CASTIGLIONI, Franchino
Nacque, probabilmente alla fine del secolo XIV, a Parma da Pierantonio, di nobile e illustre famiglia milanese, e da Valentina Visconti. Compì gli studi giuridici e si addottorò in utroque iure, ma non risulta che abbia mai insegnato nell'università di Pavia, come invece hanno sostenuto numerosi suoi biografi. La prima carica ricoperta dal C. fu quella di deputato alla Fabbrica del duomo di Milano, nel 1418. In quegli anni Filippo Maria Visconti, duca di Milano, stava realizzando, dopo aver ottenuto l'investitura imperiale, la riconquista dei territori lombardi già appartenuti allo Stato visconteo, e la diplomazia milanese aveva ottenuto un brillante risultato con la stipulazione, il 10 maggio 1419, del trattato con Genova. Quando nel 1422 il duca, ottenuta la capitolazione di questa città, vi inviò quattro vicari, il C. fu uno di essi e rimase a Genova quale governatore ducale dal 31 marzo al 5 dicembre. Alla fine di febbraio dell'anno successivo fu inviato "ad cognoscendum, decidendum et terminandum rixas, lites…" a Crema, recuperata dal Visconti dopo che era stata abbandonata il 25 gennaio, da Giorgio Benzoni. In un mese di soggiorno nella città assolse al compito affidatogli e provvide che il trapasso dei poteri si svolgesse senza turbamenti. Nel maggio successivo l'intervento del duca di Milano a Forlì, giustificato dallo scoppio di tumulti nella città, di cui era signore il fanciullo Teobaldo Ordelaffi affidato al Visconti dal padre, aveva allarmato ed insospettito la Repubblica fiorentina, che pure era legata a Milano dal trattato di alleanza dell'8 febbr. 1420. Per rabbonire gli alleati, il C. fu inviato nell'agosto a Firenze, da dove peraltro non poté impedire che scoppiassero nel mese seguente le ostilità in Romagna. Sino a tutto il 1424,mentre gli scontri si susseguivano, l'attività diplomatica non ebbe soste.
Nel gennaio di quell'anno il C., insieme con Giacobino d'Iseo ed il segretario ducale, Giovan Francesco Gallina, fu inviato presso il marchese Niccolò III d'Este, nel tentativo di avviare attraverso di lui trattative di pace; nell'agosto si recò di nuovo a Firenze; nel novembre era a Bologna per concordare la restituzione ai Malatesta delle fortezze occupate dal Visconti in Romagna. A questo fine ricevette il 25 febbr. 1425 una procura per trattare con i Malatesta con l'arbitrato del papa. Nel frattempo le pressioni esercitate a lungo da Firenze sulla Repubblica veneta per trarla dalla neutralità e convincerla a schierarsi al suo fianco, nonostante il trattato di alleanza stretto il 4 giugno 1420 con Milano, stavano per sortire i loro effetti: invano il C., che nel giugno del 1425 aveva rapidamente assolto ad un incarico del duca recandosi a Genova, fu inviato a Venezia nell'agosto, per cercare di scongiurare l'intervento armato della Serenissima. Un altro tentativo di arrivare alla cessazione delle ostilità fu compiuto verso la fine dell'anno dai diplomatici viscontei. Con istruzione e procura del 25 ottobre, il C. e il Gallina si recarono a Roma per trattare la pace, arbitro il pontefice, con gli ambasciatori fiorentini; dai colloqui erano però esclusi i legati veneziani.
