VENIER, Francesco
– Nacque a Venezia il 1° novembre 1489 da Giovanni, che risiedeva nella parrocchia di S. Agnese, e da Maria Loredan del doge Leonardo.
A soli otto anni perse la madre, poi si diede alla mercatura, benché fisicamente debole e di salute precaria (Da Mosto, 1977, p. 259); sappiamo infatti che il 26 settembre 1510 giunse a Venezia da Londra, attraverso la Francia e la Savoia, «stato merchadante in Ponente» (Sanuto, 1884-1903, XI, col. 251). Con buoni frutti, evidentemente, visto che, dopo essere stato savio agli Ordini nel semestre marzo-settembre del 1514, nel 1515 sottoscrisse a più riprese prestiti allo Stato per le emergenze del lungo conflitto della Lega di Cambrai; che avesse poi maturato una notevole competenza nel settore non solo economico, ma anche finanziario, viene suggerito dall’essere stato eletto ufficiale alla camera degli Imprestidi (14 ottobre 1515), savio alle Decime (31 agosto 1516), savio sulla riforma delle Decime per attuare la riscossione dei crediti (24 ottobre 1517). Qualche anno dopo, il 1° ottobre 1522 fu eletto provveditore di Comun, distinguendosi come buon oratore e difensore delle prerogative statali; nuovamente eletto savio alle Decime l’11 marzo 1526, mancò poi (24 novembre) l’elezione a savio del Consiglio, ma il 29 giugno 1528 ebbe la nomina a savio di Terraferma.
Era in corso la guerra della Lega di Cognac e la Repubblica aveva occupato i porti pugliesi, fiancheggiando la marcia di Odet de Foix conte di Lautrec; come savio di Terraferma, il 12 luglio 1528 Venier propose il lancio di un prestito di 100.000 ducati e dieci giorni dopo organizzò al Lido, alla presenza del doge, la rassegna della cavalleria dalmata destinata a collaborare nel Mezzogiorno con i francesi. Il 29 aprile 1529 si offrì, assieme a molti altri, di prestare denaro allo Stato e il 29 luglio, dopo avere mancato varie elezioni, entrò savio alla Mercanzia, ma non portò a termine l’incarico per accettare, il 29 settembre, la nomina al saviato di Terraferma.
A questo proposito Sanuto riferisce spesso i suoi interventi, come quando, il 29 settembre, volle controbattere Girolamo Pesaro che sosteneva doversi restituire Cervia e Ravenna al papa, che era sostenuto dall’imperatore (Sanuto, 1884-1903, LII, col. 211); come avversario di Carlo V si manifestò ancora il 5 agosto 1530, allorché difese in Senato il Bauernfürher Michael Gaismayr, che a lungo aveva tenuto in scacco l’autorità imperiale nel Tirolo. Fu poi savio agli Atti (29 novembre) e poco dopo, il 18 dicembre, risultò eletto podestà a Brescia. Nell’attesa di assumere il rettorato lombardo, dove giunse all’inizio di maggio del 1531, divenne savio di Terraferma; a Brescia dovette riferire principalmente quello che avveniva nel Ducato di Milano, dove nel gennaio del 1532 gli spagnoli del marchese del Vasto, Alfonso d’Avalos, spadroneggiavano, imponendo angherie agli abitanti di Parma e Cremona e commettendo saccheggi a Lecco, senza che il duca Francesco II riuscisse a opporre un’efficace resistenza. Tornò a Venezia all’inizio di maggio del 1532 e fu ancora una volta savio di Terraferma per il semestre settembre-marzo del 1533. Il 19 luglio fallì l’elezione a podestà di Padova, poi ad altri rettorati, finché il 22 marzo 1534 fu destinato come luogotenente a Udine. Rimase in Friuli un anno e mezzo, quindi divenne savio alle Leggi (11 dicembre 1535), nell’ambito della revisione promossa dal doge Andrea Gritti. Successivamente, il 16 gennaio 1536, fu chiamato a far parte del Consiglio dei dieci, poi ancora fu savio alle Leggi (3 gennaio 1537), ma non portò a termine il mandato per assumere, il 2 aprile, il saviato di Terraferma, a sua volta interrotto di lì a qualche mese per essere stato eletto, il 10 giugno, podestà di Padova.
Dalla dichiarazione dei redditi, da lui presentata in quest’anno, sappiamo che era ricco: benché vivesse in una casa d’affitto, possedeva molti terreni a Piove di Sacco (Da Mosto, 1977, p. 260). Al termine della podestaria padovana, nell’ottobre del 1539 entrò ancora a far parte del Consiglio dei dieci, quindi fu savio di Terraferma nel primo semestre del 1541, poi nuovamente membro del Consiglio dei dieci (nominato il 20 agosto 1542), e un mese dopo, il 29 settembre, fu eletto ambasciatore a Roma.
