VETTORI, Francesco
– Nacque a Firenze l’8 novembre 1474 da Piero e da Caterina Rucellai, sorella del ricco Bernardo, ed ebbe due fratelli, Giovanni e Paolo (v. la voce in questo Dizionario).
Crebbe nel quartiere di S. Spirito dove il padre, che aveva servito più volte come energico funzionario della Repubblica, era il ‘primo cittadino’. Piero fece allevare i figli con «buone lettere e buoni costumi» (F. Vettori, Scritti storici e politici, a cura di E. Niccolini, Bari 1972, p. 256). Della adolescenza e gioventù non abbiamo notizie, se non che si sposò con Maddalena Capponi, sorella del futuro gonfaloniere Niccolò, che era stato suo compagno di studi.
Fu membro dei Dodici buonuomimi e poi degli Otto di guardia nel 1504, e podestà di Castiglion Fiorentino nel 1505. La sua lunga carriera diplomatica prese avvio nel giugno del 1507 quando fu nominato ambasciatore presso l’imperatore Massimiliano I alla Dieta di Costanza, «con commessione generale, e da intendere e scrivere, non da praticare e conchiudere» (Guicciardini, 1998, p. 443). La controversa elezione fu il risultato di un compromesso, perché dopo l’iniziale designazione di Niccolò Machiavelli, gli «uomini da bene» lo avevano respinto come «mannerino» del gonfaloniere Pier Soderini (cfr. Cerretani, 1993, p. 146, e 1994, pp. 350-352, dove non si accenna minimamente alla disputa sull’invio, anzi si dice che il gonfaloniere «per mezzo della signoria vi mandò Francesco di Piero Vectori, et questo feciono per havere gl’avisi chauti», dunque la reputazione di prudenza accompagnava anche il giovane ambasciatore).Tutte le tappe dell’itinerario per raggiungere la corte imperiale sono registrate nel Viaggio in Alamagna, in cui l’autore mescola realtà e finzione letteraria. L’ibrido diario in forma di zibaldone è ricco di digressioni su vari argomenti, salaci novelle in stile boccacciano, dialoghi e persino una commedia in un solo atto. La composizione risale probabilmente al soggiorno romano degli anni successivi (cfr. Vettori - Machiavelli, 2003, pp. 25-28).
Durante i primi sei mesi della missione (i dispacci sono editi solo in traduzione francese da Louis Passy, 1913-1914, il simpatetico biografo ottocentesco che rivendicava giustamente il ruolo attivo di Vettori), l’emissario della Repubblica fiorentina si lamentò spesso del suo mandato limitato, schermendosi dalle pressanti richieste pecuniarie dell’imperatore. Infine, nel gennaio del 1508 Machiavelli fu incaricato di raggiungere Vettori, con pieni poteri di negoziato. Durante quei mesi di legazione il veterano diplomatico sostituì il giovane collega, firmando di propria mano diversi dispacci a nome di Francesco (cfr. Devonshire Jones, 1968). Superata la reciproca diffidenza, fra i due si stabilì presto un’amicizia intima e complice, che sarebbe durata per quasi vent’anni.
Contrariamente a quanto si è affermato, Vettori non rientrò a Firenze con Machiavelli in giugno, ma seguì l’imperatore nelle Fiandre, scrivendo alcune lettere nell’estate del 1508 da Anversa. Lì si ammalò, e perdiamo le sue tracce fino a ritrovarlo nel gennaio del 1509 a Parigi, dove sempre convalescente fu raggiunto dal fratello Paolo, che lo riaccompagnò a casa. Divenne uno dei Signori nel maggio-giugno del 1509, subito dopo la capitolazione di Pisa. E sempre a Pisa fu inviato a fine settembre del 1511, ove i fiorentini lo mandarono «al cardinale di San Malò, con imbasciata pari alla sua superbia» (F. Guicciardini, Storia d’Italia, X, 7). Per un approccio meno enfatico, si vedano anche le istruzioni ufficiali dei Dieci a Vettori, pubblicate da Augustin Renaudet (1922, pp. 293-295), e i suoi dispacci in risposta.
