RODANO, Franco.
– Nacque a Roma il 6 agosto 1920 da Giuseppe, funzionario tecnico (chimico) delle dogane, e da Angela Rodàno, seconda moglie e sorella della prima, prematuramente scomparsa. La coppia ebbe altre due figlie, oltre a Franco. Il nonno era stato un alto funzionario del ministero delle Finanze, e per un certo periodo collaboratore di Giovanni Giolitti.
Dovendo il padre girare l’Italia per lavoro, frequentò le elementari a Bologna, dove ebbe come compagno di classe Enzo Biagi. Tornato poi a Roma per il ginnasio, si iscrisse al liceo classico Ennio Quirino Visconti.
La sua formazione fu al contempo religiosa, grazie all’educazione familiare (soprattutto da parte della madre, piemontese, con una formazione dagli echi giansenisti), e laica a scuola.
La prima si sviluppò nella seconda metà degli anni Trenta nelle congregazioni mariane La Scaletta e Prima Primaria, presso S. Andrea al Quirinale, guidate dai padri gesuiti di S. Ignazio. In questo ambiente maturò una rigorosa spiritualità interiore, estesa fino alla continua ricerca della santità, affiancata da una fiducia nell’umano, nell’autonomia positiva della natura e quindi una propensione a conoscere e approfondire culture diverse. Si affacciò, allo stesso tempo, uno spirito critico verso il mondo esterno, che egli giudicava impregnato di conformismo, pigrizia mentale, meschinità, inteso per lo più come borghese.
Ma una consapevolezza critica della realtà politica espressa dal fascismo gli venne soprattutto dall’esperienza scolastica, dove, tra i professori, a cominciare dal preside Carlo Piersanti, non mancavano quelli che non tenevano nascoste le critiche al regime. Chi, in questo clima, lo accostò alla conoscenza del marxismo e lo introdusse negli ambienti antifascisti clandestini fu Paolo Bufalini, per un certo periodo insegnante supplente di storia e filosofia.
Tra i compagni di scuola vi era anche Maria Lisa (detta Marisa) Cinciari, che il 13 febbraio 1944 diventò sua moglie e che negli anni emerse come esponente di rilievo del movimento di emancipazione della donna e del Partito comunista italiano (PCI), diventando presidente dell’Unione donne italiane, parlamentare, vicepresidente della Camera dei deputati, deputata europea dal 1979 al 1989. Ebbero cinque figli: Giaime, Giorgio, Paola, Andrea e Giulia. Il primo venne alla luce in piena clandestinità.
Con l’entrata dell’Italia in guerra si intensificò l’impegno dell’antifascismo e Rodano cercò di mettere in piedi un’esperienza politica che garantisse la fede cattolica nell’ambito di un’organizzazione laica. Con altri amici credenti (tra cui Adriano Ossicini e Paolo Pecoraro, che venivano da esperienze più legate alla tradizione del Partito popolare) fondò nel 1941 il Partito cooperativista sinarchico, embrione assai originale, già nella denominazione, di quello che sarà l’anno successivo il Partito comunista cristiano.
Nel 1942 scrisse sotto pseudonimo articoli sull’Osservatore romano. L’anno dopo, il 18 maggio, venne arrestato dalla polizia fascista, ma con il 25 luglio 1943 tornò in libertà.
Nel frattempo si intensificarono i rapporti con il gruppo dei comunisti romani, e con Mario Alicata e Pietro Ingrao fece parte del triunvirato che univa le due esperienze clandestine del PCI e dei comunisti cristiani. Durante l’occupazione nazista di Roma, collaborò con altre espressioni dell’antifascismo romano e strinse amicizie intense con due personaggi che diventarono per lui fondamentali, anche sul piano dell’elaborazione teorica: Giaime Pintor e Felice Balbo.
Mentre era in clandestinità e in piena guerra partigiana fu tra i fondatori del Movimento dei cattolici comunisti, che può essere considerato l’approdo a una fase più avanzata nell’elaborazione teorica e nella prassi politica per i giovani a lui legati.
Con questa formazione politica, pur non essendo arrivati ancora a una piena maturità, si superarono però due limiti delle fasi precedenti: l’idea del partito (inevitabilmente portato a concorrere con i partiti potenzialmente di massa e in particolare con quello comunista) e l’idea decisamente integralista, di un connotato cristiano sul piano della politica; limite non a caso già allora imputato alla Democrazia cristiana (DC). In sostanza si esplicitò la volontà di essere una componente del movimento operaio e non di quello cattolico.
