FRANCIOTTI (Franchetti, Franciotto) Nicolao (Niccolò,Nicolas)
Nacque a Lucca, probabilmente nel 1493, da Stefano di Gian Piero e da Angela di Battista di Poggio.
La famiglia paterna, che traeva le proprie origini da Carrara, aveva commerci e banchi a Lucca, Avignone, Lione, Londra e Alessandria d'Egitto, mentre la famiglia materna era fra le principali del patriziato cittadino. Come afferma il cronista Gherardo Burlamacchi (p. 93), il F. "fu dal principio mercante, poi studente, soldato, poeta e capitano honorato". Non è quindi da confondersi (cfr. C. Sardi, 1882 e 1902) con il lontano congiunto Niccolò, figlio di Giovanfrancesco di Galeotto e di Luchina Della Rovere, nipote di Sisto IV, il quale morì invece in giovane età.
La principale fonte per ricostruire le vicende del F. è costituita dalla corrispondenza con P. Aretino; questa, che ebbe durata ventennale (1533-53), si compone di sette lettere del F. all'Aretino e di trentuno dell'Aretino al F., dalle quali si ricava che l'amicizia fra i due fu più intrinseca e calorosa, ricorrendo sovente nelle lettere dell'Aretino l'appellativo di "figlio" e in quelle del F. quello di "padre", non giustificati da alcuna rimarchevole differenza di età esistente fra loro. La corrispondenza iniziò il 20 giugno 1533 con una lettera scritta dal F. all'Aretino da Padova, dove il lucchese, che nel 1528 aveva già preso gli ordini minori, si trovava insieme con il concittadino G.B. Bernardi. Questi, che nello stesso anno si addottorava in legge, probabilmente lo aveva introdotto presso il celebre letterato, allora residente a Venezia.
Nel 1537 il F. passò in Francia al servizio del fuoruscito fiorentino Piero Strozzi e forse in questo periodo compì una missione presso il sultano per i Francesi. Nel 1538 si trovava a Nizza in compagnia del lucchese Giovanni Guidiccioni, vescovo di Fossombrone, al seguito di Paolo III, che era convenuto a trattare la tregua fra Carlo V e Francesco I. Poco prima, come si apprende da una sua lettera scritta all'Aretino in quell'occasione, il F. si era recato al Cairo e "quasi per tutti i luoghi di quei paesi" (Lettere scritte a Pietro Aretino, I, 1, p. 305).
Il F. negli stessi anni era entrato, insieme con il concittadino Giuseppe Iova, a far parte dell'Accademia romana dei Vignaiuoli, distinguendosi come "meraviglioso dicitore d'improvviso" (Lettere facete, p. 30). L'Aretino, che conferma tale fama in una lettera al Falloppia (15 marzo 1542), anche in seguito mostrò di tenere in gran conto l'opinione del F. come letterato. La corrispondenza fra i due si fece particolarmente intensa allorché, fra la pace di Crépy (1544) e la disfatta protestante di Mühlberg (1547), Venezia divenne crogiuolo di utopie e velleità insurrezionali antispagnole e filoprotestanti. In questa città il F. si trovava durante la Pasqua del 1546, forse al seguito degli Strozzi, e probabilmente si incontrò con il mercante lucchese Francesco Burlamacchi venuto a prendere accordi con i fuorusciti fiorentini per portare a termine la propria congiura antimedicea. Lo scambio epistolare con l'Aretino testimonia inoltre il maturarsi della crisi religiosa che avrebbe condotto più tardi il F. ad abbracciare la fede calvinista. In particolare già nel novembre 1545 si era espresso duramente contro Paolo III ("le chimere di papa Paolo sono i buffoni della sua fortuna": P. Aretino, Lettere, III, p. 266v), trovando il pieno consenso dell'Aretino, che riprendeva in quel periodo l'attività pasquinesca ai danni del pontefice. Successivamente, nel maggio 1548, il F. si confessò e comunicò da Giuliano da Colle ovvero l'agostiniano Giuliano Brigantino, a quel tempo fortemente sospettato di eresia, intratteneva rapporti anche con il protettore di quest'ultimo, l'agostiniano eterodosso Andrea Ghetti da Volterra.
