VANNI, Francesco
VANNI, Francesco. – Nacque a Siena il 5 gennaio 1564 da Eugenio di Giovanni Vanni, un agiato commerciante di stoffe, e da Battista di Vittorio Focari, e fu battezzato nella pieve di S. Giovanni Battista con il nome di Pierfrancesco (Bonelli, 1996, p. 95 doc. 2), un appellativo che il futuro pittore non utilizzò in alcun atto ufficiale.
Il padre morì prematuramente lasciando al figlioletto una cospicua eredità; nel 1567 la madre si risposò con il pittore Arcangelo Salimbeni, figura di spicco della scena artistica senese, dal quale nacque nel 1569 Alessandro, detto Ventura (doc. 1). Il giovane Francesco dovette condividere con il fratellastro l’apprendistato nella bottega del patrigno: una delle prime opere che gli eruditi locali gli attribuiscono (a partire da Ugurgieri Azzolini, 1649), l’Assunta tra i ss. Caterina e Bernardino dipinta a olio nella volta dell’oratorio inferiore di S. Bernardino, fu commissionata nel 1580 al vecchio Salimbeni e venne verosimilmente terminata da Francesco entro il gennaio dell’anno dopo (Bonelli, 1996, p. 96 docc. 4-5).
Nel marzo del 1580 l’esordiente pittore entrò a far parte della Congregazione del Sacro Chiodo, un’istituzione laicale che s’ispirava al modello di vita comunitaria proposto da Filippo Neri, e all’interno della quale strinse relazioni che si rivelarono determinanti per la sua carriera; nel novembre dello stesso anno prese in moglie Aurora Amaroni, figlia di un intagliatore senese (docc. 3, 6). Il vuoto documentario che sussiste negli archivi cittadini per il triennio seguente e la testimonianza resa dallo stesso Vanni in occasione del processo di beatificazione di Caterina Vannini, la mistica senese morta nel 1606 e a lui legata da un’amicizia spirituale (Ciampolini, 2010, pp. 906, 915), confermano che egli soggiornò allora a Roma, dove poté contare sul sostegno di importanti ecclesiastici, come i cardinali Cesare Baronio e Paolo Emilio Sfondrato, che egli aveva probabilmente conosciuto a Siena all’interno dei circoli legati agli oratoriani e che furono i suoi principali mecenati romani (Wegner, 1979; Profili, 2003).
Nella città eterna Vanni avrebbe esordito con la tela raffigurante S. Michele Arcangelo che calpesta Lucifero per la sagrestia di S. Gregorio Magno al Celio, dipinto che è concordemente ritenuto la sua prima opera autografa (Bagnoli, 1996, p. 93 nota 16; Garofalo, 2005, p. 347; Bonelli, 2009, p. 105); secondo i biografi (a cominciare da Mancini, 1618-1622, 1956; per un resoconto esaustivo sulla fortuna critica di Vanni si veda Maccherini, 2009, pp. 92 s.), il giovane artista sarebbe divenuto allievo di Giovanni de’ Vecchi da Borgo Sansepolcro, con il quale avrebbe collaborato nel cantiere della cappella Capranica in S. Maria sopra Minerva: l’intervento di Francesco è stato riconosciuto in una delle scene ad affresco dedicate a s. Caterina da Siena, quella con i miracoli da lei compiuti durante la sua fanciullezza (Zuccari, 2000, p. 141). Indagini radiografiche hanno inoltre rivelato che i due pittori dipinsero a quattro mani la tela conservata in S. Lorenzo in Miranda e raffigurante S. Caterina da Siena che si abbevera al costato di Cristo (ibid.), un soggetto che Vanni avrebbe replicato circa dieci anni più tardi nel dipinto destinato all’altar maggiore della chiesa senese di S. Girolamo (Ciampolini, 2010, p. 957).
