VOLPI, Franco. –
Nacque a Vicenza il 4 ottobre 1952 da Mario e da Teresa Chilovi.
Studiò al liceo classico Antonio Pigafetta di Vicenza, dove ebbe come professore di filosofia Giuseppe Faggin – traduttore dell’Etica di Arthur Schopenhauer –, che gli trasmise la passione per la filosofia e lo indirizzò verso pensatori come Martin Heidegger, lo stesso Schopenhauer e Fried-rich Nietzsche. Ultimato il liceo, nel 1971 Volpi si iscrisse al corso di laurea in filosofia dell’Università di Padova, dove si formò con lo studioso di Aristotele Enrico Berti e il maestro di questo, Marino Gentile. Si laureò il 25 ottobre 1975 discutendo una tesi su Heidegger e Aristotele diretta da Berti, che ottenne la dignità di pubblicazione e nel 1976 fu accolta nella collana della Scuola di perfezionamento in filosofia dell’Ateneo patavino con il titolo Heidegger e Brentano. L’aristotelismo e il problema dell’univocità dell’essere nella formazione filosofica del giovane Martin Heidegger.
In questo saggio pubblicato a ventiquattro anni, primo dei centoquarantacinque scritti da Volpi, egli sostenne la tesi secondo la quale Heidegger, influenzato dalla dissertazione di Franz Brentano Il molteplice significato dell’essere in Aristotele, sarebbe caduto in un fraintendimento della nozione aristotelica dell’essere, interpretandola in senso univoco. E ciò non sarebbe rimasto senza conseguenze nello sviluppo successivo del pensiero heideggeriano. Infatti, nel volume Heidegger e Aristotele (Padova 1984) Volpi dimostrò come Heidegger fosse rimasto costantemente condizionato dall’interpretazione brentaniana di Aristotele e nel corso del suo itinerario filosofico avesse tentato sempre di restituire univocità all’essere, interpretandolo di volta in volta come ousìa, come alètheia e come Ereignis. Inoltre, Volpi avanzò anche la tesi secondo la quale Essere e tempo è un’appropriazione «vorace» – secondo la modalità tipica di Heidegger – dei concetti centrali della filosofia pratica di Aristotele.
In coerenza con i suoi studi su Heidegger e Aristotele, Volpi andò interessandosi anche del fenomeno della cosidetta rinascita della filosofia pratica (cfr. La rinascita della filosofia pratica in Germania, in Filosofia pratica e scienza politica, a cura di C. Pacchiani, Abano 1980, pp. 11-97).
In questo, e in successivi contributi dedicati allo stesso tema, egli si ricollegò alla tradizione neoaristotelica della filosofia pratica, ma sfrondandola dei suoi elementi politicamente conservatori e pervenendo a una sorta di «aristotelismo di sinistra». Come affermò nel saggio La riabilitazione della filosofia pratica e il suo senso nella crisi della modernità (in Il Mulino, XXXV (1986), 6, pp. 928-949), Volpi intese la filosofia pratica come «l’interesse per i problemi dell’agire umano, in particolare per le grandi questioni della morale, della società, del diritto, della politica, congiuntamente all’esigenza di riattivare in tutti questi ambiti una competenza critico-normativa della filosofia» (p. 934).
Ottenuta nel 1977 la specializzazione in filosofia presso l’Università di Padova, dopo essere stato ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) fino al 1980, Volpi divenne dapprima ricercatore e poi, dal 1987, professore associato di storia della filosofia presso l’ateneo patavino. Nel 1991 vinse una borsa di ricerca della Fondazione Humboldt e dal 1991 al 1997 tenne la cattedra di filosofia presso l’Università tedesca di Witten/Herdecke.
Il 18 giugno 1982 sposò a Vicenza Ruth Barbara Otte, dalla quale ebbe una figlia, Laura, nata a Würzburg il 24 febbraio 1986.
La dimensione internazionale fu una caratteristica peculiare dell’operosità filosofica di Volpi, personalità cosmopolita e poliglotta. Oltre ad aver insegnato a Witten, egli fu visiting professor a Laval in Canada (1989), Poitiers (1990), Nizza (1993, 2003), Valparaíso (1996, 2005), Santiago del Cile (1996, 2005), Lucerna (2002 e 2003), Staffordshire (2003), Città del Messico (2003, 2004, 2006), Córdoba in Argentina (2004), Bogotá (2004, 2006).
Nel 2000 Volpi vinse finalmente la cattedra di storia della filosofia contemporanea all’Università di Padova.
