VITALINI, Francesco
(Pietro Domenico Francesco).
– Nacque il 7 gennaio 1865 a Fiordimonte, non lontano da Camerino, figlio dei conti Ortensio e Sandra Ottaviani. La famiglia, che vantava lontane radici nobiliari e che era in buoni rapporti con i Savoia, viveva tra Roma e i luoghi di origine nella campagna marchigiana. Il padre, a cui Vitalini fu molto legato, era imprenditore agricolo e uomo di cultura: appassionato di numismatica, fu anche autore di monografie sul tema.
Vitalini frequentò il Regio Istituto di belle arti di Roma; nel 1884, diciannovenne, risulta iscritto ai corsi di plastica. Contemporaneamente frequentava anche il Museo artistico da poco aperto dal Comune di Roma, e in particolare la Scuola di applicazione del disegno alle arti industriali, sotto la guida del pittore decoratore Domenico Bruschi. Già da quell’anno partecipò alle Mostre della città di Roma alla Esposizione di Torino, con i primi studi e i primi gessi. Nel corso della formazione ottenne più volte i premi dell’Istituto: nel 1884 nella prova di prospettiva; nel 1885 nella prova di ornato; nello stesso 1885 ottenne anche la patente di professore di disegno. Nel 1886 si aggiudicò il primo premio nella prova di figure e una borsa di studio del Pio Sodalizio dei Piceni per i corsi di perfezionamento dei due anni successivi. Trascorse poi un breve periodo sotto le armi, come lanciere nel 13o reggimento Pinerolo, di stanza a Macerata; già nel 1888 tornò all’Istituto, dove ottenne ancora il primo premio nella prova di ornato modellato per uno studio dall’antico.
Dalla fine degli anni Ottanta partecipò alle annuali Esposizioni di belle arti a Roma: abbandonò i gessi, per esporre invece oli su tela e acquerelli. Nella Roma dannunziana in cui convivevano diverse correnti artistiche, cominciò a rivelare uno spiccato interesse per il paesaggio: i suoi temi preferiti furono lande silenziose, campagne abbandonate, stagni, rovine e tramonti colti sul mare al mutar della luce. Di volta in volta i suoi quadri raffiguravano il territorio pontino (Tramonto nel Tirreno, 1890; Via della malaria: Terracina, 1890; Monti e paludi, 1890; Paludi pontine, 1890), le Alpi (Staffel Alp. Zermatt, 1891; Dent-Blanche-Zermatt, 1891; Valle del Cervino, 1891) e più tardi il paesaggio marchigiano (Da Montecavallo, 1894; Sull’Appenino Marchegiano, 1894; Sole d’inverno, 1894), studiato durante le estati trascorse nella terra d’origine. Gli acquerelli divennero il medium privilegiato per rapidi appunti presi in occasione dei viaggi compiuti nello stesso torno di anni: nell’Italia meridionale, in Turchia, in Grecia, in Montenegro.
Vitalini ebbe sempre il suo studio a Roma, ma ne cambiò la sede parecchie volte (si legge un bel racconto sullo studio in via S. Nicola da Tolentino e su Vitalini pittore dall’«anima veramente autunnale» in Pirandello, 1896, pp. 203-207, cit. a p. 206). Poco più tardi, si trasferì in un palazzo di piazza della Pilotta, dove rimase fino a qualche mese prima della morte. Alle pareti di questo grande salone-laboratorio erano appesi soprattutto paesaggi, diverse acqueforti – tra gli altri, di Max Klinger e di Vittore Grubicy – una tela di Vincenzo Cabianca e qualche ritratto di Antonio Mancini; c’erano poi alcune terrecotte e dei busti in gesso e in bronzo (Francesco Vitalini, 1982, p. 17). I resoconti del tempo ci presentano Vitalini come personalità gioviale e disponibile ad aprire il suo studio a molti amici, ma sottolineano anche il suo carattere di artista riservato e silenzioso, dedito alla ricerca e allo studio. Tra le sue conoscenze importanti si ricordano Ugo Ojetti, Adolfo De Carolis, Adolfo Apolloni, Pietro Mascagni.
