FRANZESI, Giovanni Paolo (Ciampolo), detto Musciatto
Figlio maggiore di Guido, il F., uomo d'affari e avventuriero nato probabilmente intorno alla metà del secolo XIII, divenne, al pari dei fratelli, banchiere in terra di Francia e, coniugando abilmente finanza e potere politico, fu protagonista di una vertiginosa ascesa economica e sociale. Sebbene il suo nome di battesimo fosse Ciampolo o Giovanni Paolo, acquistò notorietà e fortuna col soprannome Musciatto - che in Francia fu mutato in "Mouche" - dall'origine incerta, ma probabilmente derivato da una qualità di zucchero di provenienza orientale. Il Boccaccio lo inserì nella prima novella del Decameron, incentrata sul personaggio di ser Ciappelletto (Cepperello Dietaiuti), suo agente, e il Compagni lo dipinse come "cavaliere di gran malizia, picciolo della persona, ma di grande animo".
Il F. e i suoi fratelli, cittadini fiorentini, erano originari del territorio di Figline Valdarno, forse proprio della località poi denominata Pian Franzese. La famiglia pare fosse di recente nobiltà; il padre Guido era cavaliere e, dopo aver aderito alla fazione filoimperiale, nel 1249 aveva militato al seguito di Federico di Antiochia.
Resta totalmente nell'ombra il periodo precedente al trasferimento del F. in Francia, né conosciamo i motivi dell'abbandono da parte sua e del fratello Albizzo (Biccio) dei luoghi di origine. Possiamo solo immaginare che, in una fase di grande espansione internazionale del commercio e della finanza italiani, essi fossero mossi dall'aspirazione verso l'elevazione economica e l'allargamento degli orizzonti familiari.
Le prime notizie della sua presenza in terra francese, risalenti alla nona decade del Duecento, lo presentano come impiegato della potente compagnia fiorentina degli Scali. Una delle prime testimonianze che lo riguardano direttamente fa poi presupporre che egli si fosse messo al seguito del duca Giovanni I di Brabante, fratello della moglie del re di Francia, Filippo III. Nel 1288 appare già entrato nella considerazione del re di Francia, Filippo IV il Bello (salito al trono nel 1285), che lo invitò ad accompagnarlo a Melun per trascorrervi le feste natalizie. L'accoglimento nell'entourage del sovrano è formalizzato in un documento appena successivo, in cui il F. figura come "valletto del re".
Agli inizi dell'ultimo decennio del secolo i fratelli Franzesi - si era aggiunto anche il più giovane Niccolò - agivano in proprio e in società e risultavano ormai nelle funzioni di banchieri della Corona. Al censimento fiscale del 1293 il F. fu registrato nella parrocchia parigina di Saint-Nicholas-des-Champs, pagando la terza quota per entità tra i tributi imposti agli italiani in città. Nel 1296 appare trasferito nella parrocchia di Saint-Germain-l'Auxerrois, la più ricca di Parigi, in un edificio poi noto come "Hotel des Sires Biche et Mouche".
Alla crescita del prestigio del F., nel tempo sempre più influente a corte, corrispose un suo rapido distanziarsi dalla comunità degli italiani operanti sul suolo francese. Il disconoscimento dei vincoli di solidarietà coi propri concittadini o conterranei - origine dei risentimenti che alimentarono la reputazione negativa che i Franzesi si lasciarono dietro - divenne manifesto in modo eclatante nel 1291, quando il F. e suo fratello Biccio furono indicati come gli ispiratori dell'ordine, emesso dal re, dell'arresto di tutti i mercanti e banchieri italiani residenti in Francia e del sequestro dei loro beni. Il provvedimento, dal quale essi furono i soli tra i "lombardi" risparmiati, si sostanziò in un sistema per estorcere denaro alla comunità italiana.
Il riscontro documentario ha tolto invece credibilità all'accusa, diffusa all'epoca, di un coinvolgimento del F. nell'elaborazione della manovra di svalutazione della moneta, attuata da Filippo il Bello nel 1295 per far fronte alla crisi economica della Corona. L'operazione, che tanto danneggiò gli affari italiani, in particolare quelli bancari, era stata in realtà consigliata dal maestro della Zecca Thomas Brichart, mentre i Franzesi avevano addirittura espresso un parere contrario.
