VISCONTI, Francesco
– Nacque a Milano il 29 marzo 1755, terzo figlio maschio di Alberto Visconti di Brignano, marchese di Borgoratto, grande di Spagna, e della nobildonna Antonia Eleonora Goldoni Vidoni Aimo.
Agli inizi degli anni Settanta raggiunse a Roma lo zio Antonio Eugenio Visconti, cardinale di sensibilità giansenista, che ne seguì il percorso di formazione perché vestisse, secondo il desiderio della famiglia, l’abito talare. Tuttavia si ritrasse presto da quella prospettiva per fare ritorno a Milano, dove nel corso degli anni Ottanta si avvicinò ai circoli intellettuali cittadini, affiliandosi nel 1787 alla massoneria, senza per questo differenziarsi dall’avversità subito dimostrata dal ceto aristocratico cittadino verso la politica riformatrice di Giuseppe II d’Asburgo. La presa di distanze dall’assolutismo giocò anzi un ruolo decisivo nel suo interesse per la Rivoluzione di Francia, testimoniato da ripetuti acquisti di periodici d’Oltralpe che gli costarono, nel corso degli anni Novanta, più di un controllo di polizia.
L’interesse per la Rivoluzione non significò, però, un suo immediato distacco dal mondo aristocratico: proprio nel 1789, Visconti contrasse matrimonio con Giuseppa Carcano, vedova Sopransi, dalla quale ebbe l’anno successivo un figlio, Alberto, la cui nascita lo indusse, nel 1791, a reclamare anche per la moglie il riconoscimento dei titoli nobiliari.
Sempre nel 1791, la riforma dei poteri locali voluta dall’imperatore Leopoldo II per ricucire con la nobiltà cittadina gli permise di essere eletto nella Congregazione municipale, nella quale venne poi confermato anche nel 1795. In quegli anni il suo impegno fu soprattutto rivolto alla polizia urbana e quando, nel maggio del 1796, le truppe francesi fecero ingresso a Milano aveva maturato un’esperienza di governo che gli permise di mettersi subito in evidenza. Pronto a condannare gli abusi dell’aristocrazia, Visconti si adoperò perché Napoleone Bonaparte sciogliesse il decurionato cittadino e per questo motivo fu tra i pochi nobili posti nella nuova Municipalità chiamata a collaborare con le truppe francesi. In quelle vesti riempì con successo l’incarico di sovraintendere agli approvvigionamenti militari e ad agosto venne inserito nell’Amministrazione generale della Lombardia, il nuovo organo di governo chiamato, sempre di concerto con le autorità d’Oltralpe, ad amministrare i territori abbandonati dagli austriaci.
In quell’ambito Visconti acquisì un pronunciato profilo politico, molto adoperandosi per sostenere la creazione di uno Stato unitario sull’esempio di quello francese che andasse oltre i tradizionali confini della Lombardia. Questo suo impegno gli valse, al momento della nascita della Repubblica Cisalpina (giugno 1797), la nomina a ministro in Francia.
Giunto a Parigi nell’estate, rilanciò subito sulle ragioni dell’unità e denunciò nel federalismo l’anticamera del ritorno in forze dell’aristocrazia, giacché, contro le ipotesi allora in circolo sulla nascita di una repubblica democratica in Veneto, egli chiese l’immediata annessione dei territori della Serenissima alla Cisalpina. Il trattato di Campoformio (ottobre 1797), con il quale Venezia venne invece ceduta all’Austria seppur in cambio del riconoscimento da parte di Vienna dell’indipendenza della Lombardia, sembrò porre fine alla carriera politica di Visconti, perché il governo di Milano, preoccupato dalla sua intraprendenza, decise di rimpiazzarlo nel mese di novembre con Gian Galeazzo Serbelloni. Questi avrebbe dovuto sostituirlo nelle trattative con il governo di Parigi per la stipula di un trattato di alleanza con la Francia, ma Visconti, che godeva dell’appoggio del ministro degli Esteri Carlo Testi, oppose resistenza e ottenne di rimanere al proprio posto venendo solo affiancato da Serbelloni in qualità di ministro straordinario. In tal modo, egli proseguì nella propria azione diplomatica, ma postosi al centro di tutte le trame che puntavano ad annettere alla Cisalpina la Repubblica ligure, Lucca, nonché i baliaggi ticinesi, Visconti finì per suscitare il risentimento sia di quanti, a Parigi, mal ne sopportavano l’intraprendenza rivoluzionaria, sia di chi, a Milano, attribuiva invece all’egemonia francese quelle prove di avventurismo politico.
Nella primavera del 1798 la stipula, sempre assieme a Serbelloni, di un trattato di alleanza con la Francia che pure conteneva l’imposizione fiscale e la presenza militare d’Oltralpe suscitò inoltre vive proteste contro la sua azione politica da parte di quanti, nei Consigli cisalpini, a destra come a sinistra, non intendevano firmare l’accordo. Le denunce del trattato montarono a tal punto da indurre il governo di Parigi a un giro di vite, che portò in agosto l’ambasciatore francese a Milano Charles-Joseph Trouvé a epurare i Consigli cisalpini e a far destituire Visconti.
