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VILLON, François

di Ferdinando Neri - Enciclopedia Italiana (1937)
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VILLON, François

Ferdinando Neri

Poeta francese, nato a Parigi nel 1431; il suo cognome di famiglia era Montcorbier: quello di V., ch'egli portò poi sempre, gli venne da Guillaume de V., un ecclesiastico che lo protesse giovinetto, mentr'era rimasto orfano del padre. Studiò all'università di Parigi; baccelliere nella facoltà delle arti (marzo 1449), n'era licenziato e dichiarato "maestro" nel 1452. Le poche altre notizie che ci rimangono, dimostrano ch'egli si abbandonò alla malavita: nel 1455, in seguito a una rissa, ferì mortalmente un prete, e fuggì da Parigi; vi tornò l'anno seguente, dopo aver ottenute le lettere di remissione per quel delitto. Alla fine del 1456 partecipava a un furto, con scalata e scasso, di cinquecento scudi d'oro nel collegio di Navarra; dopo errò per la Francia, e nell'estate del 1461 si trovava nelle carceri episcopali di Meunsur-Loire, donde fu liberato al passaggio del nuovo re Luigi XI. Il 3 novembre 1462 era a Parigi, nella prigione dello Châtelet e, prima di uscirne, s'impegnava di restituire la sua parte di bottino al collegio di Navarra; liberato e ripreso entro l'anno stesso per un nuovo reato, veniva sentenziato di morte; accolto dai giudici un suo appello, la condanna gli veniva commutata (il 5 gennaio 1463) nel bando per dieci anni dalla città e territorio di Parigi. Dopo quella data, non si sa più nulla di lui.

La prima edizione delle sue rime apparve a Parigi nel 1489; il testo fu riveduto da Clément Marot nel 1533; le edizioni moderne, condotte sui manoscritti, hanno dato via via un assetto più sicuro alla raccolta, in cui s'erano infiltrati elementi spurî. L'opera del V. comprende, oltre alle liriche sparse, due poemetti, il Lais e il Testament (detti anche Le petit e Le grand Testament), di cui il secondo ripiglia con più largo sviluppo il tema già trattato nel primo, raffigurando una serie di "lasciti", cioè un testamento burlesco, lungo il quale sono evocati gli amici e i nemici del poeta, i suoi amori, le sue avventure, tutto il complesso della sua vita ancor breve, ma agitata e ricca di esperienze e di colpe. Il Lais fu composto alla fine del 1456; il Testament, cominciato nel 1461. Non è facile determinare quando siano state scritte le poesie sparse: Ballade de bon conseil, Ballade des proverbes, Ballade des menus propos, Ballade des contre-vérités, Ballade francisque o Ballade contre les ennemis de la France (di dubbia attribuzione), Le dit de la naissance de Marie d'Orléans (tra il 1457 e il 1460), Ballade du concours de Blois (1460 circa: è tessuta su di un tema proposto da Charles d'Orléans ai poeti della sua corte), Problème au nom de la Fortune, Èpître à ses amis, La reqùête à Monsaigneur de Bourbon, Le débat du cœr et du corps de V. (il poeta ha trent'anni: 1461), Ballade de l'appel (dei primi giorni del 1463; come la seguente), Louenge et requête à la Cour, L'épitaphe o Ballade des pendus.

A queste rime si deve aggiungere un gruppo di ballate gergali, sei delle quali figurano nell'edizione principe del 1489; altre cinque si conservano in un manoscritto di Stoccolma (proveniente dalla biblioteca di C. Fauchet), e l'attribuzione ne è meno sicura: una, ad ogni modo, reca in acrostico, nel congedo, il nome di V. Sono per gran parte incomprensibili, e solo a tratti se ne arguisce il senso, ch'è di solito quello d'un discorso, d'una "lezione" agli adepti d'una banda di malfattori.

