VALENTI, Francesco
Nacque a Palermo il 5 dicembre 1868 da Salvatore e Concetta Mirabile. Il padre, scultore, lavorò alla fine dell’Ottocento nei cantieri di restauro del chiostro di Monreale e della Cappella Palatina a Palermo, in cui realizzò alcuni capitelli in stile. Fu in tale ambiente culturale che il giovane Valenti si avvicinò all’arte e alla conoscenza dell’architettura.
Laureatosi in Ingegneria a Palermo nel 1891, la sua attività nel campo della tutela dei monumenti iniziò già l’anno seguente come collaboratore di Giuseppe Patricolo, direttore dell’Ufficio regionale per la Conservazione dei Monumenti della Sicilia. Nel 1894 diresse, su incarico di Patricolo e dell’archeologo Antonino Salinas, alcuni scavi archeologici a Selinunte. Nel 1895 entrò ufficialmente a far parte dell’organico dell’Ufficio regionale con la qualifica di architetto ingegnere, e nello stesso anno seguì i restauri della pavimentazione e del cappellone della chiesa di Casa Professa a Palermo. Si formò nei cantieri diretti da Patricolo, da lui stesso definito «venerato maestro» (Valenti, 1931/1932 [1932], p. 537), collaborando alla progettazione e alla direzione di importanti restauri come quelli della chiesa della SS. Trinità di Delia presso Castelvetrano, del duomo e del chiostro di Cefalù, delle chiese di S. Giovanni degli Eremiti, di S. Cataldo, di S. Maria dell’Ammiraglio e del palazzo Chiaramonte a Palermo.
Essendo succeduto a Patricolo l’archeologo Antonino Salinas nella direzione dell’Ufficio regionale, nel 1907 Valenti fu nominato architetto di prima classe. Con la riforma del sistema di tutela, nel 1907 si costituì in Sicilia una Soprintendenza ai Monumenti di competenza regionale con sede a Palermo. Di fatto gli uffici regionali furono attivi fino al 1910, quando Salinas venne nominato soprintendente per la Sicilia occidentale e Valenti fu confermato architetto della Soprintendenza; dall’anno seguente lavorò al restauro del castello normanno di Maredolce a Palermo.
Come è ben noto, il 28 dicembre del 1908 un terremoto si abbatté sulla Sicilia nord-orientale e su parte della Calabria; l’indomani del sisma Salinas e Valenti si recarono nella devastata Messina per valutare i danni, recuperare le opere d’arte tra le macerie e puntellare le architetture superstiti. Ebbe così inizio il grande impegno di Valenti per la ricostruzione dei monumenti messinesi, con un’attività durata fino al secondo dopoguerra. Dal 1912, incaricato da Salinas di progettare il Museo nazionale di Messina, compì alcuni viaggi all’estero per studiare i maggiori musei a una sola elevazione, adatti in zona sismica. Nel giugno 1916 fu trasferito a Messina per dirigere i restauri in corso nell’intera provincia. La sua attività nel quadro della ricostruzione post-sisma fu intensa e complessa. Esempi emblematici furono la lunga ricostruzione del duomo della città con struttura in cemento armato, oggetto di apprezzamenti e critiche, quella della chiesa di S. Francesco, e il restauro della chiesa dell’Annunziata dei Catalani e della chiesa di S. Maria della Valle, detta Badiazza. Furono pure di questi anni alcuni interventi nella Sicilia orientale, come, dal 1916, il restauro della chiesa normanna del SS. Salvatore a Rometta e, nel 1917, i restauri della chiesa di S. Agostino e della badia vecchia a Taormina.
Valenti risiedette a Messina fino al 1919, quando tornò a Palermo con l’incarico di assumere temporaneamente la direzione della Soprintendenza ai Monumenti; tuttavia non diminuì mai la sua cura per i restauri messinesi.