Nel 1584 Francesco è documentato a Siena, quando sposò in seconde nozze Caterina Rossetti, la figlia di un ricco setaiolo (Bonelli, 1996, p. 96 doc. 8), dalla quale ebbe numerosi figli, tra cui vanno annoverati Michelangelo e Raffaello (v. la voce in questo Dizionario), nati rispettivamente nel 1585 e nel 1595, che sarebbero entrambi divenuti pittori (Ciampolini, 2010, pp. 906 s., 910; Francucci, 2017-2018). Nel 1585 la compagnia laicale cittadina del Beato Ambrogio Sansedoni commissionò a Vanni padre la decorazione pittorica di un cataletto di cui rimangono quattro pannelli, oggi nella collezione della banca Monte dei Paschi di Siena, nei quali sono raffigurati Cristo in Pietà, La resurrezione di Lazzaro, Il beato Ambrogio Sansedoni al cospetto della Madonna col Bambino e di s. Bartolomeo, Il beato Ambrogio che ottiene da Clemente IV la revoca della scomunica su Siena: le affollate composizioni assommano le esperienze maturate fin allora dal pittore, in cui appaiono individuabili le citazioni tratte dai brani più significativi dei protagonisti della contemporanea pittura romana, in particolare Taddeo e Federico Zuccari, Girolamo Muziano, Cesare Nebbia e Jacopo Zucchi (Bagnoli, 1996, pp. 84 s.); l’impresa del cataletto insieme a un nucleo di opere coeve, la Caduta di Cristo sotto la croce già in collezione privata a Locko Park, nel Derbyshire, il S. Girolamo penitente della collezione Chigi Saracini, il S. Agostino del Monte dei Paschi, l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata della chiesa senese di S. Maria dei Servi, precedono la svolta baroccesca del suo stile, che divenne manifesta a partire dal 1587 con la realizzazione del Battesimo di Cristo, eseguito per l’oratorio di S. Giovannino sotto il duomo e oggi nel Museo dell’Opera (ibid.); alcuni particolari architettonici nelle scene del cataletto sembrano desunti da stampe di Agostino Carracci e rivelano come Vanni avesse messo a punto una prassi lavorativa fondata sullo studio delle incisioni contemporanee e sulla reiterazione di motivi e di formule compositive, un metodo che utilizzò fino agli anni estremi della sua trentennale carriera (Garofalo, 2005, p. 349). Sintomatica di tale modus operandi appare la trasposizione, su scala di dimensioni maggiori, dell’impianto compositivo di matrice zuccaresca e della figura dell’alabardiere dalla tavoletta del Beato Ambrogio Sansedoni davanti a Clemente IV al Battesimo di Costantino dipinto nel 1586-87 per l’altare della famiglia Fondi nella chiesa senese di S. Agostino (ibid.).
Questa pala, in cui gli influssi romani cominciano a fondersi con elementi correggeschi, prelude alle opere eseguite nella seconda metà del nono e all’inizio del decennio successivo, che segnano la nuova fase nel percorso artistico di Vanni, quella maggiormente influenzata dall’astro di Federico Barocci. È stato ipotizzato (Bonelli, 2009, pp. 105 s.) che Francesco abbia conosciuto la pittura dell’urbinate durante il soggiorno romano, e che abbia potuto vedere la Visitazione della Chiesa Nuova, il dipinto che era stato commissionato direttamente da Filippo Neri e ultimato da Barocci nel 1586; l’opera che Vanni poté certamente studiare dal vero, come testimonia un disegno acquerellato conservato all’Ashmolean Museum di Oxford (Bagnoli, 1996, p. 84), e che assunse come modello ineguagliabile, fu la Madonna del Popolo, che fin dal 1579 ornava l’altare della Confraternita dei laici di Arezzo. Dalla tavola, oggi custodita agli Uffizi, così come da altri capolavori barocceschi quali il Riposo nella fuga in Egitto (1570-73) della Pinacoteca Vaticana e il Perdono di Assisi (1574-76) della chiesa di S. Francesco a Urbino, che dovevano essere noti al nostro grazie alla loro precoce divulgazione per mezzo delle stampe (Garofalo, 2005, p. 353), Vanni mutuò le composizioni di ampio respiro, di sovente costruite lungo direttrici diagonali, le fisionomie soavi delle figure, gli effetti cromatici iridescenti e cangianti: tali nuove componenti stilistiche permeano l’Annunciazione dipinta nel 1588-89 per la chiesa senese di S. Maria dei Servi, in cui si scorge la pedissequa citazione dalla Madonna del Popolo nell’angioletto alla destra di Dio Padre, e l’Immacolata Concezione (firmata e datata 1588) per il duomo di Montalcino, in cui la giovanissima Vergine ha assunto le fattezze delle modelle angelicate del maestro urbinate (Bonelli, 2009, pp. 107 s.).