Tornato in patria, egli rimase poco fuori dai giochi, perché nel mese di ottobre il generale Guillaume Marie-Anne Brune operò un altro colpo di mano, che restituì il potere a quanti erano stati messi da parte da Trouvé e non a caso lo chiamò a dirigere il ministero della Polizia. Qui gli riuscì di fare poco, perché già nel mese di dicembre il nuovo ambasciatore francese a Milano Charles Rivaud epurò nuovamente i Consigli cisalpini e lo mise agli arresti domiciliari. Agli inizi del 1799, il ritorno della guerra all’Austria suggerì però la sua pronta liberazione e Visconti venne nominato ambasciatore presso la Repubblica elvetica.
L’allontanamento da Milano gli permise di sfuggire alla repressione prontamente messa in atto dagli austriaci al momento del loro rientro in città nell’aprile del 1799. Nel frattempo Visconti era a Parigi, dove tenne vive presso gli esuli italiani le speranze di un ritorno in forze dei francesi nella penisola e solo negli ultimi mesi dell’anno si trasferì a Berna, da dove plaudì al rientro di Bonaparte dall’Egitto. Tornato momentaneamente a Parigi, dove salutò con parole entusiaste il colpo di Stato del Brumaio, Visconti curò i rapporti con Bonaparte, che si ricordò di lui non appena, ridisceso in Italia, vinti gli austriaci a Marengo, restituì la Cisalpina alla vita politica.
Subito chiamato a far parte della commissione di governo incaricata di gestire i territori nel frattempo liberati, Visconti vantò un accordo con il primo console che prevedeva una volta ancora il pronto allargamento della Cisalpina, che nell’immediato si tradusse solo nell’aggiunta del Novarese. Nel frattempo, nel settembre del 1800 egli era entrato a far parte del Comitato di governo provvisorio assieme a Sigismondo Ruga e a Giovanni Battista Sommariva, e in quelle vesti tornò a occuparsi dell’organizzazione della polizia. Non v’è dubbio che i tre disponessero, sin dal 1796, di una comune sensibilità politica, che li portò a insistere sul tema dell’allargamento della giovane Repubblica. Tuttavia, contro il loro tentativo giocarono presto gli sviluppi della politica internazionale: per questo motivo, quando, in vista di un accordo con l’Inghilterra, Bonaparte si decise a dare un compiuto assetto istituzionale alla Cisalpina, i tre vennero subito messi da parte.
Agli inizi del 1802, in occasione dei comizi di Lione, il primo console di Francia venne infatti acclamato presidente di una Repubblica ormai italiana, mentre alla vicepresidenza fu chiamato Francesco Melzi d’Eril, un noto avversario politico di Visconti, molto più adatto a coadiuvare il primo console nell’opera di stabilizzazione del nuovo ordine. A Visconti venne rimproverato di esser stato l’incauto sodale di Sommariva nelle sue molte ruberie e per ironia della sorte la sua esperienza politica giunse al termine proprio con la nascita di quella Repubblica italiana al raggiungimento della quale aveva profuso le forze migliori: all’inutile tentativo di farsi nominare ambasciatore a Londra, seguì il ritiro a vita privata, segnata dal puntuale accostamento del suo nome all’infelice esperienza di governo della seconda Cisalpina, senza che mai si sottolineasse come – proprio grazie al suo controllo della polizia – a quel tempo i temi dell’indipendenza politica e dell’identità nazionale italiana avessero raggiunto l’acme.
Neppure la nascita del Regno d’Italia, che nel 1805 pose termine al predominio del suo nemico Melzi d’Eril e rilanciò quanti erano stati messi da parte in precedenza, dischiuse la possibilità di un suo ritorno sulla scena. Anzi, quell’anno fu funestato dalla morte a Parigi del suo giovane figlio Alberto.
Ormai dimenticato da Napoleone, che neppure lo ascrisse all’Ordine della Corona ferrea, Visconti si spense a Milano il 13 maggio 1808.
Fonti e Bibl.: Parigi, Archives nationales, AF/III, cart. 71; Archives du Ministère des Affaires etrangères, Mémoires et documents, Italie, cart. 15; Correspondance politique, Milanais, cartt. 55 e 56; Archivio di Stato di Milano, Atti di governo, Uffici Civici, bb. 157 e 159; Milano, Archivio storico civico, Dicasteri, Consiglio generale, b. 126, f. 9; b. 127, f. 4; b. 131, f. 19; b. 261, f. 5.
P. Litta, Famiglie celebri italiane, dispensa 10, Visconti di Milano, parte 2.a, Milano 1823-1828, tav. IX.; I carteggi di Francesco Melzi d’Eril, a cura di C. Zaghi, I, Milano 1965, ad nomen; S. Cuccia, La Lombardia alla fine dell’ancien régime, Firenze 1971, pp. 11 nota, 145; C. Zaghi, Il trattato di alleanza e di commercio tra la Repubblica francese e la Repubblica Cisalpina, in Archivio storico lombardo, CXVI (1990), pp. 167-247; E. Pagano, Il Comune di Milano nell’età napoleonica, 1800-1814, Milano 1994, p. 36; L. Gagliardi, Tra politica dell’equilibrio e «nuova diplomazia»: la missione dei deputati milanesi presso il Direttorio della Repubblica francese (1796-1797), in Con la ragione e col cuore. Studi dedicati a Carlo Capra, a cura di S. Levati - M. Meriggi, Milano 2008, pp. 426 s., 432, 434, 437, 439 s., 442; K. Visconti, L’ultimo Direttorio. La lotta politica nella Repubblica cisalpina tra guerra rivoluzionaria e ascesa di Bonaparte 1799-1800, Milano 2011, ad nomen.