Già gli anni della formazione, che lo videro eccellere in discipline differenti, danno una buona idea dell’eclettismo di Vitalini e della sua passione per lo studio delle arti figurative tutte. Con questo spirito, a partire dai secondi anni Novanta si avvicinò anche al mondo dell’incisione, cui poi si dedicò con tanta assiduità da farne un’attività del tutto complementare a quella pittorica e niente affatto sussidiaria. Lavorò soprattutto alla riscoperta dei metodi di colorazione delle stampe, che furono poi decisivi nel renderlo ben noto nell’ambiente romano, dove fu soprattutto apprezzato per la delicatezza delle tinte che ammorbidivano un disegno sempre raffinato e preciso (Baffico, 1902). L’interesse per il paesaggio lo portò alla conquista di nuovi mezzi espressivi che, soprattutto nel campo dell’incisione, gli consentirono di dare a questa tecnica una nuova originalità. Testimonianze del tempo ci informano che era solito trattenersi fino alle ore del tramonto sui luoghi che avrebbe raffigurato, per fissare su fogli di piccolo formato le atmosfere colte en plein air (Francesco Vitalini, 1982, p. 24). Nella Roma di quegli anni era talmente apprezzato che il suo cognome veniva abitualmente impiegato come sostantivo al plurale – i vitalini – per indicare «l’ornamento immancabile dei più eleganti salotti e saloni» (Francesco Vitalini, 1904). La figura umana lo interessò più marginalmente, e comparve – per altro decisamente compenetrata alla natura – solo in rare occasioni (Piccolo mercato, 1901, acquerello; Ragazza tra i fiori, 1902, olio).
A partire dai secondi anni Novanta, e poi soprattutto con il nuovo secolo, Vitalini si affermò con crescente successo attraverso la partecipazione a diverse mostre anche internazionali (1896, I Esposizione internazionale d’arte a Berlino; 1897, VII Esposizione internazionale d’arte a Monaco di Baviera; 1897, Mostra internazionale d’arte a Copenaghen; 1901, VIII Mostra internazionale d’arte a Monaco; 1901, CXIX Salon di Parigi; 1901, III Esposizione della Società di scultori, pittori e incisori di Londra; 1901, IV Esposizione internazionale d’arte di Venezia; 1902, II Esposizione italiana d’arte a Pietroburgo; 1902, Esposizione internazionale di 'Bianco e Nero' a Roma; 1902, I Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna di Torino; 1902, CXX Salon di Parigi; 1903, V Esposizione internazionale d’arte di Venezia; 1904, Esposizione universale di Saint Louis; 1905, VI Esposizione internazionale d’arte di Venezia; 1905, Esposizione regionale marchigiana a Macerata).
La sua affermazione principale coincise con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1901, dove le sue acqueforti colorate furono molto apprezzate (Castelfusano, 1901; Serenata veneziana, 1901; Sull’Aventino, 1901), e furono acquistate per l’occasione dai sovrani italiani e dalle gallerie d’arte moderna di Roma e di Venezia. Questa affermazione gli meritò, negli anni successivi, l’attenzione di due dei maggiori critici d’arte italiani del tempo, Vittorio Pica (che, curatore delle sezioni del Bianco e Nero proprio alle Biennali veneziane, pose la grafica al centro della ricerca artistica più avanzata) e Primo Levi l’Italico. Nel 1902 fu allestita a Roma, con il diretto contributo dello stesso Vitalini, una grande Esposizione internazionale di 'Bianco e Nero', con stampe moderne e disegni: qui le sue acqueforti si distinsero per la sfida che sembravano lanciare alla pittura (Il Palatino, 1902; Il palazzo dei Cesari, 1902). Tornò ad esporre alla Biennale veneziana anche nel 1903 e nel 1905.
Fu autore di alcune acqueforti per i biglietti d’invito del teatro Argentina. Nel 1904 l’editore Danesi pubblicò in volume il suo trattato L’incisione su metallo, il primo manuale moderno sul tema apparso in Italia. Il testo, concepito come un’accurata lezione su tutte le tecniche incisorie, si rivolgeva sia ai giovani artisti intenzionati ad avvicinarsi alla tecnica sia ai collezionisti, per insegnare loro a riconoscere e conservare le stampe. A volere il volume, a pubblicizzarlo sulla rivista Emporium e a scriverne l’introduzione fu Vittorio Pica. Vitalini stesso illustrò il volume con otto incisioni inedite, una per ogni tecnica affrontata. Il testo e le tavole dimostrano come Vitalini abbia sempre avuto un approccio sostanzialmente pittorico alla lastra: la sua attenzione si rivolse principalmente al chiaroscuro per ottenere effetti di profondità e per suggerire le relazioni spaziali tra i piani. Allo stesso modo anche il taglio compositivo delle sue incisioni di paesaggio discendeva dalle sue precedenti prove di pittore. Sempre nel 1904 realizzò la copertina monocroma e tre incisioni per il volume Castelli romani di Edoardo de Fonseca, pubblicato da Alinari e illustrato da una compagine di incisori romani. Vitalini divenne poi illustratore per molte riviste, tra cui l’Avanti della domenica. Pur non facendone mai parte, fu molto vicino ai XXV della Campagna romana, il gruppo di pittori laziali unitisi nel maggio del 1904 con lo scopo di affermarsi seguaci, tutti insieme, dello studio pittorico del territorio.