Seppur filtrata e reinterpretata, la fonte baroccesca non si esaurisce nelle opere degli anni Novanta, ma si avverte nella pala con Il beato Ambrogio Sansedoni che intercede per Siena di fronte a Cristo, alla Vergine e a s. Bartolomeo (1591), conservata fin dal 1791 nella chiesa di S. Maria in Portico a Fontegiusta, ma la cui commissione si deve all’omonima compagnia laicale, e ancora nell’Annunciazione (1592) della chiesa delle Ss. Fiora e Lucilla a Torrita, nella Madonna col Bambino in trono, i ss. Bernardino, Francesco e Leonardo (firmata e datata 1593) della chiesa dei Cappuccini di Arcidosso, e in opere senesi quali le due tele con i ss. gesuiti Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka (1595) di S. Vigilio, nel Ritorno dalla fuga in Egitto (1598) dei Ss. Quirico e Giulitta, nel S. Giacinto in fuga da Kiev (firmata e datata 1599) di S. Domenico (ibid.). Dipinti grandiosi quali S. Ansano che battezza i senesi, completato nel 1596 e collocato sull’omonimo altare nella cattedrale di S. Maria Assunta in sostituzione del trittico con l’Annunciazione di Simone Martini e Lippo Memmi (Bonelli, 2008), e il poco più tardo Perdono di Assisi, realizzato per la chiesa pisana di S. Francesco (Garofalo, 2005, p. 355; Ciampolini, 2010, pp. 932-934), costituiscono da parte dell’oramai affermato Vanni un omaggio tanto all’indimenticata Madonna del Popolo quanto all’omonima tela urbinate.
A partire dal 1592 l’ascendente di Barocci cominciò ad affievolirsi e il pittore iniziò ad aggiornare il suo stile in senso naturalistico e a orientarsi verso le ricerche svolte dai colleghi fiorentini riformati e soprattutto dai Carracci: in questa fase si assiste all’inserimento di brani di paesaggio e a un progressivo incupimento delle tinte, mentre le figure acquistano un plasticismo e una levigatezza fin allora inusitati, come appare nella Trinità e santi (1592) di S. Antimo a Piombino, nell’Andata al Calvario (1593) della chiesa senese dei Ss. Quirico e Giulitta, nel Miracolo di s. Giacinto (1596) dell’altare Bargagli in S. Spirito a Siena. Opere di diretta ispirazione bolognese, che citano ad esempio l’Ultima comunione di s. Girolamo di Agostino Carracci della Pinacoteca nazionale di Bologna, sono la Comunione di s. Lucia (1596-98) della chiesa senese dei Ss. Lucia e Niccolò e la tarda Comunione della Maddalena (1609) di S. Maria di Carignano a Genova (Garofalo, 2005, pp. 353 s.).
Nel 1591, con l’esecuzione dei quattro pannelli che originariamente ornavano il cataletto della Compagnia di S. Caterina in Fontebranda (smembrati nel 1766, i pannelli raffigurano la Madonna in adorazione del Bambino, S. Caterina in meditazione, l’Estasi della santa, Cristo in Pietà e sono attualmente conservati nei locali attigui all’oratorio sorto in luogo della dimora natale della Benincasa: Santi, 1980; Ciampolini, 2010, p. 953), Vanni offrì il proprio personale contributo all’iconografia di Caterina attraverso la lirica rappresentazione della santa in meditazione, immagine che fu prontamente tradotta in incisione da Pieter de Jode il Vecchio nel 1597 (Bianchi, 1980). Tra il 1593 e il 1596 al pittore fu affidata la prosecuzione della decorazione della cappella di S. Caterina in S. Domenico, le cui pareti erano state lasciate incompiute da Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma. Vanni realizzò la scena principale con S. Caterina che libera un’ossessa e le effigi a figura intera dei confessori di lei, Raimondo da Capua e Tommaso Nacci, che andarono a ornare i pilastri interni dell’arco d’accesso secondo le disposizioni dettate dagli stessi frati domenicani (Ciampolini, 2010, pp. 954-956).