Certo, esistevano altri concreti motivi perché il F. e il fratello Biccio fossero invisi ai loro concittadini. Primo tra tutti la concessione, fatta loro dal re, dell'appalto dell'esazione dei tributi di cui venivano gravati gli italiani e i loro esercizi sul suolo francese, dalla quale trassero ingenti benefici economici. Il legame con la Corona creava poi il presupposto per ottenere privilegi in ambito commerciale che ne favorivano le attività a scapito dei concorrenti, nonché costituiva un sicuro trampolino di lancio per allargare il campo delle relazioni economiche e politiche coi potenti del tempo. Essi gestirono la riscossione delle imposte regie nei più importanti distretti del Regno, i loro servigi furono richiesti dai maggiori signori e dallo stesso Bonifacio VIII che li nominò rettori del Contado Venassino. Il raggio di azione del F. si estese fino al Regno di Napoli, dove Carlo II, in seguito a un finanziamento offertogli dal F., lo nominò suo "familiare".
L'insorgere del conflitto tra Francia e Inghilterra determinò il crearsi di nuove occasioni per il F. di incrementare le proprie fortune sia economiche sia sociali. Concluse lucrosi affari assumendo la gestione dei pagamenti effettuati nell'allestimento della flotta francese e, più in generale, attraverso il finanziamento degli armamenti. Sul versante dell'acquisizione di prestigio politico, importanti furono gli incarichi diplomatici affidatigli dal re che egli portò brillantemente a conclusione. Svolse infatti un determinante ruolo di mediazione nel corso di più ambasciate: con Adolfo di Nassau in Germania, presso il fratello di questo Teodorico di Nassau a Lilla, con il duca di Brabante a Lovanio nel 1296. Quale coronamento della carriera politica tenacemente perseguita, nel 1297 prese parte attiva alla guerra contro le Fiandre, militando insignito dei titoli di "monsignore" e "cavaliere del re". In tale occasione si distinse al comando delle truppe francesi nella battaglia di Comines sulla Lys.
In questi stessi anni si adoperò a rinsaldare i rapporti personali con Bonifacio VIII, presso il quale si recò in missioni diplomatiche per conto di Filippo il Bello nel 1298, nel 1299 e nel 1300. Anche i legami economici tra l'azienda e la Curia papale si intensificarono e, quale gesto di omaggio verso il papa, il F. e i fratelli nel 1296 fondarono e dotarono in Firenze un monastero di suore cistercensi, intitolandolo al beato martire Bonifacio.
Alla fine degli anni Novanta, al culmine della carriera, la presenza del F. a Parigi sembra farsi discontinua. Lo si trova infatti censito nel 1296 e nel 1299, ma assente nei due anni intermedi. Ciò può essere dovuto, in parte, agli impegni diplomatici sostenuti in quegli anni, ma si può tuttavia ipotizzare che, ormai nella maturità, una serie di fattori siano intervenuti a determinare un suo distacco dal paese dove aveva fatto fortuna. Egli doveva infatti essere cosciente e, di conseguenza, allarmato della crisi della Corona francese, d'altra parte in quello stesso periodo pare fosse sopraggiunta la morte del padre Guido e probabilmente si era determinata l'esigenza di prendersi cura del patrimonio familiare.
Tutta volta a preparare il terreno per il ritorno dei fratelli Franzesi in Italia appare la strategia matrimoniale adottata all'interno della famiglia, volta a contrarre legami o a rinsaldare vincoli con il ceto dirigente toscano. In una data sconosciuta il F. aveva sposato Francesca, figlia del conte Guido di Simone da Battifolle e bisnipote di Guido Novello. L'imparentamento con la grande casata comitale dei Guidi sanciva il riconoscimento della sua ascesa sociale e inoltre apriva la strada a nuove preziose alleanze politiche, in quanto il conte Guido era un prestigioso capo guelfo e godeva dei favori del Comune fiorentino. Sempre in Firenze, una delle sorelle del F. era andata sposa a Simone di Giuliano Bardi. Un'altra sorella, Magina, aveva sposato Granello dei Tolomei, entrando a far parte di una delle più importanti famiglie senesi. Un'unione ancora in ambiente senese fu poi quella che strinse lo stesso F. con le sue seconde nozze con Tessa, vedova di Frummia e figlia del cavaliere Bernardino Piccioli.