Alla metà degli anni Ottanta la casa editrice Adelphi gli affidò la direzione dell’edizione italiana degli scritti di Heidegger, nell’ambito della quale pubblicò, oltre a diversi testi minori, le traduzioni di Segnavia (1987), Il principio di ragione (con Giovanni Gurisatti nel 1991), Nietzsche (1994), I concetti fondamentali della filosofia antica (sempre in collaborazione con Gurisatti nel 2000) e Contributi alla filosofia (2007). Inoltre, per Longanesi, nel 2005, realizzò una nuova edizione di Essere e tempo, basata sulla classica traduzione di Pietro Chiodi. Frattanto, nel 1997, curò per Laterza la Guida a Heidegger, dotandola di un utile glossario e redigendo il capitolo dedicato alla presentazione della vita e delle opere del filosofo tedesco. Qui non mancò di affrontare la spinosa questione della compromissione di Heidegger con il nazismo, interpretandola come un «intermezzo politico» (pp. 35-37): in sostanza una sorta di breve incidente di percorso. Volpi tendeva a distinguere il pensiero del filosofo dalle sue prese di posizione politiche, sostenendo che «l’adesione di Heidegger al nazionalsocialismo non fu un fatto filosofico» (F. Volpi, Heidegger e la sua ombra, in Portofranco, 1988, n. 2, pp. 5 s.). Ma nel 1998, introducendo l’antologia di testi sul pensatore tedesco dei suoi celebri allievi ebrei, pubblicata da Donzelli con il titolo Su Heidegger. Cinque voci ebraiche, Volpi trovò accenti più prudenti e parlò di splendore e ombre di Heidegger, il quale «sia pure momentaneamente, mise il suo genio filosofico al servizio del Male», segno, questo, «di una ottusità politica imperdonabile per un pensatore del suo calibro» (p. VII). E, nel 2007, nella postfazione scritta insieme con Antonio Gnoli al libro di J.-P. Feinmann, L’ombra di Heidegger, poi ripresa nel volume di Bompiani I filosofi e la vita (Milano 2010), Volpi ammise infine che la compromissione del filosofo con il nazismo non fu solo un intermezzo o un errore frutto di ottusità politica, bensì «qualcosa che va al cuore della filosofia di Heidegger e tocca l’essenza stessa del suo pensiero» (p. 230).
Volpi non fu mai un ammiratore acritico di Heidegger e si mantenne sempre ben distante dalle forme deteriori di certa scolastica heideggeriana. E a mano a mano che procedeva con l’edizione italiana delle opere del filosofo tedesco, rese più problematico e sfumato anche il giudizio generale sul suo itinerario di pensiero.
In Heidegger e la sua ombra (cit.) non aveva avuto dubbi nel definirlo «il più grande pensatore del nostro secolo e uno dei più grandi maestri di pensiero» e ancora nella Guida a Heidegger, ebbe a scrivere che «svetta tra i filosofi del XX secolo» (p. 56). Tuttavia, già nell’introduzione a L’ultimo sciamano: conversazioni su Heidegger (Milano 2006, pubblicato insieme con Gnoli: cfr. p. 8), affermò che nella personalità del filosofo tedesco «convivono evidentemente anime agli antipodi e potenze inconciliabili tra loro. Quella dell’uomo di scienza, che conosce e pratica il rigore del concetto e dell’interrogazione, e al tempo stesso quella del pifferaio magico, del mistagogo, del seduttore che incanta con la sua musica e la sua parola». E nel 2007, allorché si accinse a pubblicare la traduzione italiana dei Beiträge zur Philosophie, Volpi scrisse un’introduzione contenente un paragrafo dal titolo Naufrago nel mare dell’essere, la cui pubblicazione fu impedita dal figliastro di Heidegger, che la ritenne troppo critica. Il testo apparve poi postumo, nel volume curato da Gnoli La selvaggia chiarezza. Scritti su Heidegger (Milano 2011), dove, in particolare, si legge: «Le sue geniali sperimentazioni linguistiche implodono, e assumono sempre più l’aspetto di funambolismi, anzi di vaniloqui [...]. La sua celebrazione del ruolo del poeta, una sopravvalutazione. Le speranze da lui riposte nel pensiero poetante, una pia illusione, La sua antropologia della Lichtung, in cui l’uomo funge da pastore dell’essere, una proposta irricevibile e impraticabile» (pp. 298 s.).
La pratica della traduzione per Volpi costituì sempre un’occasione per pensare insieme agli autori con cui si andava cimentando. In particolare, il lavoro di traduzione del Nietzsche di Heidegger indicò a Volpi una nuova linea di ricerca destinata a divenire per lui centrale: il nichilismo. Secondo l’interpretazione di Heidegger, Nietzsche è l’ultimo metafisico dell’Occidente, il filosofo il quale ha pensato fino in fondo il nichilismo.
Così, mentre attua un radicale rovesciamento della metafisica portandola fino al suo termine estremo, Nietzsche «apre, alle soglie del Novecento, interrogativi su una crisi, e sul suo possibile superamento, che fendono ancora come crepe l’autocomprensione del nostro mondo» (F. Volpi, Postfazione a M. Heidegger, Nietzsche, Milano 1994, p. 969). A questi interrogativi Volpi dedicò il volume laterziano Il nichilismo (Roma-Bari 1996; nuova ed. 2004). Non si tratta soltanto di un contributo di carattere storiografico, ma anche di un tentativo di fare i conti dal punto di vista teorico con quello che già Nietzsche aveva definito l’«ospite più inquietante» e di sperimentare la possibilità di un oltrepassamento del nichilismo. Ma la riuscita di tale oltrepassamento è per Volpi tutt’altro che scontata ed egli propone un «paradigma di pensiero obliquo e prudente, che ci rende capaci di navigare a vista tra gli scogli del mare della precarietà [...]. La nostra è una filosofia di Penelope che disfa (analyeí) incessantemente la sua tela, perché non sa se Ulisse tornerà» (p. 178).