Nel 1920 il Ministero della Pubblica Istruzione trasferì alla Soprintendenza siciliana la tutela dei monumenti delle province di Reggio, Catanzaro, Cosenza e Potenza, fino allora di competenza della Soprintendenza di Napoli, cui tornò nel 1922. In soli due anni di presenza in Calabria, malgrado le difficoltà logistiche, Valenti eseguì molti sopralluoghi e propose diversi interventi, dando un nuovo impulso alla tutela di quei territori.
Grazie all’esperienza in Sicilia orientale e in Calabria e ai contatti con l’archeologo Paolo Orsi, studiò direttamente le testimonianze dell’architettura basiliana e, pur a scapito delle stratificazioni, quasi sistematicamente demolite, ne chiarì le fasi storiche, effettuando scoperte e restauri; tra gli anni Dieci e Venti intervenne infatti nelle chiese basiliane dei Ss. Pietro e Paolo a Forza d’Agrò, di S. Filippo a Messina, dei Ss. Pietro e Paolo a Itala, di S. Maria di Mili, di S. Filippo di Fragalà a Frazzanò.
Nel 1924 fu nominato, dopo il periodo di reggenza, soprintendente per l’Arte medievale e moderna della Sicilia. Soprattutto da questo momento esercitò in prima persona una capillare tutela dei monumenti, estendendo il proprio interesse ad architetture fino allora poco note e periferiche rispetto ai grandi centri siciliani. Successore ideale di Patricolo, cui si deve l’inizio della stagione dei restauri dei monumenti normanni nell’isola, Valenti ne continuò la politica di riscoperta dello stile «arabo-normanno». In un’epoca in cui, anche in Sicilia, forti motivazioni storiche, culturali e politiche individuavano nella dominazione normanna l’unica felice realizzazione della nazione siciliana, i suoi monumenti acquisirono un forte valore simbolico. Nel quadro delineato, l’opera di Valenti incise sugli aspetti formali, stilistici e strutturali di quelle fabbriche, restaurate secondo una lettura figlia di un’ideologia vicina ai nazionalismi dell’epoca e non di rado strumentalizzata dal regime fascista. Egli, indicando le linee d’intervento dei restauri più significativi e avvalendosi di validi collaboratori come Ettore Miraglia, Filippo Cusano, e più tardi Pietro Loiacono e Mario Guiotto, non si risparmiò in frequenti sopralluoghi presso i monumenti, concretizzando le proprie idee nei restauri.
Tra gli interventi più significativi in area palermitana si ricordano, negli anni Venti, quello nella chiesa di S. Giovanni del Lebbrosi, in cui Valenti demolì gli elementi barocchi per ripristinare le forme normanne; e la cappella e la loggia dell’Incoronazione e la chiesa della Magione, liberate e ricomposte sempre secondo l’assetto normanno. Intorno al 1930 Valenti intervenne nei palazzi Termini Pietratagliata e Chiaramonte a Palermo; le scelte formali condotte dal soprintendente per un ritorno all’immagine originaria dei prospetti con l’eliminazione delle stratificazioni innescò polemiche e dibattiti, comportando il coinvolgimento del Consiglio superiore di Antichità e Belle arti e innescando le aspre critiche dello storico locale Nino Basile, suo usuale oppositore, che confluirono in segnalazioni al Ministero, in articoli e in pubblicazioni di denuncia. Molto sentito fu anche il dibattito sulla proposta, intorno al 1932, di demolire o rivestire in stile la cupola neoclassica della cattedrale di Palermo, normanna, dibattito che vide protagonisti Valenti, Basile e l’ingegnere Antonio Zanca.
Ampio e complesso fu il restauro del Palazzo Reale a Palermo, condotto da Valenti tra il 1921 e il 1938 e volto anche a individuare le trasformazioni della grande fabbrica nel tempo; in particolare furono eseguiti consistenti consolidamenti della Cappella Palatina. Sempre a Palermo, tra il 1919 ed il 1936 Valenti intervenne nel palazzo della Cuba con un consolidamento con cemento armato e una parziale ricostruzione, ripristinandone i tipici elementi normanni; metodologia analoga guidò il restauro del palazzo dello Scibene tra il 1924 e il 1928.
