FRANZI, Giovanni Pietro, detto Gino
Nacque a Torino il 25 luglio 1884 da Pietro e da Catterina Alberto. Figlio di operai, iniziò la carriera artistica come attore in compagnie dialettali piemontesi, passando in seguito a recitare in compagnie di prosa tra cui quella di R. Solari (1905), Italia Vitaliani, A. Betrone, L. Picasso ed E. Della Guardia - E. Paladini. Poiché possedeva una bella voce baritonale dagli accenti caldi e drammatici, iniziò lo studio del canto a Torino con De Sabata, zio del famoso direttore d'orchestra Victor De Sabata, il quale lo convinse a tentare la strada del cantante di teatro leggero. Formò allora un duo con la cantante d'operetta Amalia Durelli e con lei debuttò al teatro Bosio di Torino nel 1912. Il loro repertorio comprendeva brani di operette e fantasie di canzoni, che i due artisti interpretavano facendo un vero e proprio spettacolo: si trasformavano di volta in volta nel personaggio del brano cantato, indossando un costume sopra l'abito da sera.
Poco prima della guerra 1915-18 il F. abbandonò questa attività e decise di presentarsi in pubblico come solista. Debuttò al caffè-concerto Emilia di Torino a porta Palazzo, cantando canzoni napoletane, ma ben presto cambiò genere e si rivolse alle canzoni francesi tradotte in lingua italiana (tra cui Voici la lune e Sousles ponts de Paris di V. Scotto), alla maniera degli chansonniers parigini. Fu così tra i primi a imporre in Italia uno stile interpretativo senza influenze dialettali, grazie anche alla perfetta dizione, e a distinguersi dagli altri cantanti, che si dedicavano solamente al repertorio dialettale napoletano allora in voga. Dopo essersi esibito in vari locali italiani di secondo ordine, ottenne la prima grande affermazione al Gambrinus di Trieste nel 1915 con la canzone Fili d'oro di F. Buongiovanni e G. Capurro, considerata una delle prime canzoni in lingua italiana. In quegli anni il F. si recò in tournée anche all'estero: fu più volte in Sudamerica, al Casino di Buenos Aires con la compagnia Séguin, e per circa due mesi a Londra al New Oxford theatre e all'Olympia di Parigi nel 1919. Cantò inoltre nei migliori teatri italiani: fu all'Apollo di Milano e sulle scene dei più noti teatri di varietà di Roma come la sala Umberto e il salone Margherita.
Le sue canzoni riflettevano l'espressione di un'epoca difficile e piena di contraddizioni; erano canzoni nostalgiche, sentimentali, drammatiche, appassionate e il F. aveva raffinato l'arte di porgerle al pubblico più che cantarle, diventando il più celebre fine dicitore degli anni Venti, imitato da molti altri cantanti, che contribuirono a rendere popolare questo stile. La canzone che più delle altre lo rese celebre fu Scettico blues di T. De Filippis - D. Rulli (1920), in seguito italianizzata dalla censura fascista in Scettico blu, con la quale creò un vero e proprio personaggio; divenne così simbolo dell'eleganza raffinata e dello scetticismo, che piaceva molto al pubblico frequentatore dei tabarins, rappresentato dal ceto medio desideroso di divertirsi a tutti i costi e di nutrirsi, attraverso lo spettacolo, di sogni e illusioni per distinguersi culturalmente e socialmente dalla massa operaia e contadina italiana dell'immediato dopoguerra. Il F. si calava perfettamente nel personaggio della canzone e si presentava ogni sera in scena in un elegantissimo frac blu notte, con un portamento da gran signore, impomatato, con il viso incipriato e gli occhi segnati di blu, per impersonare un viveur vittima delle lunghe notti di piacere, con ghette bianche, bastone di malacca, guanti e cappello a cilindro. Cantava così, con aria di superiorità, tutto il suo scetticismo verso l'amore e le ambiguità della società. Concludeva la canzone accendendo una sigaretta per coronare con anelli di fumo la sua indifferenza verso il mondo. Questo personaggio attirò anche l'attenzione di Ettore Petrolini che, nel 1921, ne fece una macchietta satirica con "Gastone".
