovo’) che riprende un riferimento già individuato nel testo precedente:
(22) La vita è anche così. È infantile pretendere di attraversarla protetti in ogni momento da certezze immutabili. È anche per questo che finito un film non lo voglio più rivedere (Fellini 2006)
Anche in questi casi l’informazione contenuta nella subordinata non può essere considerata presupposta, ma introduce elementi nuovi. Le scisse sono in questi casi usate come ‘snodi’ testuali (collocati spesso all’inizio di un paragrafo o di un capoverso) e svolgono la funzione di esplicitare una relazione stringente tra due blocchi di testo contigui, aumentando così la coesione testuale interna (Berretta 2002; Roggia 2009).
L’impiego di frasi scisse si estende anche a espressioni formulari (per es.: è con grande piacere che accolgo la vostra proposta), in cui la funzione di focalizzazione di questa struttura va totalmente perduta.
Negli usi del parlato, in cui le strategie di focalizzazione sono prevalentemente basate sulla prominenza intonativa di un elemento rispetto dell’enunciato al resto (➔ curva melodica), la frase scissa comporta normalmente che il focus prosodico coincida con l’elemento scisso:
(23) è Mario che vuole partire
Tale marcatura intonativa del focus permette di distinguere i valori di una stessa sequenza di parole sintatticamente ambigua. Per es., la frase:
(24) è un notaio che ho conosciuto ieri
può essere interpretata o come una frase scissa con focus contrastivo (25) o come una normale frase copulativa in cui il complemento del verbo essere regge una relativa restrittiva (26):
(25) – Chi è l’avvocato che hai conosciuto ieri? – È un notaio che ho conosciuto ieri
(26) – Chi è quel signore? – È un notaio che ho conosciuto ieri
Nel parlato accade anche che la frase scissa sia realizzata in due distinte unità prosodiche (Panunzi 2009): la principale è realizzata in un’unità tonale potenzialmente autonoma e interpretabile in isolamento (nucleo), mentre la subordinata è prodotta in un’unità tonale successiva e non autonoma, caratterizzata da un profilo intonativo piatto-discendente (appendice):
(27) [ed è quel codice]nucleo [che ci legittima come appartenenti all’umanità]appendice (C-ORAL-ROM 2005)
Nell’es. (27) la struttura sintattica della frase scissa e la struttura intonativa dell’enunciato convergono. Lo stesso effetto, tuttavia, può essere ottenuto, mantenendo inalterato il complessivo valore informativo, senza mutare la struttura sintattica della frase canonica; in tal caso, la funzione di focalizzazione viene svolta esclusivamente dalla prosodia:
(28) [Quel codice]nucleo [ci legittima come appartenenti all’umanità]appendice
Una frase scissa può essere anche prodotta in un’unica unità tonale; in questo caso, il valore della focalizzazione risulta ridotto:
(29) [praticamente era due anni che non si vedeva con Guido]nucleo (C-ORAL-ROM 2005).
Sulla base di corrispondenze strutturali e informative, sono stati associati alle frasi scisse costrutti di tipo diverso, genericamente considerati di focalizzazione.
In particolare, le frasi cosiddette pseudoscisse (ingl. pseudocleft o wh-cleft) condividono con le scisse prototipiche la struttura bi-clausale (➔ predicato, tipi di), la corrispondenza semantica con una frase canonica e la presenza del verbo essere nella principale:
(30) quello che ha rotto il vaso è Paolo [= Paolo, non altri, ha rotto il vaso]
Dal punto di vista sintattico, però, i due tipi di frase presentano numerose divergenze. Strutturalmente, le pseudoscisse sono normali frasi copulative di tipo specificativo (➔ copula; cfr. Higgins 1979) e non hanno le caratteristiche sintattiche marcate delle frasi scisse.
Entro una pseudoscissa, la posizione di complemento di essere può ospitare un sintagma nominale (30) o una frase argomentale (31), mentre non sono possibili complementi circostanziali (preposizionali, avverbiali o di frase):
(31) quello che mi dà più fastidio è che non ti guarda mai negli occhi
La posizione di soggetto del verbo essere è sempre occupata da un costituente nominale da cui dipende una frase relativa restrittiva; tale costituente nominale ha un riferimento non individuato, e può essere espresso da un dimostrativo (30), da un pronome relativo indipendente (32), o da un nome generico (33):
(32) chi ha rotto il vaso è Paolo
(33) la persona che ha rotto il vaso è Paolo
Al livello delle proprietà informative, le pseudoscisse sono state spesso considerate varianti formali delle scisse (cfr. Berretta 2002; D’Achille, Proietti & Viviani 2005). Al contrario di quanto accade nelle scisse, però, l’elemento focalizzato occupa qui la normale posizione finale. Alla struttura sintattica non marcata (Sornicola 1991; Panunzi 2009) corrisponde quindi una struttura informativa con progressione standard presupposto + focus.