E proprio Siena, pur mantenendo la cittadinanza fiorentina, i tre Franzesi elessero a meta del loro rientro in Toscana. Colpiti dalle leggi antimagnatizie emanate a Firenze nel 1295, essi presentarono richiesta di cittadinanza al Comune senese e nel 1297 il F. acquistò una dimora in città, il palazzo degli Alessi sulla piazza del Campo. Preferibilmente al territorio senese egli si rivolse poi nell'attuazione del progetto di provvedersi di una solida base fondiaria in Toscana. Sempre nel 1297 ottenne da Adolfo di Nassau, con ratifica del papa, l'investitura dei diritti imperiali su Poggibonsi e Fucecchio. Nel 1301 entrò in possesso, per 18.000 libbre senesi, dei castelli di Trequanda e Belsedere, nel territorio meridionale di Siena, appartenuti alla decaduta famiglia senese dei conti della Scialenga Cacciaconti.
Divenuto potente in Toscana, il F. volse i propri piani di affermazione politica verso la società fiorentina. L'opportunità di mettersi in luce gli fu offerta nel 1301 dalla spedizione di Carlo di Valois in Italia. Divenutone consigliere di fiducia e preparatane l'accoglienza a San Gimignano, entrò in Firenze come cavaliere del suo seguito. Qui il Valois, com'è noto, si fece consegnare la signoria della città, dichiarando l'intenzione di comporre i dissidi delle fazioni guelfe dei bianchi e dei neri in lotta tra di loro, ma di fatto agevolando i secondi nella conquista del potere. Il F., fattosi intermediario dei neri, tra i quali erano elementi a lui legati da rapporti di parentela, come i Bardi, o di affari, ne favorì il colpo di mano.
In seguito all'instaurarsi del nuovo regime egli vide accrescere il proprio personale prestigio con l'attribuzione di rilevanti incarichi politici e militari. Nel 1302 fu nominato capitano della "Taglia" guelfa di Toscana e l'anno successivo ne guidò gli armati in occasione di uno scontro con i fuoriusciti a Colle Val d'Elsa. Nello stesso periodo ricevette dal Valois le rocche di Carmignano e di Tizzana nel Valdarno Inferiore, strategicamente importanti per la guerra contro Pistoia, città verso la quale si era rivolta l'attenzione dei neri una volta sottomessa Firenze. Dal 1303 al 1304, in Prato, roccaforte nera, riunì eccezionalmente nella propria persona i più elevati uffici cittadini, quelli di podestà e di capitano del Popolo.
L'intensificarsi dell'impegno sul fronte politico non lo distrasse dal promuovere la propria attività economica e nel 1303 egli costituì una nuova compagnia in società con i Pazzi, famiglia fiorentina della fazione vincente. Nello stesso anno soggiornò a Staggia ospite del fratello Biccio. Nel 1304 è documentata la sua partecipazione a fianco dei Fiorentini in un combattimento contro un castello nel Chianti.
Queste sono le ultime notizie che si hanno sul F. prima che un inaspettato quanto repentino rivolgimento di sorte intervenisse a travolgerne la fortuna economica e, in conseguenza, a sgretolarne l'immagine pubblica. Se già nel 1304 la moglie Tessa lamentava difficoltà economiche con il Comune di Siena, nel 1305 l'azienda Franzesi entrò in uno stato di grave dissesto che in pochi anni portò al fallimento. Il fattore determinante nell'innescare la crisi sembra potersi individuare nel crollo della grande compagnia senese dei Bonsignori, la "Magna Tavola", avvenuto quando questa era in debito con la società del F. dell'ingentissima somma di 58.000 lire tornesi. I Franzesi si trovarono pertanto impossibilitati a soddisfare a loro volta le richieste dei propri creditori: nel 1305 il Comune fiorentino emise contro il F. la condanna a morte e al sequestro dei beni e nel 1306 ne incamerò i possedimenti di Carmignano e Tizzana.
Al dissesto patrimoniale e alla precarietà della situazione personale del F. deve essere probabilmente ricondotto uno degli ultimi episodi noti della sua vita, che lo vide accusato della sottrazione di una parte del tesoro papale, del cui trasferimento da Perugia a Bordeaux era stato incaricato da Clemente V nel 1306.
Morì in Francia prima del luglio 1307. Senza figli, lasciò al fratello Niccolò l'onerosa eredità di sostenere la responsabilità della compagnia nei contenziosi susseguenti al fallimento.
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