Essi ripartirono da Roma a metà dicembre senza essere riusciti nello scopo, quando ormai Venezia e Firenze si erano strette in una lega antiviscontea (4 dicembre). Il duca di Milano non poté che protestare vanamente con i vicini orientali, ai quali inviò il C. nel gennaio del 1426, alla vigilia della pubblicazione (27 gennaio) dell'accordo veneto-fiorentino. Con l'ambasciatore milanese, tuttavia, i responsabili del governo veneziano sostennero che il trattato del 1420 si doveva intendere solo difensivo nei confronti dell'imperatore: non impegnava dunque i contraenti nelle questioni riguardanti la politica italiana. A queste giustificazioni speciose il C. replicò proponendo che la controversia fosse sottoposta all'arbitrato del marchese di Ferrara; il che fu accettato. Il 12 febbraio il C. ricevette la procura non solo per trattare, ma anche per stringere lega, consentendolo le circostanze, sia con Venezia che con Firenze. Alla fine del mese i rappresentanti dei due Stati si incontrarono a Ferrara. I milanesi (il C. era coadiuvato da Corrado del Carretto) ricevettero dai veneziani richieste talmente dure che si dichiararono non autorizzati a trattare su tali basi; chiesero tempo per ricevere ulteriori istruzioni, ma gli avversari, sospettando manovre dilatorie, interruppero i colloqui. Il 28 marzo la Cancelleria viscontea fornì al C. e al Gallina un'altra procura che li autorizzava a concludere lega od accordo di qualsiasi specie con i due Stati alleati, attraverso la mediazione del pontefice. Il C. ricevette poi, in data 26 ottobre, un'altra procura per trattare con Venezia, con Firenze e con il ducato di Savoia, entrato anch'esso, nell'agosto, in guerra contro Milano. L'andamento sempre meno felice della guerra spingeva il Visconti a ricercare con perseveranza un accordo. Vi si arrivò, a Venezia, il 30 dicembre. Delegati per Milano furono il C. e Giovanni Corvino, che ottennero per il duca condizioni, date le circostanze, non troppo sfavorevoli. La pace, alla ratifica della quale a Milano il 12 febbr. 1427 il C. fu uno dei testimoni, si rivelò meno che effimera, perché al momento della consegna delle fortezze accordate dal trattato a Venezia, i castellani viscontei, cui erano affidate, opposero un rifiuto. Furono riprese le ostilità ed il 12 ottobre si giunse alla battaglia di Maclodio, il cui esito disastroso convinse il duca di Milano ad acconciarsi a trattare col duca di Savoia. Il C. fu uno dei quattro procuratori che, per conto del duca di Milano, il 2 dicembre conclusero la pace fra il duca Amedeo VIII e Filippo Maria Visconti, che, ormai a discrezione degli avversari, si impegnava, fra l'altro a cedere Vercelli,ed a sposare Maria di Savoia. La coesione fra gli alleati era, dopo la ratifica del trattato, svanita; ciononostante la pace generale, che venne conclusa a Ferrara al principio dell'anno successivo e per la quale furono procuratori per il duca di Milano il C. ed il Corvino, fu durissima per lo Stato visconteo. Il 3 maggio il C. fu uno dei testimoni della ratifica; il 6 aprile era stato presente anche alla stipulazione della lega stretta fra il duca e Gian Giacomo, marchese del Monferrato. Il C. non esplicò tuttavia la sua attività al servizio dei Visconti soltanto nel campo diplomatico; fu testimone in molti atti di infeudazione e firmò le condotte di molti capitani viscontei, quali Luigi Dal Verme, Niccolò Piccinino, Guidantonio Manfredi, Taliano Furlano e Francesco Sforza. Da quest'ultimo, nel maggio del 1430, ricevette la promessa di tornare ai servizi del duca di Milano, nonostante fosse allora agli stipendi di Paolo Guinigi. Il 2 ottobre dello stesso anno scrisse una relazione al duca, in cui egli specificava quali doveri e poteri dovessero attribuirsi ad un luogotenente e quali ad un capitano ducale.
