Rosenzweig, Franz
Filosofo tedesco (Kassel 1886- Francoforte sul Meno 1929). Di famiglia ebrea, conseguì il dottorato in filosofia nel 1912, con una tesi che venne però pubblicata solo alcuni anni dopo con il titolo Hegel und der Staat (1920; trad. it. Hegel e lo Stato). Successivamente insegnò nella Scuola della cultura ebraica di Francoforte, da lui stesso fondata. Negli anni precedenti alla Prima guerra mondiale era infatti maturata in lui una crisi spirituale che lo aveva condotto a riavvicinarsi alla sua cultura e religione di origine, l’ebraismo. La produzione intellettuale di R. è distinta in due periodi nettamente distinti: nel primo, antecedente alla crisi religiosa, fu un esponente di quella corrente dell’ebraismo che, da più di un secolo, tendeva fortemente ad assimilarsi alla cultura tedesca, con una forte propensione alla conversione al cristianesimo. Allievo, in questo periodo, di Rickert e di Meinecke, R. fu uno dei massimi studiosi di Hegel del suo tempo: scopritore dell’importante testo Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, da lui attribuito a Schelling, in Hegel e lo Stato egli delineò una trattazione rimasta classica sullo Hegel statalista e bismarckiano, dal quale già in quest’opera prendeva le distanze. Dopo la crisi religiosa, il distacco di R. dall’idealismo e da tutta la tradizione filosofica occidentale si accentuò: il testo Stern der Erlösung (1921; trad. it. La stella della redenzione), che è senz’altro il suo capolavoro, e in cui quella svolta giunge alla sua piena espressione, rappresenta in questo senso una delle realizzazioni più originali del suo tempo. Riduttiva è una sua lettura in una chiave semplicemente ebraica e teologica: il riavvicinamento di R. all’ebraismo, fatto indubbiamente fondamentale, non esclude un altrettanto importante ruolo che egli continua ad attribuire al cristianesimo e inoltre, in un senso più generale, mette in campo una nuova posizione puramente e semplicemente filosofica, il cui valore si estende al di là di ogni presupposto di carattere teologico o fideistico. In questo senso, la direzione in cui R. si incammina fin dalle prime pagine dell’opera è inequivocabile: la centralità dei temi della morte e del tempo, e il riferimento a Schelling, Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche pongono La stella della redenzione fra le prime opere in cui si delinea la svolta esistenzialistica, che, fra le due guerre, costituirà uno dei movimenti filosofici di maggiore rilievo. La struttura stessa dell’opera è pensata con un richiamo al modello della stella ebraica a sei punte: le prime tre punte sono Dio, il mondo e l’uomo, come i concetti imprescindibili (al di là della forma o dell’etichetta sotto cui possono comparire) di ogni autentica impresa filosofica; a essi corrispondono, come relazione intercorrente fra tali tre termini, i tre concetti di creazione, rivelazione e redenzione. Continuando e approfondendo la sua polemica antidealistica, R. insiste sul carattere concreto, legato alla vita, esperienziale (secondo una concezione dell’«empirismo» che ricava da Schelling) che deve avere la riflessione filosofica. Fondamentale, come esempio di una mossa apparentemente teologica, ma in realtà carica di significato e di risonanze anche sul piano filosofico, è la polemica che R. svolge contro l’idea, tipica di alcune correnti del Romanticismo, dell’«ineffabilità» dell’infinito, contrapponendole il modello che emerge dal racconto biblico del Genesi: Adamo, dotato egli stesso di nome proprio, dette i nomi a tutte le cose, e ciò è simbolo del fatto che noi uomini disponiamo di un linguaggio che ci permette di parlare del mondo, che siamo immersi in tale linguaggio, e, tramite esso, nel mondo: «Il nome proprio richiede nomi anche fuori di sé. Il primo atto di Adam è quello di dare i nomi agli esseri del mondo». Misconosciuta per molti anni, innanzitutto dalla cultura ebraica cui era rivolta, l’opera ebbe un decisivo influsso su Benjamin e, attraverso di lui, anche sul pensiero giovanile dell’altro grande esponente della Scuola di Francoforte, Adorno; essa ha poi influito sul pensiero di un altro importante filosofo ebreo del Novecento, Lévinas; da un trentennio è ormai generalmente riconosciuta come uno dei testi più importanti del pensiero europeo del sec. 20°.