I rapporti con il governo repubblicano restarono solidi fino alla fine. Nei drammatici frangenti dopo il sacco di Prato, Vettori fu solidale con Soderini e la notte del 1° settembre 1512 lo accolse a casa sua e lo aiutò, con Paolo, ad allontanarsi da Firenze senza pericolo. Tuttavia, all’inizio del 1513 Vettori fu nominato ambasciatore a Roma, dove raggiunse i due prestigiosi inviati filomedicei Jacopo Salviati e Matteo Strozzi. Nei mesi successivi assisté alla morte di Giulio II e all’elezione di Leone X, e in agosto si ritrovò da solo a rappresentare la Repubblica presso il primo papa fiorentino della storia.
Oltre alla corrispondenza ufficiale, intrattenne un’intensa corrispondenza privata con Machiavelli, scampato all’ergastolo grazie all’amnistia. Questo carteggio, studiato, fra gli altri da Roberto Ridolfi, John M. Najemy e William J. Connell, contiene la celeberrima lettera del 10 dicembre 1513 in cui Machiavelli annuncia la composizione del Principe. In totale, il carteggio comprende cinquantadue lettere reciproche, che sono giustamente considerate fra le più vivaci e interessanti nel canone epistolare della letteratura italiana. Non potendo darne conto qui, si rimanda all’Edizione nazionale delle Lettere, coordinata da Francesco Bausi (Roma in corso di stampa). Non sono da trascurare anche le lettere inviate al fratello Paolo, edite da Enrico Niccolini (1990).
Molti dei suoi dispacci ufficiali furono vergati dal fedele segretario Roberto Rofia, che lo avrebbe accompagnato anche in Francia. Nell’autunno del 1514 Lorenzo de’ Medici si trasferì a Roma, e Francesco fu al suo fianco fino al ritorno a Firenze il 15 maggio 1515. Nei giorni successivi Benedetto Buondelmonti, un amico di Filippo Strozzi, lo invitò a pagare Machiavelli «per amor di Francesco Vettori» (Simonetta, 2015, p. 225). L’ipotesi più plausibile è che il compenso fosse in ragione della copia di dedica del Principe, che tuttavia non fu produttiva in alcun modo per l’autore. Vettori, a differenza di Machiavelli, fu pienamente coinvolto come commissario in campo nelle operazioni militari del neocapitano fiorentino, Lorenzo de’ Medici, il quale con solenne cerimonia partì da Firenze il 15 agosto verso la Lombardia. Le lettere di Vettori documentano i cauti movimenti delle truppe, che rimasero lontane dal teatro di guerra e non attraversarono neanche il Po in occasione dell’epica battaglia di Marignano, fra il 13 e il 14 settembre.
Il 6 ottobre 1515 Lorenzo dichiarò privatamente al re la sua lealtà verso di lui, tramite una lettera vergata da Rofia, quindi scritta d’accordo con Vettori (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, CXIV, 159, c. 163). La diplomazia papale, con i tramiti del nunzio apostolico Lodovico Canossa e dell’inviato speciale Paolo Vettori, negoziò un accordo con la Francia. Intanto Lorenzo, sempre accompagnato da Francesco, entrava nelle grazie del vincitore, il re Francesco I, ospite nei castelli sforzeschi di Milano e Vigevano. Dopo l’incontro fra il papa e il re a Bologna in dicembre, Vettori seguì la corte reale francese, presso la quale restò come residente per circa trenta mesi. Come d’abitudine, la corrispondenza dell’ambasciatore era divisa a metà, fra i dispacci ufficiali e le comunicazioni confidenziali ai Medici, in particolare al governatore effettivo di Firenze, Goro Gheri. Nei copialettere di quest’ultimo si trovano innumerevoli missive indirizzate a Vettori, di cui solo una minima parte sopravvive in originale.