Si rilevano anche episodici ma significativi interventi a favore di opere risalenti ad epoche diverse dal Medioevo, come le chiese del SS. Salvatore e di Casa Professa a Palermo, la villa Valguarnera a Bagheria e alcuni oratori serpottiani.
Nonostante l’estensione della Sicilia, Valenti intervenne significativamente in tutta l’isola; nella parte orientale si ricordano il restauro e l’isolamento del castello Ursino a Catania, l’intervento al palazzo Bellomo a Siracusa, i restauri delle architetture basiliane; nella Sicilia occidentale si possono citare i restauri della chiesa di S. Agostino a Trapani, della chiesa di S. Nicolò Lo Reale e Del duomo a Mazara, il consolidamento e gli “scrostamenti” delle decorazioni barocche della cattedrale di Agrigento, restauri in cui egli tese sempre a ripristinare gli elementi caratterizzanti l’architettura di epoca normanna.
In ambito archeologico furono complesse e di grande notorietà le anastilosi del Tempio di Eracle ad Agrigento e del Tempio C a Selinunte, eseguite negli anni Venti con l’uso di cemento armato.
Non di rado Valenti assunse precise posizioni in favore della conservazione estesa a scala urbana; criticò il nuovo Piano regolatore di Messina che stravolse il cosiddetto “ambiente dei monumenti”, come nel caso delle chiese di S. Francesco d’Assisi e di S. Giovanni di Malta. A Palermo fu un fermo oppositore alla demolizione del Forte Castellammare, programmata, negli anni Venti, per l’ampliamento del porto della città, riuscendone a salvare alcuni degli elementi più significativi.
Nel 1931 partecipò alla Conferenza di Atene per il restauro dei monumenti come membro della delegazione italiana, guidata da Gustavo Giovannoni; qui espose una sintesi della sua attività attraverso casi emblematici come le anastilosi di Agrigento e Selinunte e i principali restauri di architetture normanne.
Nel 1935 fu collocato a riposo per ragioni di età; tuttavia negli anni seguenti l’ex-soprintendente continuò a interessarsi al restauro dei monumenti, anche inviando proposte e comunicazioni al Ministero della Pubblica Istruzione sui lavori in corso a Palermo ed entrando in conflitto con i suoi successori.
Nel 1946 fu autorizzato dal Ministero a continuare i lavori intrapresi al Palazzo Reale di Palermo e al bombardato duomo di Messina, che si scelse di ricostruire per la seconda volta sul suo stesso progetto post-terremoto datato 1923. Nel 1950 prese parte ai restauri delle chiese di S. Giuseppe e di Casa Professa a Palermo, danneggiate dai bombardamenti aerei del 1943.
Morì il 16 settembre del 1953, a 84 anni, nella sua casa in via Maletto a Palermo.
Dopo la morte fu spesso criticato, dapprima per gli estesi ripristini eseguiti e, più tardi, per il frequente uso del cemento armato nei consolidamenti.
La sua metodologia, che oggi va valutata col necessario spirito critico, fu in gran parte allineata alla cultura del restauro coevo, sia per la tendenza ai ripristini in nome di un presunto stato originario normanno – che trova numerose analogie nel restauro in altri ambiti regionali dell’epoca – sia per l’uso del cemento armato nel consolidamento; la diffusione di tali orientamenti fu peraltro confermata con la Carta di Atene del 1931.
Se il costo degli interventi di Valenti fu la compromissione dell’autenticità dei monumenti in nome del ritorno a un presunto stato originario, d’altro canto grazie ai suoi interventi molte fabbriche furono consolidate, talvolta anche riscoperte e sottratte alla distruzione.
