VALVASENSE, Francesco
– Nacque verso il 1616 a Valvasone in Friuli. Non si conoscono i nomi dei genitori.
Da giovanissimo si spostò a Venezia, presumibilmente mentre la città si ripopolava al termine della pestilenza del 1630-31. Nel 1635 iniziò la trafila prescritta per il mestiere di stampatore come garzone dei Misserini e poi dei Pinelli. Nel 1641 si mise in proprio e aprì una piccola tipografia dotata di un solo torchio nella contrada di S. Antonino assieme a Francesco Misserini, ma nel 1642 ne divenne l’unico responsabile. L’anno successivo prese a stampare relazioni e fogli di avvisi politici circa l’andamento delle vicende militari della guerra di Castro tratti da originali fiorentini. Nel frattempo si impegnò nella stampa di libretti d’opera e come tipografo al servizio di librai più prestigiosi. In tale veste stampò nel 1634 per Turrini la Historia del cavalier perduto di Pace Pasini. Al medesimo anno risalgono le relazioni dirette con il patrizio letterato Giovanni Francesco Loredan, principale animatore dell’Accademia degli Incogniti, che dalla morte del tipografo Giacomo Sarzina nel 1641 aveva perso un riferimento sicuro per le molteplici iniziative editoriali dell’Accademia.
In tale ambito quindi si collocano le edizioni di questi primi anni con alcune opere poetiche di Scipione Errico (Del passaggio di Mose, 1644; La croce stellata, 1645) e il Camerotto di Girolamo Brusoni. Tra le prime opere del 1644 figurano anche gli Avvisi di Parnaso a poeti toschi di Marc’Antonio Nali, sollecitamente posti all’Indice, e l’Antisatira, risposta della celebre suora Arcangela Tarabotti al trattato misogino Satira contro il lusso donnesco di Francesco Buoninsegni, che Valvasense ristampò in due edizioni con leggere differenze. Su questa linea l’attività editoriale di Valvasense proseguì negli anni immediatamente successivi, con ristampe di opere di Ferrante Pallavicino (Rete di Vulcano, 1646; Il Sansone, 1648) e dello stesso Loredan: le Opere, la Vita di Alessandro III e le Bizzarrie accademiche nel 1646; la seconda parte delle Bizzarrie accademiche, le Historie de’ re Lusignani (stampato con le false note tipografiche di «Bologna per Giacomo Monti»), i Sei dubbi amorosi nel 1647; la Vita di San Giovanni vescovo traguriense nel 1648. Erano tutte opere assai richieste, ma di non grande impegno tipografico – se non per l’inserimento di qualche immagine incisa da Iacopo Piccini – che spesso riportavano sul frontespizio la marca della Verità, costituita da una donna che tiene in una mano il sole e nell’altra un libro aperto e un ramo di palma.
Nel 1647, quasi a coronamento di tale genere di attività, Valvasense stampò il suo libro più rilevante anche dal punto di vista dell’impegno tipografico, sul frontespizio del quale egli figurò per la prima volta con la qualifica di «Stampator dell’Accademia». Si trattò delle Glorie de gli Incogniti o vero gli huomini illustri dell’Accademia de’ signori Incogniti di Venetia, un elegante volume in quarto di 432 pagine con 102 profili biografici di accademici Incogniti, ciascuno corredato da un ritratto in rame appositamente predisposto per l’occasione. L’opera era ornata da un’antiporta allegorica incisa da Piccini su invenzione del pittore Francesco Ruschi; i due erano anche autori dell’immagine dell’emblema dell’Accademia raffigurante il delta del Nilo con il motto «Ex ignoto notus».
L’impegno di Valvasense in questi anni non si limitò alle opere pubblicate alla luce del sole. Egli fu infatti il principale imputato di un processo celebrato dal tribunale del S. Uffizio veneziano lungo tutto il 1648, che lo vide al centro di un sistema di produzione e di commercializzazione di libri proibiti. Il procedimento iniziò nel mese di febbraio, quando all’Inquisizione giunse notizia di un libro dal titolo Che le donne non siano della stessa specie degli huomini, discorso piacevole tradotto da Horatio Plata romana, versione italiana di un trattatello misogino di Valens Acidalius (lo scrittore tedesco Valtin Havekenthal), uscito in prima edizione a Francoforte nel 1595, che ora figurava stampato a Lione da Gaspero Ventura, ma che in realtà si diceva fosse opera di Valvasense. Risultò presto che non si trattava dell’unico episodio e che altri libri con caratteristiche simili animavano il mercato clandestino. Era il caso dei Frammenti istorici della guerra di Candia di Anticono Sertonato, pseudonimo di Antonio Santacroce (uscito con il luogo di stampa di Bologna) e della celebre Anima di Ferrante Pallavicino (Lione, Fallardi, senza data), scritto attribuibile allo stesso Loredan che simulava un colloquio tra Henrico Giblet, pseudonimo di Loredan, e l’anima dello scrittore giustiziato ad Avignone nel 1644. Risultò inoltre che anche altri ricorrevano all’opera di Valvasense per la stampa di opere al di fuori dei canali legali. In particolare, l’ambasciatore dell’imperatore l’aveva incaricato della vendita e forse anche della stampa della cronaca di Alessandro Giraffi, Le rivolutioni di Napoli. Una perquisizione disposta nei magazzini di Valvasense consentì inoltre di rinvenire vari altri titoli legati ai medesimi ambienti libertini, non necessariamente stampati da lui, ma da lui immessi sul mercato. Tra questi vi erano scritti di carattere giornalistico o storico sulle vicende politiche in corso come i non meglio identificati Avvisi di Napoli e le Istravaganze nuovamente seguite nel Regno di Francia di Xante Mariales, e varie opere letterarie molto richieste, come l’Adone di Giambattista Marino, il Corriero svaligiato, la Rete di Vulcano e la Rettorica delle puttane di Ferrante Pallavicino, Le staffilate di Tommaso Stigliani, la Lucerna e la Messalina di Francesco Pona.
