FÉNELON, François de Salignac de la Mothe
Nacque il 6 agosto 1651 nel castello di Fénelon nel Périgord, da nobile e antica famiglia, e morì a Cambrai il 7 gennaio 1715. Dopo i primi studî fatti nell'università di Cahors, andò a Parigi ove frequentò prima le lezioni di teologia alla Sorbona e poi i corsi nel celebre seminario di Saint-Sulpice acquistandovi quella salda dottrina e quella profonda religiosità che lo sostennero e guidarono in tutta la vita. Ordinato prete verso il 1675, pensò di dedicarsi alle missioni in Oriente, ma vi rinunciò per assumere la direzione dell'istituto delle Nuove Cattoliche. E nell'opera che qui svolse per la conversione delle giovani protestanti, subito rifulsero le doti che lo resero direttore spirituale impareggiabile, conoscitore finissimo dell'animo umano. Dopo la revoca dell'Editto di Nantes (1685) cooperò coi più illustri prelati del tempo al consolidamento della fede cattolica, e, nella missione che gli fu allora affidata nel Saintonge per la conversione dei protestanti, mostrò zelo ed energia, ricorrendo intelligentemente tanto alla persuasione quanto alla forza. La sua natura mobile e insinuante, l'eloquenza calda e persuasiva, la vasta cultura, le maniere signorili e soprattutto la missione di direttore spirituale gli procurarono ben presto numerose, cospicue amicizie e il favore del partito di corte che faceva capo a Madame de Maintenon, sua illustre penitente.
Nel 1687 pubblicò il Traité sur l'éducation des filles scritto per consigliare la duchessa di Beauvillier sull'educazione delle sue figliuole. Educatore pratico e geniale, F. vi precorre i pedagogisti ottimisti del secolo XVIII: egli proclama la necessità di seguire la natura ch'è sempre madre benefica, e raccomanda un'educazione piacevole e ferma insieme, che, conciliando libertà e autorità, prepari la donna a compiere degnamente la sua alta missione.
Due anni dopo gli fu affidata dalla fiducia del duca di Beauvillier l'educazione del duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV: compito che tenne dal 1689 al 1697 ottenendone risultati insigni, sebbene taluni lo abbiano accusato di aver soffocato le naturali inclinazioni dell'alunno. La sua influenza in questo momento fu veramente grande, e sarebbe divenuta certo ancor più vasta, se la questione del quietismo non lo avesse fatto cadere in disgrazia e obbligato a lasciare Parigi per Cambrai, la diocesi di cui nel 1695 era stato nominato arcivescovo.
Fino dal 1688 F. aveva conosciuto Madame Guyon (v.) la mistica visionaria che frequentava, già favorevolmente accolta, Versailles, Saint-Cyr e l'alta società parigina esercitandovi un apostolato mistico. Incline già per sua natura a una religione tutta pervasa d'amore e di semplicità, F. si lasciò vincere dal fascino di questa donna e accolse con slancio le dottrine che ella predicava e che si avvicinavano al quietismo di Molinos, già condannato a Roma nel 1687.