Purtroppo di questa legazione presso Paolo III non abbiamo la relazione e neppure tutti i dispacci, perché questi – non numerati – iniziano il 15 dicembre 1543 e si interrompono bruscamente il 24 maggio 1544. Peraltro la permanenza di Venier presso la S. Sede non fu segnata da eventi di rilievo, in quanto si limitò a riferire le preoccupazioni del pontefice per le difficoltà di comporre la frattura dell’Europa cristiana; soprattutto perché, gli disse, «per causa di queste guerre non si può congregare il Concilio [...] et si va di male in peggio» (Archivio di Stato di Venezia, Archivio proprio Roma, b. 6, sub 19 aprile 1544).
Al rientro a Venezia si susseguirono le cariche: il 2 agosto 1545 venne eletto nel Consiglio dei dieci, poi consigliere ducale per il sestiere di S. Croce il 9 agosto 1545, fu savio del Consiglio nel primo semestre del 1546, 1547, 1548 e 1549; il 6 giugno 1546 entrò nella zonta del Consiglio dei dieci e il 7 settembre 1547 e ancora il 4 agosto 1549 fu chiamato a far parte dei Dieci. Consigliere ducale nel 1550 e nel 1552, il 13 aprile 1550 venne eletto podestà di Verona, ma neppure di questo rettorato lasciò la relazione. Correttore della Promissione ducale il 25 maggio 1553, fu poi dei quarantuno elettori del doge Marcantonio Trevisan, quindi (29 agosto) dei tre savi sulla fabbrica del palazzo ducale, membro del Consiglio dei dieci (3 settembre), savio del Consiglio da ottobre del 1553 al 18 marzo 1554.
Divenne doge meno di tre mesi dopo, l’11 giugno 1554, benché fosse spesso ammalato e ormai camminasse sorretto da due persone. Forse sarebbe stato più opportuno premiarne il lungo servizio con la nomina a procuratore di S. Marco, dal momento che la sua conoscenza diretta della politica internazionale si fermava all’ambasceria romana, ma probabilmente si vide in Venier niente più che un rappresentante del felice momento politico, economico e culturale che la Repubblica stava attraversando.
Si spiegano anche così le celebrazioni che nel campo artistico gli vennero tributate dopo la morte, avvenuta il 2 giugno 1556: in particolare il monumento di Iacopo Sansovino e la statua di Alessandro Vittoria che ne adornano il sepolcro nella chiesa di S. Salvador, ricca di suggestioni storico-religiose, e il quadro votivo di Palma il Giovane, che nella sala del Senato lo ritrae in piedi.
Nel testamento, redatto il 18 luglio 1550, lasciò erede delle sue sostanze il fratello Pietro, che sposando Elisabetta Da Lezze (1527) aveva assicurato la continuità del casato.
Fonti e Bibl: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, pp. 215, 217, 231; Segretario alle voci., Elez. Pregadi, regg. 1, cc. 7-11, 19, 27, 30, 33, 49, 59, 62, 63; 2, c. 56; Consiglio dei Dieci, Deliberazioni secrete, reg. 59, cc. 28v, 81r, 155r; Archivio proprio Roma, b. 6; Notarile testamenti, b. 1207/300; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., VII.822 (= 8901), c. 297; 823 (= 8902), c. 268; 824 (= 8903), c. 75; Biblioteca del Civico Museo Correr, Cicogna 3635: A.F. Bon, Collezione genealogica, storia, araldica della veneta patrizia famiglia Venier [...] 1803, cc. 3v, 9r, 17r, 21v; B. Spatafora, Al Serenissimo Principe [...] Francesco Venieri [...] nella sua creatione..., Messina 1627; M. Sanuto, I Diarii, a cura di R. Fulin et al., I-LVIII, Venezia 1879-1903, XI, XVIII, XX-XXI, XXIV-XXV, XXXIV, XLVI, XLVIII-LVIII, ad indices; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Firenze 1977, pp. 259-262; Il Serenissimo doge, a cura di U. Franzoi, Treviso 1985, pp. 3, 102, 205, 287, 293, 297, 304; W. Wolters, L’autocelebrazione della Repubblica nelle arti figurative, in Storia di Venezia, VI, Dal Rinascimento al Barocco, a cura di G. Cozzi - P. Prodi, Roma 1994, p. 482.