Nel frattempo Vitalini non aveva mai abbandonato la pratica pittorica, anzi aveva continuato a eseguire studi all’acquerello, schizzi e quadri a olio della campagna romana o delle Alpi. Insieme alle due litografie Tre croci e Sorapis, un trittico, Alto Cadore, fu la sua opera più apprezzata all’Esposizione internazionale di Monaco del 1905: vi erano raffigurati gli effetti del mattino, del mezzogiorno e della sera sulle Dolomiti. Lo stupore e l’apprezzamento di cui il trittico fu oggetto fecero riscoprire alla critica il Vitalini pittore, al punto da chiamare in causa paralleli con il nome glorioso di Giovanni Segantini (Levi l'Italico, 1905). Il trittico fu successivamente donato alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma e da questa passò in deposito alla Camera dei Deputati: da qui, in seguito, andò inspiegabilmente perduto (forse perché rubato: Francesco Vitalini, 1987, p. 93).
Oltre che artista, Vitalini fu agricoltore, velocipedista, cacciatore e alpinista. Tra le passioni ereditate dal padre va anche ricordato l’impegno attivo per il proprio territorio in termini di miglioramento economico e culturale: nel 1905 riuscì a promuovere, dopo un lungo lavoro organizzativo, l’Esposizione regionale marchigiana di Macerata, in occasione della quale gli furono assegnati un gran diploma d’onore e una medaglia d’oro.
Nell’agosto 1905 partì per un soggiorno sulle Alpi cadorine, finalizzato a nuovi studi pittorici dal vero. Durante un’escursione precipitò da un monte nei pressi di Auronzo, in un momento imprecisato tra la sera del primo settembre e la mattina del 2; il suo corpo fu ritrovato dopo vari giorni di ricerche.
La morte improvvisa e precoce gli fece lasciare molti lavori incompiuti. Una prima importante ricognizione retrospettiva si tenne a Roma nel 1906 in una sala a lui dedicata della LXXVI Esposizione internazionale di belle arti della Società degli amatori e cultori. Negli anni successivi l’opera di Vitalini, complici le diverse direzioni della pittura italiana ed europea, venne presto dimenticata. Solo in anni più recenti – ad Ancona nel 1982 e poi a Camerino nel 1987 – è stato possibile ripensare criticamente all’artista con mostre che hanno radunato un numero cospicuo di opere.
Fonti e Bibl.: La maggior parte dei documenti su Francesco Vitalini è conservata a Roma presso l'Archivio privato Vitalini Sacconi.
L. Pirandello, Da uno studio all’altro, in La Critica, III (1896), 7, pp. 203-207; G. Baffico, Nello studio di Vitalini, in La Patria, 24 febbraio 1902; F. Vitalini, L’incisione su metallo, Roma 1904; F. Vitalini, in La Patria degli Italiani, 2 ottobre 1904; P. Levi l’Italico, Alto Cadore, in La tribuna, 23 settembre 1905; V. Pica, Vitalini (Francesco), in Emporium, XXII (1905), p. 399; Francesco Vitalini, pittore incisore (1865-1905) (catal.), Ancona 1982; Francesco Vitalini (catal.), Camerino 1987; Francesco Vitalini: la sua arte, il suo tempo (1865-1905), a cura di R. Mammuccari - V. Vitalini Sacconi, San Lorenzo in Campo 1988; La poesia del vero. Pittura di paesaggio a Roma tra Ottocento e Novecento da Costa a Parisani (catal.), a cura di G. Piantoni, Roma 2001, pp. 111-123, 138.
(Pietro Domenico Francesco)
.