Il 18 giugno 1648 il tribunale dispose l’arresto di Valvasense, mentre Loredan si stava adoperando affinché eventuali testimoni a carico potessero allontanarsi da Venezia. Nei mesi successivi, malgrado importanti esponenti dell’Accademia degli Incogniti, come Maiolino Bisaccioni, i patrizi e accademici Incogniti Pietro Michiel e Giovanni Dandolo avessero testimoniato a suo favore, le responsabilità parvero accertate. Risultavano inoltre evidenti le relazioni con Loredan che tuttavia non venne mai sentito. Il 4 febbraio 1649 Valvasense venne pertanto riconosciuto «legiermente sospetto d’eresia» e colpevole di aver stampato contro le norme prescritte. Venne quindi condannato all’abiura «e alla prigione serrata per tutto quel tempo che a noi parerà» (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, b. 103).
Un mese dopo gli vennero concessi gli arresti domiciliari e a luglio la libertà definitiva e il permesso di riprendere il lavoro. Nello stesso 1649 e nel 1650 stampò la prima edizione italiana del Faber Fortunae di Francis Bacon (Il fabro di fortuna, overo ammaestramento per la vita civile), dedicata all’Incognito Pietro Michiel e tradotta da Giovanni Francesco Crotto, che probabilmente era già in cantiere prima dell’arresto. La limitata diffusione dell’opera è da ricondurre alle difficoltà processuali di Valvasense, che per alcuni anni ridusse di molto l’attività tipografica, mentre le relazioni con Loredan non tornarono più come in passato. Nel 1656 era segnalato dalla corporazione degli stampatori tra i poveri autorizzati a mantenere aperto un banco di libri nei giorni di festa. L’impegno tipografico riprese con maggior lena negli anni successivi grazie anche alle relazioni con letterati come Girolamo Brusoni e Antonio Lupis, che risalivano al periodo in cui era stato sotto il controllo di Loredan. I contributi versati alla corporazione si mantennero tuttavia sempre nella fascia più bassa, segno evidente di un giro d’affari molto limitato.
Valvasense morì a Venezia nel 1668; gli successe il figlio Giovanni Francesco (1644-1705).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Arti, b. 163, 166, 178, cc. 1r-2r; Giudici di Petizion, Inventari, b. 402/67, n. 25; Milizia da Mar, bb. 642, 645; Sant’Uffizio, b. 103; Venezia, Archivio del Patriarcato, Parrocchia di Sant’Antonino, reg. dei battesimi, n. 2; Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Indice, Diari, vol. IV, cc. 224 (23 agosto 1645), 232-233 (20 dicembre 1645), 287 (27 maggio 1648); Protocollo del segr. Giovanni de Marini (1628-50) EE; cc. 65-66.
G. Spini, Ricerca dei libertini: la teoria dell’impostura delle religioni nel Seicento italiano, Firenze 1983, pp. 175, 208, 216, 222; E. Weaver, Un falso editoriale: la princeps (1644) dell’Antisatira di Arcangela Tarabotti, in “Feconde vennero le carte”. Studi in onore di Ottavio Besomi, a cura di T. Crivelli, I, Bellinzona 1997, pp. 393-404; F. Buoninsegni - A. Tarabotti, Satira e antisatira, a cura di E. Weaver, Roma 1998, pp. 110 s.; T. Menegatti, Ex ignoto notus: bibliografia delle opere a stampa del principe degli Incogniti: Giovan Francesco Loredano, Padova 2000, ad ind.; Le edizioni veneziane del Seicento: censimento, a cura di C. Griffante, I-II, Venezia-Milano 2003-2006, ad ind.; F. Cocchiara, Il libro illustrato veneziano del Seicento. Con un repertorio dei principali incisori e peintre-graveurs, Saonara 2010, ad ind.; S. Villani, Gli Incogniti e l’Inghilterra, Gli Incogniti e l’Europa, a cura di D. Conrieri, Bologna 2011, pp. 233 s., 241; M. Infelise, I padroni dei libri. Il controllo sulla stampa nella prima età moderna, Roma-Bari 2014, pp. 77, 143 s., 170 s., 189-193; Id., Chi stampava i primi libretti d’opera (Venezia 1637-1645)?, in Itinerari del libro nella storia: per Anna Giulia Cavagna a trent’anni dalla prima lezione, Bologna 2018, pp. 141-150.