Alla fine del 1430, quando giunsero a Milano gli ambasciatori imperiali, il C. fu incaricato di accoglierli onorevolmente, La venuta di Sigismondo in Italia, infatti, era allora ardentemente attesa da Filippo Maria, che, dopo essersi già scontrato con Firenze a causa dell'annessione di Lucca, si sentiva minacciato sempre di più dalla incombente pressione veneziana. Il C. fu incaricato di accogliere gli oratori. A lui ed a Guarniero Castiglioni nel gennaio 1431 il duca sottopose, perché le valutassero, le richieste di Sigismondo in vista del suo viaggio in Italia. Cominciata nello stesso mese la guerra con Venezia e prima che il duca di Savoia intervenisse in favore di Milano, il C. fu incaricato, nell'aprile, di discutere un trattato d'alleanza con Siena. Il 28 luglio ricevette dal duca l'ordine di provvedere al rinnovo dei patti con l'imperatore, il cui annunciato e tanto atteso arrivo in Italia pareva finalmente avviato a realizzarsi. Però Filippo Maria Visconti non assistette alle solenni cerimonie per l'incoronazione di Sigismondo: preferì infatti ritirarsi nel suo castello di Abbiategrasso per tutto il periodo di tempo in cui il re rimase a Milano. Tuttavia, quando Sigismondo, il 17 dicembre, lasciò Milano, il duca ordinò ad alcune illustri personalità, fra cui l'arcivescovo della città e Guarniero Castiglioni, di accompagnarlo a Piacenza, dove era diretto. Al C., che non sappiamo per quale ragione si voleva esimere da questa incombenza, il duca impose di obbedire e di partire con gli altri, poiché il suo ufficio di guardasigilli maggiore (carica che non si sa da quando detenesse) richiedeva la sua presenza presso il re. Il 4 febbraio ed il 12 marzo 1432 seguirono altri due ordini del Visconti, che ingiunsero agli stessi autorevoli milanesi di seguire il re a Parma ed a Reggio, dove si sarebbe dovuto trattare la pace con Venezia.
Nell'ottobre il C. era di nuovo a Milano e qui ricevette, insieme con Guarniero Castiglioni, Francesco Barbavera e Luigi Crotti, l'incarico di accogliere gli ambasciatori sabaudi, giunti a Milano e diretti a Ferrara per le trattative della pace che sarebbe stata firmata il 26 aprile dell'anno successivo. Dopo la pace di Ferrara, Filippo Maria, sempre più ostile a Venezia ed a Firenze, nemico orinai anche dell'imperatore e del papa, dopo che si era impadronito, all'inizio del 1434, di buona parte della Romagna, non poteva che tendere a stabilire un accordo con il duca di Savoia: infatti, i contatti diplomatici tra i due principi divennero sempre più serrati, fino a che si giunse il 14 ott. 1434 ad un trattato stipulato in Milano, alla cui firma fu testimone anche il C., che, sebbene fosse stato presente anche alla stipulazione delle convenzioni fra il Visconti ed il marchese del Monferrato il 29 gennaio di quell'anno, pure non ebbe una parte molto attiva nelle trattative con i rappresentanti del duca di Savoia. Vi partecipò soltanto nel giugno, quando sostituì Guarniero Castiglioni indisposto; il 7 settembre, inoltre, si recò ad accogliere fuori della città gli ambasciatori sabaudi, giunti di nuovo a Milano.