Il rapido diffondersi di teorie pericolose, come quelle dell'orazione muta e della santa indifferenza, preoccupò alcuni illustri prelati, e soprattutto Bossuet, i quali credettero opportuno sorvegliare Madame Guyon e fissare i punti fondamentali del misticismo ortodosso. Anche F. li sottoscrisse, ma quando Bossuet pubblicò l'Introduction sur les états d'oraison e condannò la dottrina della Guyon, egli ne prese le difese, benché fino allora si fosse mostrato fedele e devoto al suo illustre maestro, e rispose pubblicando l'Explication des mammes des saints (1697), l'opera ove sono esposte le sue nuove dottrine. Meta dell'animo umano è lo stato di puro amor di Dio, staccato da ogni interesse, sia pure quello superiore dell'eterna salvezza, e ad esso l'animo perviene mediante l'abbandono alla divinità, l'orazione muta e la santa indifferenza che, per F., non è però l'inazione assoluta dei quietisti i quali ammettono la sospensione totale d'ogni atto della volontà. Contro questa dottrina, di dubbia ortodossia, reagì energicamente Bossuet. La lotta tra i due prelati si mantenne viva per oltre due anni attraverso scritti numerosi, finché il 12 marzo 1699 la Santa Sede, cui il F. si era direttamente rivolto per l'esame della sua opera, condannò le Maximes, non senza riluttanza da parte di molti degli esaminatori, come libro scandaloso e temerario. Esiliato a Cambrai per ordine di Luigi XIV, che aveva influito non poco sul giudizio di Roma, F. accettò la condanna che lo colpiva, con sottomissione di fedele cattolico; e rimase nella sua diocesi fino alla morte, attendendo ad opere di pietà e di dottrina (principale il Traité de l'existence de Dieu), pur senza trascurare gli avvenimenti che si seguirono durante il regno di Luigi XIV, specie quando, per la morte del Delfino, tutte le speranze si concentrarono sul duca di Borgogna. Già nel 1699 erano apparse clandestinamente Les aventures de Télémaque con cui l'autore si proponeva di ammaestrare il regale suo alunno attraverso il racconto avventuroso del viaggio che il giovane Telemaco compie sotto la guida di Mentore alla ricerca del padre. Quest'opera, che ci mostra F. innamorato dell'antichità e della natura, scrittore facile ed elegante, ricco di immaginazione e di grazia, se pur non sempre di forza e d'originalità, dovette il suo grande successo soprattutto ai principî politici esposti dall'autore e alle allusioni a personaggi contemporanei. La politica di F. come appare dal Télémaque, dai Dialogues des morts (scritti per il duca di Borgogna e pubblicati parte nel 1712 e parte postumi nel 1718) dall'Fxamen de conscience par un roi e dalle Tables de Chaulnes (scritti a Cambrai durante la guerra di successione spagnola), è politica di pace e di giustizia, essenzialmente ostile al militarismo di Luigi XIV, cui F. rimprovera, in una lettera famosa, le tristi conseguenze delle guerre egemoniche e le deplorevoli condizioni della Francia. Il senso d'una morale fatta di tolleranza e di lealtà, l'influenza di essa sulla politica, il culto della legge e del dovere sentito dal sovrano e dal popolo, la limitazione dell'assolutismo monarchico e la partecipazione intelligente della nazione al governo sono i principî che avvicinano F. ai riformatori del sec. XVIII, i quali videro in lui un precursore e un maestro. Innamorato della semplicità e della natura, egli esalta già quel primitivismo che sarà il sogno di Rousseau e celebra la serena vita dei campi, additando nell'agricoltura la fonte prima del vero benessere economico e morale.
Nel 1693 F. era entrato a far parte dell'Accademia e ad essa rivolse nel 1714 quella Lettre sur les occupations de l'Académie, che si può dire un trattato d'estetica, ed è, dopo l'Art poétique di Boileau, la più importante opera di critica letteraria di quel tempo. L'autore passa in rassegna i varî generi letterarî e ne esamina i difetti, deplorando soprattutto la povertà e l'astrattezza della lingua classica francese, la monotonia della versificazione, la mancanza di naturalezza, semplicità e sentimento nella tragedia e nell'eloquenza del suo tempo. I rimedî che suggerisce sono l'espressione del suo gusto e delle sue tendenze innovatrici: egli cerca di conciliare la semplicità con l'eleganza, la libertà con la misura, l'espressione immediata del sentimento con l'indagine filosofica dei fatti storici, il culto dei classici, specialmente dei classici greci, col senso nuovo della relatività del gusto.
Così, per varî aspetti, F. appare uno spirito irrequieto, indipendente, innovatore, che, sebbene figlio del più schietto classicismo, si protende avido verso il sec. XVIII di cui annunzia gli atteggiamenti più caratteristici. Le sue dottrine, specie quelle politiche, parvero ardite alla fine del sec. XVII, ma destarono eco profonda nel secolo seguente, ed esercitarono su legislatori e filosofi un'influenza tale da giustificare pienamente il culto che ne accompagnò la memoria.
Ediz.: Le migliori ed. delle Øuvres complètes di F. sono quelle di Versailles-Parigi 1820-1830, voll. 34 (22 di opere, 11 di corrispondenza, i d'indici). Delle Maximes des saints, ed. critica a cura di A. Chérel, Parigi 1911; del Télémaque, ed. a cura di A. Cahen, Parigi 1920, voll. 2.
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