È significativo, infine, il valore documentario del prodotto della sua attività, un vasto patrimonio fotografico, grafico e documentario conservato nel Fondo Valenti, presso la Biblioteca comunale di Palermo, negli archivi storici delle Soprintendenze siciliane e all’Archivio centrale dello Stato di Roma, che restituisce un quadro organico sullo stato dei monumenti e sugli interventi eseguiti, nonostante la limitatezza dei mezzi tecnici del tempo, e costituisce oggi una risorsa per lo studio della storia dell’architettura e del restauro in Sicilia.
Il Palazzo Reale di Palermo, in Bollettino d’arte, s. 2, XI (1925), pp. 512-528; Les travaux de restauration du Dome de Messine, in Mouseion, 17-18, 1932, pp. 155-161; Travaux de relèvement du temple d’Heraclès à Agrigento et du temple C à Selinunte, in Mouseion, 20, 1932, pp. 78-82; L’arte nell’era normanna, in Il Regno normanno, Messina 1932, pp. 220-240; La SS. Annunziata detta “dei Catalani”, in Bollettino d’arte, s. 3, XXV (1931/1932 [1932]), pp. 533-551; Il modello della Madonna nel monumento di Pietro Riario ai Santi Apostoli, ivi, XXVI (1932/1933 [1933]), pp. 295-306; Il Palazzo dei Normanni a Palermo, in Mediterranea. Almanacco di Sicilia, Palermo 1949, pp. 301-306.
N. Basile, Palermo felicissima. Divagazioni d’arte e di storia, Palermo 1929, passim; A. Zanca, Sul proposto restauro della Cattedrale di Palermo, Palermo 1934; M. Guiotto, Palazzo ex Reale di Palermo. Recenti restauri e ritrovamenti, Palermo 1945; V. Tusa, Anastiylosis ad Agrigento (Tempio di Eracle) e Selinunte (Tempio C), in Sicilia Archeologica, XXVII, 1975, pp. 63-69; S. Boscarino, Il Duomo di Messina dopo il terremoto del 1908 tra consolidamento e ricostruzione, in Archivio storico messinese, L (1987), pp. 5-43; La trama della ricostruzione. Messina, dalla città dell’Ottocento alla ricostruzione dopo il sisma del 1908, a cura di G. Currò, Roma 1991 (in partic.: T. Pugliatti, F. V. e il restauro come ricostruzione integrale, pp. 78-95); C. Genovese - F. Tomaselli, Il cemento armato nel restauro: due esempi nella Sicilia del primo Novecento. Ricostruzione e consolidamento nei casi del Duomo di Messina e della Cuba a Palermo, in Architettura e materiali del Novecento. Conservazione, restauro, manutenzione. Atti del Convegno di studi… Venezia 2004, pp. 695-703; B. Billeci, S. Agostino, la “Giudecca” e l’Annunziata a Trapani: trasformazioni urbane e restauri tra Ottocento e Novecento, in L’architettura di età aragonese nel Val di Noto, a cura di G. Pagnano, Siracusa 2007, pp. 94-98; 28 dicembre 1908: la grande ricostruzione dopo il terremoto del 1908 nell’area dello Stretto, a cura di S. Valtieri, Roma 2008, pp. 512-567; C. Genovese, Palazzo Chiaramonte a Palermo: progetti e metamorfosi fra Otto e Novecento, in ΆNAΓKΗ, 53, 2008, pp. 156-167; Ead., Francesco Valenti. Restauro dei monumenti nella Sicilia del primo Novecento, Napoli 2010; Tutela e restauri in Sicilia e in Calabria nella prima metà del Novecento, a cura di R. Scaduto, Roma 2015 (in partic.: Z. Barone, Restauri delle chiese basiliane nella Sicilia orientale nella prima metà del XX secolo. La chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Forza d’Agrò [Messina], pp. 23-51).