Il F. compare in questo periodo anche negli scritti del letterato Ortensio Lando, che gli attribuisce sentimenti di intensa spiritualità cristiana ("Egli non mirò mai né mai fu d'altra bellezza contemplatore che di quella dello spirito", in Lettere di molte valorose donne, p. 101r).
Nel frattempo la posizione del capitano lucchese presso la corte di Francia si veniva notevolmente rafforzando, al punto che, dal 1548, egli appare come l'intermediario ufficiale fra i sovrani di Francia, Anne de Montmorency, contestabile di Francia, Antonio di Borbone e l'Aretino, che, a partire dal 1541, senza alcun impegno politico, aveva ripreso contatti assai vivi con la corte di Francesco I. Contemporaneamente si faceva anche intermediario dell'Aretino con quei fuorusciti fiorentini come Luigi Alamanni o quei letterati come Gabriele Cesano, il cui astro veniva crescendo in Francia grazie a Caterina de' Medici.
La fortuna del F. fu segnata dalla guerra di Siena, nella quale rivestì un ruolo notevole. Innanzitutto egli fu l'agente che nel 1552, durante i preliminari della rivolta senese, agì da intermediario fra i fuorusciti fiorentini e i Senesi, potendo godere della loro piena fiducia. Quindi, nel giugno 1554, venne inviato da Piero Strozzi a Lucca, dove negoziò con esito favorevole le condizioni del transito delle truppe strozziane attraverso il territorio della Repubblica e la fornitura di vettovaglie. In tale occasione, secondo il cronista Giuseppe Civitale, il F. avrebbe cercato inoltre vanamente di persuadere, grazie alla propria eloquenza, i concittadini a passare nel campo francese e a favorire lo Strozzi. Si ignora quali siano state le vicissitudini del F. dopo la disfatta dei fuorusciti e la caduta di Siena; rari furono senz'altro anche in seguito i suoi rapporti con la madrepatria, dove lo troviamo nel novembre 1556. Sicuramente il F. rimase al servizio della corte di Francia, perché, riferendosi ad avvenimenti occorsi nel 1573, La Popelinière, storico delle guerre di religione in Francia, parla di lui come "ancien serviteur de la couronne et remarqué d'avoir bien fait son devoir en plusieurs charges que les Rois François Ier, et Henri II lui avaient donné depuis 50 ans: notamment en dix honorable ambassades qu'il avait mis à fin pour eux vers des plus grands princes de l'Europe" (L'histoire de France, II, p. 181).
Nel frattempo l'adesione al calvinismo aveva procurato al F., l'8 maggio 1569, una denuncia dell'Inquisizione romana all'Offizio sopra la religione di Lucca, ma a quell'epoca egli si trovava già in Inghilterra. Il 28 febbr. 1570 figura in una lista di lucchesi banditi dalla città religionis causa e nello stesso anno è annoverato fra gli abitanti di Ginevra. Nel 1572, in un dispaccio al governatore di Milano, è menzionato come fuggitivo da La Rochelle assediata. Giunto quasi al termine della propria esistenza il F., grazie alle proprie qualità oratorie, svolse un ruolo da protagonista negli avvenimenti che condussero Carlo IX a concedere nel luglio 1573 un nuovo editto di pacificazione. Nel giugno di quell'anno infatti Lancelot du Voësin, signore de La Popelinière, e il F. si fecero portavoce presso Carlo IX di coloro che, scampati al massacro della notte di S. Bartolomeo, si erano rifugiati a Londra, fra i quali Jean de Ferrières, visdomino di Chartres e il conte Gabriel di Montgomery, difensore di La Rochelle. Giunto a corte allo scopo di trattare le condizioni del loro rientro, il F. pronunciò, in presenza di Carlo IX, un'ampia orazione in favore della libertà di coscienza e della salvezza delle vite degli esuli, il cui testo, conservato in originale tra le carte della Corona inglese, La Popelinière pubblicò per intero.
Il F. morì a Lione, probabilmente nel 1575, come si desume da un processo che il fratello Battista intentò al monastero di S. Giorgio per un lascito di 4.305 scudi d'oro, destinati dal capitano lucchese nel suo testamento alle proprie nipoti, entrambe religiose in quel monastero.
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