Nel frattempo Rodano approfondì i capisaldi del marxismo, tradusse dal francese Principi del leninismo di Iosif V. Stalin, per uso interno, e si confrontò con la lettura crociana del pensiero di Karl Marx. Di sicuro rilievo fu la scelta della tesi di laurea su Antonio Labriola, il massimo esponente del marxismo italiano prima di Antonio Gramsci, il quale aveva operato una sorta di distinzione tra materialismo storico e materialismo dialettico. Tale separazione, infatti, almeno all’apparenza, avrebbe potuto rendere possibile un’ulteriore distinzione (che Rodano però superò ben presto) tra marxismo come strumento di interpretazione della storia e marxismo come visione filosofica.
Sul piano del percorso politico il passo successivo (e ultimo frutto di compromessi interni), fu quello del Partito della sinistra cristiana che sul piano teorico segnò un passo indietro, con la riproposta di equivoci integralisti già visti, come quello dell’uso del termine cristiano come aggettivo. Determinante fu allora lo scioglimento della formazione, alla fine del 1945, ormai in piena vita democratica, con il conseguente ingresso di Rodano e di quelli a lui più vicini (Balbo, Giorgio Sebregondi, Tonino Tatò, Mario Motta, Filippo Sacconi, Luciano Barca, Gabriele De Rosa e altri ancora), nel PCI, con la speranza che il togliattiano ‘partito nuovo’ lo avrebbe liberato dai ‘miti’ ideologici.
Intanto, tramite Balbo, arrivò a lavorare presso la casa editrice Einaudi. Nel 1946 trovò un’occupazione anche presso l’ufficio studi della Banca commerciale, dove tra l’altro stese, con Raffaele Mattioli (che si era interessato a lui per alcuni articoli sull’IRI, apparsi su Voce operaia) e Giovanni Malagodi, un promemoria sull’economia italiana destinato a Palmiro Togliatti, con cui, nel frattempo, era entrato in amicizia e confidenza.
Negli stessi anni fu responsabile della redazione romana del Politecnico di Elio Vittorini e fino al 1952 fece parte della redazione di Rinascita, firmando a volte con pseudonimi. Per un articolo riguardante le condizioni economiche del basso clero, alla fine del 1947 ricevette l’ingiunzione a ritrattare tramite decreto della Sacra congregazione del Concilio per aver violato un articolo del diritto canonico. Di fronte al suo rifiuto fu escluso dai sacramenti e dalla sepoltura ecclesiastica. L’interdizione fu ritirata solo dopo il Concilio vaticano II.
In quel periodo si rafforzò il legame con don Giuseppe De Luca, con cui aveva instaurato un solido rapporto sin dal 1943, e che lo aiutò sul piano spirituale in un momento davvero difficile, nel quale visse piuttosto appartato. I suoi interventi pubblici furono per lo più con articoli o saggi anonimi o firmati con pseudonimi.
Tra il 1951 e il 1952 promosse con Balbo e Cesare Pavese la rivista Cultura e realtà. Fu l’ultima iniziativa in comune con Balbo, da cui si distaccò presto con sofferenza quando questi uscì dal PCI accostandosi ai dossettiani.
Negli anni successivi, grazie all’interessamento di Mattioli, Rodano collaborò con lo Spettatore italiano, rivista promossa de Elena Croce e Raimondo Craveri. Successivamente scrisse anche, con vari pseudonimi, sul Dibattito politico, rivista fondata da Ugo Bartesaghi e Mario Melloni (il futuro Fortebraccio), a cui collaborarono Giuseppe Chiarante, Ugo Baduel e Lucio Magri.
A seguito della ‘destalinizzazione’ avviata da Nikita Kruscev pubblicò nel 1957 un saggio su Nuovi Argomenti, criticando tale scelta, priva di capacità egemonica nella nuova fase neocapitalista. Colse però l’opportunità dei tempi nuovi favorendo, nel 1961, con un incontro a casa sua tra don Giuseppe De Luca e Togliatti, l’avvio della distensione, simboleggiato poi dagli auguri di Kruscev a Giovanni XXIII per il suo compleanno.
Nel 1962 iniziò con Claudio Napoleoni l’esperienza della Rivista trimestrale.
Politicamente si propose di giudicare il centrosinistra senza occhi preconcetti e quindi di coglierne gli aspetti positivi. Proprio su questo tema entrò in polemica con Togliatti, viceversa assai critico per la pregiudiziale anticomunista all’origine di tale esperienza. Altri temi, propri di questa rivista, che costituì senz’altro il suo maggior impegno editoriale, furono la critica della ‘società opulenta’, la rivalutazione del filone liberale del Risorgimento, la revisione di alcuni fondamenti teorici del marxismo, la rivalutazione del concetto di lavoro e altri ancora.