Il capolavoro del V. è certamente il Testament: breve poema di poco più che duemila versi, a stanze narrative, con alternanza di ballate e rondò. In un vasto prologo, che abbraccia più di un terzo dell'opera, il V., uscito appena di prigione, descrive il suo misero stato, lamenta la sua povertà, volge il pensiero alla morte (e qui s'inserisce la celebre Ballade des dames du temps jadis, rapida, ammaliante evocazione delle antiche bellezze, che sono tutte svanite, dissolte come la neve al sole), alla vecchiezza che sfiorisce ogni pregio e ogni seduzione (Ballade de la belle Heaulmière aux filles de joie); indi comincia a testare, e dona alla madre la commovente e pura Ballade pour prier Notre Dame, alla sua amica una ballata amorosa, che intreccia i nomi di "François" e di "Marthe"; e i lasciti si susseguono, su di un tono ch'è volta a volta giocoso, beffardo, satirico, amaro, ingiurioso; il poema procede con un cinismo sempre più aperto, e un linguaggio più scurrile (Ballade des langues envieuses, Ballade de la grosse Margot); da ultimo, il V. dispone la sua tomba, l'epitafio, l'ordine dei funerali, e conchiude il suo lavoro con una risata e un bicchiere di vino. La trama è semplice; gli elementi, fra i più grezzi e comuni nella poesia del tempo; ma il V. li ha rinnovati, vi ha impresso il sigillo originale di uno spirito inquieto, sincero, ch'è ad un tempo aggressivo e sofferente. Avvinto ai piaceri e al vizio, vi ha talora scoperto un sapore di cenere; ha sentita ed espressa (come nella stupenda ballata "degl'impiccati") la pietà di sé e degli altri uomini, avidi e illusi, stretti, fra il delitto e il castigo, in una sola catena di crudeltà; ha "riso in pianto", secondo una sua luminosa parola; e i moderni, a cominciare dai romantici, hanno riconosciuto in lui il primo poeta veramente lirico che abbia avuto la Francia.

Ediz.: Luvres complètes, a cura di A. Longnon, Parigi 1892: rived. dal Longnon stesso e poi da L. Foulet per la collezione Les Classiques français du Moyen Âge, n. 2; 4ª ed., ivi 1932; Le poesie di F.V., a cura di F. Neri, Torino 1923; Œuvres, a cura di L. Thuasne, Parigi 1923 (voll. 3); Œuvres, a cura di A. Jeanroy, ivi 1934. Per le poesie in gergo, v. L. Schöne, Le jargon etjobelin de F.V., ivi 1888, e R.F. Guillon, Les ballades en jargon du manuscrit de Stockholm: essai de restitution et d'interprétation, Groninga 1920.

Traduz. ital.: Sgádari di Lo Monaco, Il Testamento di F.V., Palermo 1930; N. Cioli, Le poesie di F.V., Lanciano 1931; id., Ballate argotiche di F.V., ivi 1934.

Bibl.: G. Paris, V., Parigi 1901 (collezione Les grands écrivains français); M. Schwob, F. V.: rédactions et notes, ivi 1912; P. Champion, F. V.: sa vie et son temps, ivi 1913, voll. 2 (2ª ed., 1933); F. Desonay, V., ivi 1933: I. Siciliano, F. V. et les thèmes poétiques du Moyen Âge, ivi 1934; D. Giuliotti, Il merlo sulla forca (F. V.), Firenze 1934; L. Cons, État présent des études sur V., Parigi 1936.

Vedi anche
Clément Marot Marot ‹maró›, Clément. - Poeta francese (Cahors 1496 - Torino 1544). Figlio del "rhétoriqueur" Jean, studiò a Parigi sotto la guida del padre; iniziò quindi la carriera di cortigiano e alla morte del padre ereditò la carica di "valet de chambre" del re Francesco I. A corte godé di un grande prestigio; ... Paul Verlaine Verlaine ‹verlèn›, Paul. - Poeta francese (Metz 1844 - Parigi 1896). Considerato dai suoi contemporanei il maestro della scuola simbolista, Verlaine, Paul esordì con i parnassiani Poèmes saturniens (1866). Condannato a due anni di prigione per aver sparato a A. Rimbaud, del quale era amico, maturò durante ... Rutebeuf ‹rütbö´f› (ant. Rustebeuf). - Poeta francese (sec. 13º). Forse originario della Champagne, visse a Parigi, dove condusse la misera esistenza del giullare. Forte temperamento polemico, prese parte ai dibattiti del suo tempo predicando la santità della crociata (La voie de Tunis; La complainte de Costantinople), ... Tristan Tzara Tzara ‹tsarà›, Tristan. - Pseudonimo del poeta francese di origine romena Samuel Rosenstock (Moinesti 1896 - Parigi 1963). Esordì giovanissimo con versi in lingua romena ispirati al simbolismo, quindi si trasferì a Zurigo dove, al Cabaret Voltaire, fondò nel 1916 il dadaismo, che illustrò con il dramma ...
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