Parallelamente al lavoro di traduzione degli scritti di Heidegger, Volpi diresse per Adelphi anche l’edizione degli scritti postumi di Arthur Schopenhauer, della quale nel 1996 uscì il primo volume contenente I manoscritti giovanili 1804-1818, tradotti da Sandro Barbera, e nel 2004 venne pubblicato il terzo volume dei Manoscritti berlinesi 1818-1830, tradotti da Gurisatti. Non si tratta di una semplice traduzione dell’edizione tedesca di riferimento, bensì di una nuova edizione critica che l’integra e la completa, interrottasi dopo il secondo volume e ancora in attesa di essere portata a compimento.
Con le sue ricerche su Schopenhauer Volpi inaugurò l’odierna rinascita degli studi sul pensatore tedesco in Italia, nell’ambito della quale Schopenhauer è visto non solo e non tanto come il filosofo del pessimismo, ma anche come maestro di saggezza pratica e teorico dell’etica laica della tolleranza e della solidarietà.
Insieme con il lavoro sui manoscritti, Volpi pubblicò – sempre per Adelphi – una fortunatissima serie di brevi scritti estratti dal Nachlass, destinati a cambiare radicalmente l’interpretazione stereotipata di Schopenhauer. Si tratta di L’arte di ottenere ragione (1991), L’arte di essere felici (1997), L’arte di farsi rispettare (1998), L’arte di insultare (1999), L’arte di trattare le donne (2000), L’arte di conoscere se stessi (2003), L’arte di invecchiare (2006). Anche in questo caso, attraverso il confronto con i testi di Schopenhauer, Volpi cercava in realtà la propria strada. Il risultato fu un cambiamento del suo modo di interpretare il concetto stesso della filosofia: la filosofia come saggezza di vita. Nell’introduzione del 2006 per L’arte di invecchiare, Volpi illustrò la nuova concezione della filosofia e del suo ruolo alla quale era pervenuto: «La filosofia non è soltanto la costruzione di un edificio teorico indifferente alla vita, ma è comprensione pratica della vita che le dà forma e la orienta. È saggezza e cura di sé» (p. 19).
Il 13 aprile 2009, mentre faceva una delle sue abituali escursioni in bicicletta, fu travolto da un’automobile a San Germano dei Berici (Vicenza). Morì il giorno dopo, il 14 aprile.
Nel 1996 aveva cominciato a collaborare alla pagina culturale di Repubblica e fu proprio tra le pagine di quel quotidiano che, quattro giorni prima della morte, apparve il suo ultimo intervento: Contro Nietzsche. L’accusa del papa al filosofo nichilista. Papa Benedetto XVI, durante un’omelia, aveva richiamato la figura di Nietzsche, accusandolo di relativismo e nichilismo, affermando che egli rappresenta «la superbia distruttiva e la presunzione che disgregano ogni comunità e finiscono nella violenza». Volpi rispose prendendo le difese di Nietzsche e del nichilismo con parole che, a posteriori, appaiono come una sorta di testamento filosofico: «Dopo che la storia ci ha insegnato che spesso il possesso della Verità produce fanatismo, e che un individuo armato di verità è un potenziale terrorista, vien fatto di chiedere: il relativismo e il nichilismo sono davvero quel male radicale che si vuol far credere? O essi non producono anche la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, quindi anche di ogni religione? E allora non veicolano forse il rispetto del punto di vista dell’altro e dunque il valore fondamentale della tolleranza? C’è del bello anche nel relativismo e nel nichilismo: inibiscono il fanatismo» (la Repubblica, 10 aprile 2009).
Fonti e Bibl.: E. Berti, F. V.: un allievo che è stato anche un maestro, in Iride, 2009, n. 2 (agosto) pp. 383-398; A. Gnoli, Spirito inquieto e anti-accademico, in la Repubblica, 15 aprile 2009; Id., Introduzione, in A. Gnoli - F. Volpi, I filosofi e la vita, Milano 2010, pp. 9-27; F. V. interprete del pensiero contemporaneo, Atti dell’Incontro internazionale di studio, Padova... 2009, a cura di G. Piaia - F. Todescan, Vicenza 2012; Ricordando F. V., Atti dell’Incontro internazionale di Lavarone... 2010, Lavarone [ma Pergine Valsugana] 2017; F. V. filosofo e amico, a cura di N. Curcio, Monticello Conte Otto (Vicenza) 2019; F. V. Il pudore del pensiero, a cura di G. Gurisatti - A. Gnoli, Brescia 2019.