Un altro tipo di frase spesso accomunato alle scisse è costituito dalle cosiddette scisse della polarità (dette anche costruzioni inferenziali; cfr. Berretta 2002; D’Achille, Proietti & Viviani 2005), del tipo (non) è che + frase, diffuse soprattutto nel parlato:
(34) è che bisogna farla la calce [= bisogna fare la calce] (C-ORAL-ROM 2005)
(35) non è che la gente cammina lì [= la gente non cammina lì] (C-ORAL-ROM 2005)
Tali costrutti vanno tuttavia tenuti distinti dalle frasi scisse, per ragioni sia strutturali che informative. In essi non ha luogo infatti il fenomeno della scissione sintattica: il contenuto della frase subordinata corrisponde in pratica a quello della frase canonica. Di conseguenza, il focus informativo è esteso a tutto l’enunciato.
La presenza delle frasi scisse in italiano è stata considerata a lungo un influsso francese diffusosi a partire dal Settecento. Per tale motivo, il loro uso fu spesso osteggiato dai grammatici di stampo purista, tra cui Antonio Cesari e Filippo Ugolini (➔ purismo). Sul finire del XIX secolo, però, alcuni (come Raffaello Fornaciari e Giovanni Moise) mostrano maggiore tolleranza circa la possibilità di usare i costrutti scissi in cui l’elemento focalizzato è il soggetto, pur continuando a respingere la focalizzazione di costituenti diversi, giudicata francesizzante (D’Achille, Proietti & Viviani 2005).
In effetti, frasi scisse con messa in evidenza del soggetto sono rintracciabili lungo tutto il corso della lingua italiana, al punto che le prime attestazioni risalgono alla ➔ Scuola poetica siciliana:
(36) Vostro amor’è che mi tene in disi[r]o
e donami speranza con gran gioi
(Pier della Vigna, Rime, “Amore, in cui disio ed ò speranza”, 17-18)
Da (36) è anche possibile notare che in ➔ italiano antico l’ordine dei costituenti era meno rigido rispetto a quello attuale: l’elemento scisso (amore) precede il verbo della principale. Quest’ultima variante risulta essere quella preferita nelle attestazioni del costrutto riscontrate nei testi medievali (cfr. es. 37).
Sebbene la maggior parte delle attestazioni antiche riguardi costrutti con scissione del soggetto, si segnalano anche casi autorevoli di scisse temporali (in ➔ Dante, ➔ Francesco Petrarca, ➔ Ludovico Ariosto, Jacopo Passavanti):
(37) Nello bello salutar tra noi si tacque
poi dimandò: «Quant’è che tu venisti
a piè del monte per le lontane acque?
(Dante, Purg. VIII, 55-57)
(38) E cominciò: «Gran tempo è ch’io pensava
vederti qui fra noi, ché da’ primi anni
tal presagio di te tua vita dava
(Francesco Petrarca, Triumphus Cupidinis I, 52-54)
Meno chiare sono le attestazioni antiche di frasi scisse con focalizzazione di complementi indiretti non temporali (cfr. Sornicola 1991; Roggia 2006); i casi riportati in letteratura, comunque sporadici, ammettono interpretazioni contrastanti. Rispetto alla diffusione di questi costrutti nelle fasi successive dell’italiano, quindi, l’influsso del francese settecentesco sembra aver giocato un ruolo importante.
Sicuramente più tarda è l’introduzione della variante implicita (con l’infinito) della frase scissa, le cui prime attestazioni compaiono nelle commedie di ➔ Carlo Goldoni:
(39) Le ho vedute; ma poi non sono stato io a esaminarle (Goldoni, L’impostore II, 4, 14)
Tale costrutto, assente in francese, costituisce un tratto specifico dell’italiano, e la sua origine è da considerare autonoma.
La presenza di frasi scisse in italiano è quindi ben documentata fin dalle origini; tuttavia, l’emarginazione di tali costrutti dal registro più elevato perdura fino a tempi recenti. Nella descrizione dei tratti dell’italiano cosiddetto dell’uso medio (o neostandard: cfr. Sabatini 1985; Berruto 1987), l’impiego di frasi scisse è spesso segnalato come tipico dell’oralità, e la sua diffusione nella lingua scritta è spiegata come effetto della diffusione della pratica scrittoria in strati sempre più larghi della popolazione, col conseguente affermarsi di uno stile di scrittura più vicino all’uso parlato e informale. Tuttavia, i dati recentemente acquisiti attraverso lo studio di corpora mostrano che le frasi scisse hanno un’incidenza quantitativa piuttosto bassa nel parlato spontaneo, e sono addirittura più frequenti nelle varietà diafasiche formali e monologiche rispetto a quelle informali e dialogiche (Roggia 2009).
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