TALMA, François-Joseph
Attore tragico francese, nato a Parigi il 15 gennaio 1763, ivi morto il 19 ottobre 1826. La sua vita artistica ebbe inizio nel 1787 al Théâtre-Français, e si svolse sotto i governi repubblicani, sotto l'impero e sotto la monarchia restaurata; ma sebbene abbia avuto larghissimo tributo di ammirazione da tutti i regimi, egli rimane l'attore rappresentativo dell'epoca napoleonica. Conobbe Bonaparte nel periodo di miseria e l'attore, non privo di mezzi, poté aiutare il futuro imperatore. Salito in fama di pari passo con la fortuna del giovane generale, T. gli fu devoto e l'imperatore lo ebbe carissimo, sebbene l'affermazione che Napoleone si facesse dare lezioni di mimica e di plastica oratoria dall'attore sia falsa. In realtà Napoleone comprese quanto l'attore potesse giovargli nel suo intento di dare, anche sul teatro, una immagine grandiosa della regalità. In questo intento aiutò l'arte di T., il quale realizzava in sé un ideale artistico che corrispondeva alla concezione politica del teatro professata dall'imperatore. Il padre, dentista trasferitosi a Londra, aveva avviato il T. alla medesima professione; ma il giovane a Londra, oltreché ad impadronirsi della lingua inglese, aveva occupato il suo tempo libero a recitare e a studiare l'arte sua con molto successo nei circoli filodrammatici. Tornato a Parigi, il giovane T. fece il dentista per diciotto mesi, quanto gli bastò per avvicinare gli ambienti teatrali e conquistare l'amicizia e la protezione dell'attore Molé che gli agevolò l'accesso fra i "comédiens du roi". L'arte scenica era allora inquinata da tutte le degenerazioni di una tradizione gloriosa caduta nel convenzionalismo, sicché si usava rappresentare la tragedia classica col vestiario del tempo corrente, agghindato di nastri, piume, pennacchi e fronzoli d'ogni genere. T. ebbe l'ardire di introdurre, da solo e per sé, il costume storicamente esatto che si addiceva ai personaggi, ciò che diede luogo alle più clamorose dispute, dalle quali peraltro uscì vittoriosa la riforma del T. Egli la completò con quella della recitazione, ugualmente guasta dal convenzionalismo e dal "preziosismo ridicolo" ereditato dal Seicento. Il suo esempio ricondusse l'arte di recitare a una relativa naturalezza. "Le naturel" era la sua idea fissa e rifletteva sulla scena il movimento di idee che si manifestava nella filosofia e nei costumi.
Il T. "sociétaire" nell'aprile dell'89 aveva già manifestato le sue idee rivoluzionarie nel campo artistico, quando conseguì il suo primo trionfale successo nel Carlo IX di A. Chénier, rappresentato per interessamento di Danton il 4 novembre dell'89. Cominciarono allora per il T. le lotte con i suoi compagni che, mossi dall'invidia, gli furono ostili in tutti i modi, fino ad accusarlo di colpe politiche, fino a rifiutarsi di recitare con lui. Fu accusato, dopo Termidoro, di essere stato terrorista, mentre era stato, se mai, un girondino: e gli uomini maggiori di quella parte aveva conosciuto, nel salotto di Julie Carreau da lui sposata. A quest'epoca risale l'ulteriore evoluzione del suo genio artistico, nella quale dalla riforma tecnica dell'arte della scena volle assurgere ad una più profonda ed intima riforma dello spirito interpretativo, nel senso della ricerca e dell'espressione dell'umanità, libera dalle contingenze della vita sociale. In questo concetto egli è da considerare il primo attore dell'Europa moderna, precursore delle scuole realistiche successive, e seguace di quel profeta della modernità teatrale che fu il Lekain (si disse che mezzo secolo dopo, il Modena in Italia facesse la stessa riforma, e che il nostro Salvini apparisse ai vecchi parigini nel 1856 una reincarnazione di T.). Le principali sue interpretazioni furono quelle dei personaggi di Cinna, Nerone, Oreste, Achille, Edipo e nel teatro dell'epoca sua Giovanni senza paura e Othello del Ducis, Leicester nella Maria Stuarda del Lebrun, e l'Egisto nell'Agamennone del Lemercier. Fra le singolari occasioni nelle quali il T. ebbe a recitare, nessuna fu più straordinaria di quella di Erfurt, dove Napoleone lo condusse, nel 1808, dinnanzi a "un parterre de rois" per recitarvi per maliziosa volontà dell'imperatore La mort de César. La fama del T. dominò il teatro francese per oltre mezzo secolo, anche dopo che egli fu scomparso, e i suoi rapporti con Napoleone furono non ultima causa della sua popolarità e della sua impopolarità. All'arte sua giovò invece moltissimo la collaborazione della sua seconda moglie: si era divorziato dalla prima nel 1801 ed aveva sposato la figlia del suo collega Vanhove (v. appresso). Il T. visse soffrendo da parte della Chiesa non poche odiosità per la sua qualità di attore, e morì ricusando i conforti religiosi quasi in una suprema polemica con l'arcivescovo di Parigi. Altri incidenti ebbe per motivi politici e anche artistici in una vita tanto piena di trionfi quanto di lotte, per il suo carattere altezzoso e pure generoso e magnanimo. Poco prima di morire rappresentò il Carlo VI di Delaville (marzo 1826). Di lui parlano quasi tutti gli scrittori francesi del suo tempo, tanto fu potente la sua personalità: più seriamente la Staël, il Ducis, lo Chénier.
Charlotte detta Caroline Vanhove, sua moglie, nacque a l'Aia il 10 settembre 1771 e morì a Parigi l'11 aprile 1860. Allieva di Dorval, esordì a 14 anni alla Comédie nella Iphigénie di Racine e sostenne in poco tempo sedici parti con un successo strepitoso. Ebbe i suoi maggiori trionfi nell'Edgar di G. M. Chénier, nella Zaira, come Antigone in Eteocle e Polinice del Legouvé, e come Cassandra nell'Agamennone del Lemercier. Abbandonò le scene nel 1811. Scrisse un atto in versi: Les deux Méricourt, e una commedia rappresentata per la recita di addio: Laquelle des trois; ma più importanti sono i suoi scritti su Talma: Études sur l'art théâtral e Anecdotes inédites sur Talma, ai quali si dedicò nei suoi ultimi anni.