Fra gli affari più importanti trattati da Vettori vi fu il sollecito del contributo francese alla guerra di Urbino (1516-17), e la scelta della sposa di Lorenzo, Madeleine de la Tour d’Auvergne, che Vettori andò personalmente a incontrare nel febbraio del 1518, dopo aver firmato il contratto di matrimonio per procura (Simonetta, 2019a). Vettori fu presente a tutte le celebrazioni nuziali e rientrò finalmente in Italia con la coppia degli sposi. Come uomo di fiducia del duca di Urbino, in ottobre si recò a Roma a trattare la possibile rinuncia al titolo ducale per poter ritornare in pianta stabile a Firenze. Vicinissimo a Lorenzo, quando costui morì nel maggio del 1519, fu accusato da molti di aver incoraggiato il duca a diventare il principe civile, ovvero il tiranno cittadino, e per prudenza si ritirò in campagna.
Fu eletto priore il 1° maggio 1520, e subito dopo si fece inviare nel Montefeltro, terra che era ancora sotto il controllo fiorentino. Dopo la morte di Leone X, il 12 febbraio 1522 (Lettere di Principi, I, Venezia 1581, cc. 95r-96r), fece un amaro bilancio della situazione in cui il papa aveva lasciato «noi poveri fiorentini», scrivendo una lunga lettera a Lodovico Canossa, che aveva conosciuto bene in Francia e che, nel luglio del 1517, aveva lasciato il servizio dei Medici per reclamare la sua indipendenza cortigiana.
In effetti dopo la nomina di papa Adriano VI (l’ex tutore di Carlo V) le difficoltà per i filomedicei rimasero gravi, fino all’inaspettata cattura del loro arcinemico cardinale Francesco Soderini, sospettato di aver esortato il re di Francia ad occupare Roma. Il 16 aprile 1523 Vettori informò Machiavelli dei recenti eventi in una epistola latina scritta in stile elegante e scherzoso (Ridolfi, 1969). E il 15 settembre, il cardinale Giulio de’ Medici si rivolse proprio a Vettori (Archivio di Stato di Firenze, Acquisti e Doni, 59, inserto 3) per ringraziarlo di avergli garantito il sostegno fiorentino tramite le decime ecclesiastiche, durante il conclave che nel novembre lo portò al soglio pontificio con il nome di Clemente VII.
Non sorprende dunque che lo stesso Vettori, uno dei membri della missione gratulatoria inviata da Firenze (Simonetta, 2014, pp. 260-262), venisse accolto in udienza privata a Castel S. Angelo il 3 febbraio 1524, a insaputa dei suoi colleghi. Durante il convito ufficiale, il giorno dopo, il papa domandò a ciascuno dei presenti quale fosse la sua opinione sulla forma di governo che doveva prendere Firenze. Vettori, con Lorenzo Strozzi e Roberto Acciaiuoli, si pronunciò a favore del gonfalonierato, mentre gli altri – con il tacito assenso del papa – preferirono il governo del giovane Ippolito de’ Medici, sotto la tutela del cardinale Silvio Passerini. Fu un momento di grave imbarazzo per Vettori, che si sfogò con Francesco Del Nero che la porta della corte gli si era chiusa davanti e «la mia sorte ha voluto che io habbi havuto a seguire quello, da che per natura ero alienissimo» (Niccolini, 1990, p. 580).
Restato nelle retrovie per un anno, Vettori fu di nuovo convocato a Roma subito dopo la battaglia di Pavia, che richiedeva un ripensamento radicale della politica pontificia. Lo scambio sincero fra lui e Roberto Acciaiuoli del marzo del 1525 (Simonetta, 2014, pp. 260-262) mostra che lo scetticismo, un’inclinazione naturale di Vettori, cominciava ad acuirsi nei confronti del papa nei suoi rapporti con la città natale. In questa occasione Vettori scoraggiò Machiavelli, che voleva venire a presentare personalmente le sue Istorie fiorentine al pontefice, cosa che l’autore fece due mesi più tardi, ottenendo un lauto compenso e anche un incarico di emissario presso Francesco Guicciardini, allora presidente di Romagna.
La situazione familiare di Vettori, che in un ricordo dello stesso Guicciardini viene citato come padre di molte figlie a cui provvedere una dote, divenne più difficile il 9 marzo 1526, dopo la morte improvvisa del fratello Paolo, ammiraglio della flotta pontificia, che era appena stato scelto come legato in Francia. La scomparsa di Paolo rendeva anche litigiosa l’eredità della vedova, Francesca di Lorenzo di Matteo Strozzi, che nutriva forti pretese finanziarie.