In una nicchia dell’oratorio detto della Cucina, all’interno del santuario di S. Caterina in Fontebranda, Vanni dipinse a olio entro il 1601 la scena solenne con la Canonizzazione della santa, in cui seppe coniugare gli stilemi più disparati: il fulcro compositivo con il corpo incorrotto della protagonista è esemplato sulle Esequie di s. Antonino (1588) di Domenico Passignano in S. Marco a Firenze, la gloria angelica rimanda alla lezione beccafumiana (Riedl, 2001, p. 557) e persistono elementi zuccareschi e barocceschi. Agli stessi anni della Canonizzazione risalirebbero la tela con Cristo che muta il cuore a s. Caterina, nel medesimo oratorio, la cui traduzione a stampa fu inserita da De Jode nella celebre serie incisoria edita nel 1597 con il titolo di Vita di s. Caterina, e il Matrimonio mistico della santa per la chiesa di S. Raimondo al Refugio, in cui il pittore si avvalse di effetti luministici contrastati, con le figure in primo piano che emergono da cupe penombre, una caratteristica che ricorre in opere coeve quali l’Immacolata Concezione di S. Margherita a Cortona, la Crocifissione di S. Giorgio a Siena e il Crocifisso che parla a s. Tommaso di S. Romano a Lucca (Garofalo, 2005, pp. 355 s.).
All’aprirsi del nuovo secolo Vanni fu chiamato a lavorare a Roma per conto dei suoi influenti estimatori Cesare Baronio, per il quale nel 1601 eseguì la Madonna della Vallicella di S. Maria degli Angeli a Sora (Ciampolini, 2010, p. 967), e Paolo Emilio Sfondrato: quest’ultimo si era fatto promotore del recupero del culto dei primi martiri cristiani e aveva avviato quei lavori di scavo nella sua chiesa titolare, S. Cecilia in Trastevere, che portarono al rinvenimento nel 1599 delle spoglie della martire (Profili, 2003, pp. 65 s.). Nel progetto di rinnovamento dell’edificio, in cui furono coinvolti i pittori Paul Brill, Guido Reni, Niccolò Circignani e Giovanni Baglione, a Vanni venne commissionata la lunetta per l’altare della cripta: il senese vi raffigurò S. Cecilia morente, rievocando, nella posa giacente, la scultura contemporanea che Stefano Maderno aveva realizzato per l’altare maggiore; lo stesso Vanni fornì i disegni per la traduzione a stampa della figura, che apparve incisa da Cornelis Galle nel 1601 a corredo dei nove episodi della Vita della santa (Nava Cellini, 1969). Alla committenza del cardinale vanno ricondotte la tela con Paolo Emilio Sfondrato inginocchiato di fronte a s. Cecilia, che risulta menzionata nel testamento del prelato ed è oggi nella sagrestia della chiesa del Gesù, una seconda redazione della Morte di s. Cecilia attualmente nei Palazzi Vaticani, e la Madonna tra le ss. Cecilia e Agnese della chiesa senese di S. Agnese a Vignano (Profili, 2003, pp. 69 s.). Grazie all’intercessione di Baronio, nel 1603 Vanni riuscì a ottenere l’incarico per l’esecuzione di una delle pale che per volere di Clemente VIII erano destinate alle «navi piccole» di S. Pietro in Vaticano (Chappell - Kirwin, 1974, in partic. pp. 130, 136-138): egli raffigurò su lastre di ardesia la ciclopica Caduta di Simon Mago, che gli valse l’onorificenza di cavaliere di Cristo (Ciampolini, 2010, pp. 936-939).