Altra originale interpretazione del F. fu Come una coppa di champagne, di R. Borella e G. Rampoldi (1926), canzone che concludeva gettando in terra in modo plateale la coppa vuota di champagne stretta fra le dita, mandandola in frantumi in segno di disprezzo verso la donna che lo aveva tradito. Altre note canzoni cantate dal F., ma completamente in contrasto con la figura dello "scettico" che lo rese famoso, furono Abat-jour di E. Neri e M. Cobianco (1920), una delle sue interpretazioni più sentimentali, Addio Tabarin, creata per lui da Borella e Rulli (1922), di cui in seguito vennero censurati i versi finali perché facevano un chiaro riferimento alla rivolta sociale, e Balocchi e profumi di E.A. Mario (1929).
Altre canzoni che portò al successo nell'arco della sua carriera furono: Ninnolo (Rulli), Alcova (Rulli - B. Cherubini), Addio signora (E. Neri - G. Simi), Vipera (Mario), Creola (Ripp, pseud. di M. Miaglia), Follia (Borella), Lucciole vagabonde (Cherubini - C.A. Bixio), Come una sigaretta (P. Mendes - V. Mascheroni), Re di cuori (L. Schor - Cherubini) e tante altre.
Fu uno degli artisti meglio pagati degli anni Venti - dalle 6 lire al giorno degli inizi della carriera arrivò a guadagnare cifre favolose come 1.000 lire a serata - ma elargì il suo denaro a parenti e amici bisognosi, investendo molto poco per sé stesso. Con il passare degli anni e con l'avvento dei ritmi allegri e sincopati, il suo genere passò di moda ed egli fu costretto a ritirarsi dalle scene e a vendere lentamente tutto quello che aveva acquistato negli anni di successo per continuare a vivere. Nel 1948, dopo dieci anni di silenzio, tentò per necessità economiche un rientro nel mondo dello spettacolo, presentando al Grand'Italia di Milano il suo vecchio repertorio: fu un triste rientro. Ciononostante, continuò a partecipare a vari spettacoli. Nel febbraio 1948 cantò al Mediolanum di Milano nella rivista Col naso lungo e con le gambe corte di Nelli (pseudonimo di F. Cipriani Marinelli) e M. Mangini e l'anno seguente al teatro Cavour in uno spettacolo di varietà tutto dedicato a lui. Nel 1950 partecipò a uno spettacolo di arte varia al teatro Ariosto di Reggio Emilia, insieme con V. Riento e M. Bianchi, e alla commedia rivista Il mago di Milano di M. Luciani con T. Scotti al Carcano di Milano. L'anno seguente cantò al teatro Manzoni di Milano in 50 anni di café-chantant di L. Ramo. Dopo una lunga relazione con Anna Fougez, stella del café-chantant, nel 1950 si sposò con Teresa Pasquero (detta Nada Mary).
Morì il 27 dic. 1958 a Milano. Durante la sua carriera artistica il F. incise anche dei dischi, oggi reperibili soltanto presso collezionisti privati.
Fonti e Bibl.: Necr. in Il Messaggero e in La Nuova Stampa del 28 dic. 1958; S. D'Amico, in Encicl. dello spettacolo, V, Roma 1958, coll. 684 s.; R. Mastro, Le canzoni degli anni '20, Roma 1966, pp. 17, 78; O. Vergani, Abat-jour, Milano 1973, pp. 45, 53 s.; D. Seren Gay, Il teatro popolare dialettale, Romano Canavese 1977, p. 105; M.T. Contini - P.A. Paganini - M. Vannucci, Café-chantant, Firenze 1977, p. 149; La canzone italiana, salotti e cabaret anni '20, a cura di G.F. Vené, Milano 1982, I, pp. 4 s., 8 s., 10, 12; III, pp. 25 ss., 30, 32, 34, 36; F. Possenti, I teatri del primo Novecento, Roma 1984, p. 169; R. De Angelis, Café-chantant, personaggi e interpreti, Firenze 1984, p. 116; G. Borgna, Storia della canzone italiana, Bari 1985, pp. 50, 53 s., 62; L. Garinei - M. Giovannini, Quarant'anni di teatro musicale all'italiana, Milano 1985, pp. 52 ss.; A. Olivieri, Le stelle del varietà, Roma 1989, pp. 96 s., 117, 130; Son tornate a fiorire le rose…, "Guida all'ascolto", a cura di P. Ruggieri, Cologno Monzese 1991.