Sempre acuto e informatissimo osservatore della situazione politica, nell’agosto del 1526 Vettori scrisse diverse lettere a Machiavelli riflettendo sull’incredibile rotta dell’esercito pontificio, messo in fuga da uno sparuto ma agguerrito gruppo di senesi. Negli scambi con l’amico, le cui lettere reciproche sono andate perdute, si manifesta sempre la sua intelligenza ironica. Queste lettere venivano inviate da Vettori a Filippo Strozzi, che le mostrava al papa. Per esempio il 26 agosto 1526 si discuteva sulla proposta di Machiavelli di assalire il Regno di Napoli, criticata anche da Vettori. Chiamato di nuovo a intervenire nelle settimane successive al devastante sacco dei Colonna (20 settembre 1526), a Roma Vettori si intrattenne in un lungo dialogo con il papa, riferendone il contenuto il 19 ottobre 1526 (Archivio di Stato di Firenze, Otto di pratica, Resp. 46, 1-3). A complicare le difficili decisioni del pontefice c’era la prigionia dell’amico Filippo Strozzi, tenuto come ostaggio a Napoli dagli imperiali a garanzia che Clemente VII non si vendicasse dell’affronto subito.
Vettori restò in veste semiufficiale a Roma fino alla fine del 1526, scrivendo tre importanti lettere all’arcivescovo di Capua, Nikolaus von Schomberg (Lettere di Principi, cit., cc. 180r-182v), in cui fece le veci del datario Giovan Matteo Giberti, sospettato non senza fondamento di essere troppo filofrancese. A queste lettere si aggiungono quelle private scritte a Jacopo Gianfigliazzi (che lo aveva sostituito in Francia nel 1518 ed era allora un membro degli Otto di pratica). La sottile disamina delle ragioni della guerra e della pace (verso la quale tendeva Vettori, a qualsiasi costo, pur di evitare lo scontro frontale con gli imperiali) rivela una lucidità quasi profetica.
Nel gennaio del 1527 tornò a Firenze, lasciando sconfortata Alfonsina de’ Medici, la moglie di Filippo Strozzi che era legittimamente ansiosa per la sorte del marito, ostaggio degli imperiali a Napoli. Il consueto ruolo dietro le quinte di Vettori è testimoniato dalla stesura autografa dell’accordo fra Firenze e l’esercito imperiale (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VIII.1487, n. 173, in Simonetta, 2019b, pp. 806 s.). L’oscillazione nei nomi dei referenti (il viceré di Napoli Carlo di Lannoy e il capitano delle truppe, Carlo di Borbone) e delle ingenti somme da versare indica lo stato di confusione e il panico che si diffondeva nella penisola.
In quei giorni Machiavelli indirizzò a Vettori almeno quattro lettere, che sono diventate il suo ultimo testamento politico. In esse Machiavelli lodava Guicciardini per aver deciso senza aspettare l’approvazione da Roma di andare a soccorrere la patria, ovvero Firenze. Il 26 aprile 1527 scoppiò il tumulto del venerdì. Vettori era in Palazzo della Signoria, e non è chiaro se fosse dalla parte dei ribelli o da quella degli ufficiali (come il gonfaloniere Luigi Guicciardini) che cercavano di contenerne la rabbia. Di sicuro stilò un abbozzo dell’accordo che permise ai duecento sovversivi di uscire vivi, seppure umiliati, dalla sede del governo. Del resto, solo una ventina di giorni dopo, il 16 maggio, l’espulsione dei Medici fu portata a termine da Filippo Strozzi con il sostegno di Francesco Del Nero e, probabilmente, dello stesso Vettori.
Di lì a poco seguì la morte di Machiavelli (al cui capezzale non potevano mancare né Vettori né lo stesso Strozzi). La Repubblica era tornata, ma come gli altri ottimati, Vettori si trovò sempre più a disagio nell’atmosfera di ideologica caccia alle streghe. Dopo la cacciata del gonfaloniere Niccolò Capponi, suo cognato, colpevole di aver tentato di prevenire la furia del papa con delle trattative riservate, Vettori cominciò a temere per la propria incolumità. L’evolversi dei suoi stati d’animo è registrato nelle belle lettere scritte a Bartolomeo Lanfredini (edite da von Albertini, 1970, fino alla primavera del 1533).