Costituita, il 29 maggio 1436, la lega antiviscontea fra Genova, Venezia e Firenze, che aveva fatto seguito alla sollevazione di Genova, conseguenza a sua volta della sconcertante liberazione di Alfonso d'Aragona da parte di Filippo Maria Visconti, ed iniziatesi dopo alcuni mesi le ostilità, il duca di Milano mise immediatamente in atto tutti gli espedienti diplomatici per pervenire alla pace, mentre contemporaneamente iniziava le trattative per sottrarre alla lega il capitano Francesco Sforza, cui aveva promesso in sposa la figlia fin dal 1431. Nel 1436 il Visconti più volte, fra il luglio ed il settembre, munì il C. di procure per avviare trattative di pace con gli alleati; col medesimo fine, del resto, già nel gennaio il C. si era recato anche a Bologna. Il 31 dic. 1438, il Visconti, stretto allora nei lacci dei suoi stessi intrighi, incaricò Franchino e Guarniero Castiglioni di offrire allo Sforza l'immediata consegna della sposa; consegna che poi fu naturalmente rimandata sine die. Quando però, dopo un abboccamento degli ambasciatori delle parti belligeranti, nell'agosto del 1441, al campo di Cavriana, vennero finalmente fissate le nozze per la terza decade di ottobre, Niccolò Arcimboldo ed il C. scortarono presso il condottiero Bianca Maria; il C. pronunziò l'orazione nuziale. Il 6 ottobre egli aveva consegnato al conte Francesco Sforza la città di Cremona, che costituiva la dote della figlia del duca. Inoltre il C. fu creato il 20 novembre procuratore del Visconti per la pace di Cavriana, che venne poi firmata il 10 dicembre. Nel 1443 fu inviato di nuovo a Cremona a sedare alcune discordie che vi erano sorte, e, in quello stesso anno, fu uno dei tre diplomatici incaricati di dare udienza agli ambasciatori di Alfonso d'Aragona. I tre milanesi avevano un compito complicato, poiché dovevano convincere gli oratori aragonesi dell'opportunità di indurre il loro sovrano a desistere dall'offensiva scatenata dai suoi generali nelle Marche contro lo Sforza, a cui il duca si era riavvicinato, tanto che aveva stretto nella stessa epoca un'alleanza in funzione antiaragonese con Venezia e Firenze. Due anni più tardi, tuttavia, il Visconti, venuto nuovamente in urto col genero, ricercava alleanze per fiaccarne la potenza. A questo scopo, il 27 settembre creò procuratore il C. (insieme a Guarniero) per avviare i negoziati con il marchese di Mantova in vista di un trattato di alleanza, che fu in effetti firmato a Milano nella stessa casa del C., a Porta Vercellina. Nello stesso anno egli fu ascritto al Collegio dei giureconsulti della città.
Morto Filippo Maria Visconti (13 ag. 1447), il C. fece parte del Consiglio generale della Repubblica ambrosiana: nel 1448, dopo la conquista di Piacenza da parte di Francesco Sforza, assolse all'incarico di recarsi a Bergamo, insieme con altri oratori, nel tentativo, fallito, di cercare un accordo con i Veneziani. Il 27 marzo dello stesso anno, insieme con altri illustri personaggi incaricati dall'ottobre precedente di procedere alla fondazione di uno Studio in Milano, aveva inviato ai capitani e difensori della libertà il rotolo contenente i nomi dei professori designati ad insegnare nella costituenda università. Il 18 gennaio dell'anno successivo il C. ricevette dal Consiglio dei novecento una procura per trattare la pace con Venezia.
Immediatamente dopo l'occupazione di Milano da parte di Francesco Sforza (febbraio 1450), il C. venne immesso nel Consiglio ducale. Ciononostante la sua attività pubblica cessò, poiché non si hanno nel periodo sforzesco altre sue notizie, se si eccettua la restituzione da lui ottenuta dopo la pace di Lodi di un feudo che gli era stato concesso dai Veneziani. Morì il 27 ag. 1462. Aveva sposato Caterina Trechi e successivamente Lucia Capra, ed aveva avuto un unico figlio, Pierantonio.
Durante la sua lunga ed attivissima vita pubblica il C. ebbe anche modo di conoscere e di stringere rapporti con alcuni letterati del tempo, quali Cosma Raimondi, Francesco Barbaro, Guarino Veronese e Francesco Filelfo, che nel suo secondo convivio (Convivia Mediolanensia, [Milano] 1483-1484: Indice generale degli incunaboli...,n. 3881) lo rappresentò come uno degli interlocutori.
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