Negli ultimi anni di attività il pittore riuscì a soddisfare la crescente richiesta di opere che gli venivano domandate con sempre maggiore frequenza da Lucca e da Pisa, dove si ricordano la Madonna con il Bambino e santi in S. Torpè e la Disputa sul Sacramento del duomo (Garofalo, 2005, pp. 357 s.). Insieme alla pittura, anche i suoi disegni incontrarono l’apprezzamento dei collezionisti fin dal Seicento, come dimostra la predilezione da parte del cardinale Leopoldo de’ Medici (il corpus grafico di Vanni è stato oggetto degli studi di Peter Anselm Riedl, culminati nella mostra del 1976 al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi; si veda inoltre Garofalo, 2008).
Francesco morì nella città natale il 26 ottobre 1610, e il giorno seguente fu sepolto nella chiesa di S. Giorgio. Soltanto nel 1656 i figli Michelangelo e Raffaello fecero erigere una lapide commemorativa in corrispondenza della sepoltura, accanto al presbiterio; nel Settecento essa fu spostata nel transetto della chiesa (Ciampolini, 2010, p. 917).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1618-1622), a cura di A. Marucchi, I, Roma 1956, p. 270; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi..., II, Pistoia 1649, pp. 370 s.; A. Nava Cellini, Stefano Maderno, F. V. e Guido Reni a Santa Cecilia in Trastevere, in Paragone, XX (1969), 227, pp. 18-41; M. Chappell - W.C. Kirwin, A Petrine triumph: the decoration of the navi piccole in San Pietro under Clemente VIII, in Storia dell’arte, 1974, n. 21, pp. 119-170; P.A. Riedl, Disegni dei barocceschi senesi (F. V. e Ventura Salimbeni) (catal.), Firenze 1976; S. Wegner, Further notes on F. V.’s works for Roman patrons, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXIII (1979), pp. 313-324; L. Bianchi, Caterina da Siena nei disegni di F. V. incisi da Pieter de Jode, Roma 1980; B. Santi, in L’arte a Siena sotto i Medici, 1555-1609 (catal., Siena), a cura di F. Sricchia Santoro, Roma 1980, pp. 135 s., n. 50; A. Bagnoli, Gli inizi di F. V., in Prospettiva, 1996, n. 82, pp. 84-94; L. Bonelli, Documenti per il giovane F. V., ibid., pp. 95 s.; A. Zuccari, I toscani a Roma. Committenza e “riforma” pittorica da Gregorio XIII a Clemente VIII, in Storia delle arti in Toscana. Il Cinquecento, a cura di R.P. Ciardi - A. Natali, Firenze 2000, pp. 137-166; P.A. Riedl, Ein Sieneser Weg zum Himmel, in Opere e giorni. Studi su mille anni di arte europea dedicati a Max Seidel, a cura di K. Bergdolt - G. Bonsanti, Venezia 2001, pp. 557-566; F. Profili, F. V. e il cardinal Sfondrato, in Decorazione e collezionismo a Roma nel Seicento, a cura di F. Cappelletti, Roma 2003, pp. 65-74; C. Garofalo, F. V., in Nel segno di Barocci. Allievi e seguaci tra Marche, Umbria, Siena, a cura di A.M. Ambrosini Massari - M. Cellini, Milano 2005, pp. 346-369; L. Bonelli, L’altare di Sant’Ansano e “Sant’Ansano battezza il popolo senese” di F. V., in Le pitture del duomo di Siena, a cura di M. Lorenzoni, Cinisello Balsamo 2008, pp. 126-131; C. Garofalo, Aggiunte al corpus grafico di F. V., in Commentari d’arte, XIV (2008), 39-40, pp. 26-55; L. Bonelli, F. V. e la maniera di Barocci: colore, artificio, devozione, in Federico Barocci, 1535-1612. L’incanto del colore. Una lezione per due secoli (catal., Siena), a cura di A. Giannotti - C. Pizzorusso, Cinisello Balsamo 2009, pp. 104-111; M. Maccherini, Considerazioni sulla pittura senese al tempo di Barocci, ibid., pp. 92-103; M. Ciampolini, Pittori senesi del Seicento, III, Siena 2010, pp. 897-1016; M. Francucci, Puntualizzazioni sui Vanni, padre e figlio, in Valori tattili, 2017-2018, nn. 10-11, pp. 114-121.