Inviato a Bologna come ambasciatore nel novembre del 1529, decise di non rientrare a Firenze, dandosi prima per malato, e poi tornando decisamente al servizio del pontefice. I beni della sua famiglia furono sequestrati, e un bando fu promulgato contro di lui. Dunque durante l’assedio rimase a Roma, e ipotizzò persino di emigrare in Francia, come si evince da una lettera di Canossa scritta da Bayeux il 28 marzo 1530 (Archivio di Stato di Firenze, Acquisti e Doni, 59, I, 7). Ma dopo l’agosto del 1530, quando Firenze cedette per fame e per disperazione, Vettori ritornò e, insieme a Francesco Guicciardini, fu fra i più attivi fautori delle purghe repubblicane. Il fratello Giovanni, che era stato messo in prigione durante il suo esilio, divenne commissario a Volterra, e il regime mediceo si riprese con gli interessi quello che aveva perduto.
Al principio del 1531 il papa consultò i più fidati consiglieri sul futuro della città. Fra essi spiccavano Pareri di Vettori, diretti per lo più a Schomberg, inviato dal papa come governatore provvisorio della città (F. Vettori, Scritti storici e politici, cit., pp. 305-321). Vettori si attesta su posizioni prudentemente moderate, come nel frammento sulla Riforma di Firenze (von Albertini, 1970, pp. 425-427; nella copia Firenze, Biblioteca nazionale, Ginori Conti, 29/32, cc. 38-39 è datato 6 febbraio 1531). Tutti quegli elaborati discorsi non erano che variazioni sul tema della tirannide, di cui Vettori (Scritti storici e politici, cit., p. 145) conosceva bene l’essenziale odore politico. Ma i rapporti con il duca Alessandro erano meno buoni di quanto non si sia spesso supposto. Per esempio nel settembre del 1533, quando Clemente VII passò dalla Toscana per imbarcarsi verso Marsiglia (dove si celebravano le nozze di Caterina de’ Medici, la cui nascita era stata in qualche modo dovuta alle trattative condotte da Vettori nel 1518), il duca gli negò il permesso di andare a omaggiare il pontefice a Poggibonsi.
Con la sua consueta riluttanza e tolleranza ironica, Vettori rintuzzò i mediocri ministri ducali che non erano all’altezza del loro arduo compito. Meno paziente di lui, Filippo Strozzi si vide costretto, dopo la morte del papa, ad allontanarsi da Firenze e a prendere decisamente le parti dei fuorusciti. Vettori, pur comprendendo le ragioni della scelta di Filippo, restò in città e continuò senza sosta a richiamare l’amico a una moderazione che non gli era consona. I loro scambi intensi e drammatici sono straordinari e raggiungono a volte la profondità del carteggio con Machiavelli (il grande assente, sempre presente nei loro pensieri), con un’urgenza personale che va al di là della giocosità epistolare dei decenni passati. Dopo l’assassinio di Alessandro, Vettori si schierò dalla parte del giovane Cosimo de’ Medici fino alla disfatta di Montemurlo.
Non sappiamo se Vettori abbia mantenuto i rapporti con Filippo Strozzi, prigioniero nella Fortezza da Basso, fino al suo suicidio nel 1538. Negli ultimi anni melanconici, a causa degli acciacchi della vecchiaia, non usciva quasi più di casa, se non per andare in chiesa. L’ultima sua lettera a Lanfredini, del 20 novembre 1539 testimonia una stoica religiosità: «male volentieri odo le choxe allegre non che le maninchoniche et che tractano di purgatorio o simili materie» (Firenze, Biblioteca nazionale, II.V.29, c. 260). Secondo il giudizio pur parziale di Rofia: «il mio Magnifico Francesco Vectori, che gli sia benedetto il corpo, l’anima, l’ossa et la polvere, soleva molte volte dire che l’huomo era nato per giovare al altro huomo» (Firenze, Biblioteca nazionale, Capponi, 52, c. 32r).