Nel 1971 si ruppe l’intesa con Napoleoni, tanto che si arrivò alla chiusura della rivista. Rodano iniziò allora una collaborazione con Settegiorni, periodico per il quale scrisse, con lo pseudonimo di Ignazio Saveri, le Lettere dalla Valnerina, indirizzate al direttore Piero Pratesi, poi raccolte in un volume (Vicenza 1986). In esse si apprezzava il cattolicesimo della Controriforma, che avrebbe creato il terreno più fertile, in area mediterranea, per l’affermazione di esperienze come quelle dei partiti comunisti e per il loro progressivo distacco dall’ideologia verso la laicità.
Nel 1972 riprese l’esperienza di dieci anni prima con la testata Quaderni della Rivista trimestrale, diretti dal genero Mario Reale, con un gruppo di giovani studiosi per redazione. Rodano vi pubblicò diversi saggi, poi raccolti nei volumi Sulla politica dei comunisti (Torino 1975), Il pensiero di Lenin da ideologia a lezione (Torino 1980), Questione democristiana e compromesso storico (Roma 1977). Negli stessi anni intraprese una collaborazione con il quotidiano Paese sera, dove scrisse articoli sull’attualità con cadenza settimanale.
Consigliere di Enrico Berlinguer, non sempre si ritrovò in piena sintonia con il segretario del PCI, specie quando vedeva nella sua proposta del compromesso storico una scarsità di elaborazione teorica e una riduzione al solo terreno politico. Rodano avvertiva viceversa la necessità di avviare una strategia di largo respiro, di andare oltre le divisioni ideologiche prefigurando il superamento dei tre partiti storici (PCI, Partito socialista e DC) in un unico partito. Soprattutto riprese un tema che già aveva elaborato negli anni Cinquanta, ovvero il limite corporativo della democrazia.
La nuova fase della democrazia, quella che si apriva e si sviluppava con gli anni Settanta, avrebbe dovuto portare a un’ulteriore tappa della ‘democrazia dei partiti’, e non certo a un democraticismo diffuso. Era necessario, certo, conservare il pluralismo nelle istituzioni, ma questo non necessariamente avrebbe dovuto corrispondere a un pluralismo politico, troppo spesso artificiale e non all’altezza delle grandi sfide storiche. Per queste sfide era necessaria una grande unità di popolo, conseguita liberamente e in grado di convergere verso una nuova epoca.
Dopo il rapimento e poi l’uccisione, il 9 maggio 1978, di Aldo Moro (a cui aveva dedicato attenzione privilegiata), cercò di dare risposte al declino del PCI, criticando lo strappo con l’Unione Sovietica e la deriva socialdemocratica che ne sarebbe derivata.
Morì per una crisi cardiaca il 21 luglio 1983 a Monterado (Ancona).
Al funerale cattolico partecipò ufficialmente anche la locale sezione del PCI. Dopo la sua morte i più fedeli collaboratori (Vittorio Tranquilli tra tutti) raccolsero alcuni suoi scritti in volumi di grande interesse teorico: Lezioni di storia possibile: le lettere di san Paolo e la crisi del sistema signorile, a cura di V. Tranquilli - G. Tassani, Genova 1986; Lezioni su servo e signore: per una storia postmarxiana, a cura di V. Tranquilli, Roma 1990, in cui sono raccolti gli interventi tenuti alla Scuola italiana di scienze politiche ed economiche tra il 1968 e il 1969; Cattolici e laicità della politica, a cura di V. Tranquilli, Roma 1992 (con una raccolta di articoli apparsi nel Paese Sera). Più recentemente il suo biografo Marcello Mustè ha curato la pubblicazione della raccolta di articoli Cristianesimo e società opulenta (Roma 2002), mentre Lucio D’Ubaldo ha riproposto il Ricordo di Giaime Pintor (di F. Rodano - F. Balbo, Roma 2013).
Fonti e Bibl.: C.F. Casula, Cattolici comunisti e Sinistra cristiana, Bologna 1976; A. Del Noce, Il cattolico comunista, Roma 1981; Ricordo di F. R., in Quaderni della Rivista trimestrale, 1983, n. 75-77, pp. 88-91; M. Papini, Tra storia e profezia. La lezione dei Cattolici comunisti, Roma 1987; C. Napoleoni, Cercate ancora. Lettera sulla laicità e altri scritti, Roma 1990; M. Mustè, F. R., Bologna 1993; M. Papini, La formazione di un giovane cattolico nella seconda metà degli anni trenta. F. R. tra la Congregazione mariana «La Scaletta» e il liceo Visconti (1935-1949), in Cristianesimo nella storia, 1995, n. 16, pp. 553-586; M. Rodano, Del mutare dei tempi, I, L’età dell’inconsapevolezza il tempo della speranza 1921-1948; II, L’ora dell’azione la stagione del raccolto 1948-1968, Roma 2008; M. Papini, Rodano cattolico comunista, in F. R., la politica tra eredità culturale e testimonianza civile, a cura di A. Bianchini et al., Ancona 2016.