Vettori morì a Firenze il 5 marzo 1540 (non 1539, come ripetono tutti i biografi, senza rendersi conto che la data del suo epitaffio è in stile fiorentino).
Vettori prese parte ai dibattiti accademici e linguistici del suo tempo, come mostra la lettera di Alessandro de’ Pazzi scrittagli da Roma il 7 maggio 1524 (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I, 136, 15-16). Nelle proprie lettere Vettori dà prova di notevole finezza letteraria, citando spesso autori classici e moderni, fra cui Cicerone e Virgilio, Francesco Petrarca e Luigi Pulci, Erasmo e Tommaso Moro. La sua perspicacità filosofica è sempre dissimulata da uno scetticismo distaccato. Oltre al Viaggio, il Sommario della storia d’Italia (1512-1527) è un’opera sintetica, ma di notevole acume storiografico. Fu composta probabilmente alla fine degli anni Venti, in un momento di riflessione e ripiegamento, prima dell’autoesilio da Firenze (l’edizione moderna in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi - S. Albonico, Napoli 1994, pp. 435-525 e 1043-1045 o ad ind.).
Dissimulatamente autobiografica, è un contributo da collocarsi a metà strada fra le Storie fiorentine e la Storia d’Italia di Francesco Guicciardini, che con ambizioni ben più vaste, ma non necessariamente più affidabili affrontò i nodi della «rovina d’Italia». Come ha notato Rudolf von Albertini (1970), che gli ha dedicato l’analisi più approfondita, «il pregio dell’esposizione del Vettori sta nella sua obiettività» (p. 251). Il dialogo sul sacco di Roma è caratterizzato da un pungente sarcasmo, soprattutto nella fulminante rassegna finale sulle vite dei pontefici da Paolo II a Clemente VII. Vettori viene quasi sempre ricordato solo come il destinatario della lettera di Machiavelli del 10 dicembre 1513, ma la sua importanza di interlocutore, pensatore e scrittore va ben al di là di quel pur significativo episodio epistolare.
Dopo il lavoro pionieristico di Louis Passy, le pagine duramente critiche di Benedetto Croce posero una sorta di veto sullo studio del pensiero di Vettori. Le sue opere sono state raccolte negli Scritti storici e politici, a cura di E. Niccolini, Bari 1972 (cfr.Vettori - Machiavelli, 2003).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Dieci, Responsive, 8991, 116 (missione in Germania, cfr. N. Machiavelli, Legazioni e Commissarie, a cura di S. Bertelli, II, Milano 1964, pp. 1051-1153); 93 (Anversa); 108-109, 114-115 (Roma); Otto di pratica, Responsive, 11 (Roma), 12 (Milano-Bologna), 13-14, 16-17 (Francia); Mediceo avanti il Principato, Inventari I-IV, passim; Copialettere di Goro Gheri, passim; Acquisti e Doni, 398 (lettere a Machiavelli). Nelle Carte Strozziane ci sono moltissime lettere di e a Vettori. Alcune sono edite in G.B. Niccolini, Filippo Strozzi. Tragedia corredata d’una vita di Filippo e di documenti inediti, Firenze 1847; A. Bardi, Filippo Strozzi (da nuovi documenti), in Archivio storico italiano, s. 5, XIV (1894), pp. 3-78; E. Niccolini, Ventiquattro lettere inedite di Francesco Vettori, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXVII (1990), pp. 547-589. Vedi anche Firenze Biblioteca nazionale, Nuove Acquisizioni, 515 (Filippo Strozzi); II.V.23 (von Albertini, 1970, pp. 436-469); II.V.29 (a Bartolomeo Lanfredini, le ultime inedite); Capponi, 52 (apografo del Viaggio in Alamagna); 98, Biblioteca Moreniana, Moreni, 98 (lettere a Jacopo Gianfigliazzi); Archivio Ricasoli, Carte Acciaiuoli, bb. 27, 30. Inoltre, Biblioteca apostolica Vaticana, Patetta, 386 (autografo del Viaggio); Londra, British Library, Add. Ms. (Vettori Papers), 10281, 10282.
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