TRIONFI, Francesco
– Nacque ad Ancona il 31 marzo 1706 da Bartolomeo e da Felice Colomba Righetti. Le genealogie di famiglia vogliono che fosse il primogenito di quattro fratelli, due maschi e due femmine, ma il fatto che fosse nato a distanza di sette anni dal matrimonio dei genitori, avvenuto nel 1699, fa dubitare della perfetta accuratezza di quelle ricostruzioni.
Del padre e degli zii sappiamo abbastanza poco. Di sicuro appartenenti al ceto civile non erano però tra i maggiori possidenti della città e negli atti ufficiali Bartolomeo non sfoggiava altro titolo che quello derivante dal suo grado militare del momento (capitano, maggiore, colonnello).
Anche sui primi anni di vita di Francesco, gli studi, la formazione, le prime esperienze professionali abbiamo scarse informazioni. Una prima notizia certa riguarda la sua immatricolazione all’Università dei mercanti di Ancona, avvenuta nell’agosto del 1726.
Anche negli anni immediatamente successivi continua la penuria di documenti, che si limitano ad alcuni atti notarili, con i quali stipulava contratti di compravendita di mercanzie e soprattutto di finanziamento dell’acquisto di piccole partite di merci da parte di altri. Le cifre erano tutto sommato modeste, ma questo non gli impediva di esigerne sempre la puntuale restituzione, mostrando così quell’asprezza di carattere che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. In questi stessi anni il suo nome continuò ad affermarsi nella comunità mercantile, tanto da vedersi affidare diversi incarichi di fiducia da importanti ditte commerciali locali e internazionali.
All’inizio degli anni Trenta Trionfi era una personalità di spicco e anche se non abbiamo conferme documentarie del fatto – da lui rivendicato in occasione di un processo – che fosse stato tra i principali ispiratori della creazione del porto franco di Ancona nel febbraio del 1732, di certo fu favorevole alla misura presa da Clemente XII. Primo amministratore del porto franco fu peraltro lo zio materno Bartolo Righetti Lombardi, che ebbe un ruolo fondamentale nella vita e nell’affermazione professionale del nipote. A lui si dovette infatti il salto di qualità di Trionfi da «principiante» a uomo d’affari dotato di «grido, corrispondenze e capitali» (Caracciolo, 1962, p. 12): il 10 giugno 1733, davanti a un notaio di Roma, Bartolo gli concesse in prestito 20.000 scudi al favorevole tasso del 6% e nel suo testamento di nuovo gli manifestò la propria fiducia e stima nominandolo tutore del suo erede universale.
Tra il 1732 e il 1733 la ditta Trionfi & C., già attiva almeno dal 1729, beneficiò dunque di una serie di circostanze favorevoli – dall’aumento dei traffici conseguente all’introduzione della franchigia doganale al cospicuo finanziamento ricevuto dallo zio – che ne permisero la definitiva affermazione. L’intraprendenza e la lungimiranza del suo socio principale svolsero un ruolo altrettanto se non più importante. Come orgogliosamente affermò anni dopo, egli per primo aprì traffici «coll’Inghilterra, colla Norvegia, coll’America in Terranova» (p. 13), facendo giungere da ognuno di questi Paesi navi intere cariche di merci che trovavano ad attenderle nel porto di Ancona gli opportuni «ricarichi» per il viaggio di ritorno. Il tutto era reso possibile da una precisa organizzazione e da una rete di agenti e corrispondenti. A Londra dal 1734, se non da prima, operava un suo agente che, oltre a rappresentarlo in Inghilterra, condivideva con lui la proprietà di alcune navi. In questa maniera Trionfi era in grado di far arrivare ad Ancona tra le cinque e le dieci navi inglesi all’anno, d’estate come d’inverno. Una memoria giudiziaria del 1738 fornisce un elenco preciso di questi traffici che avevano come oggetto pesce affumicato o salato dell’Atlantico e del Mare del Nord, zucchero delle Indie occidentali, pani di piombo e verghe di ferro. La nave inglese Amicizia proveniente da Pietroburgo trasportava anche cera, pellami e caviale. I carichi di ritorno erano generalmente costituiti da grani, dei quali riusciva quasi sempre ad assicurarsi le tratte (permessi di esportazione) a scapito dei suoi concorrenti. In quegli stessi anni era inoltre riuscito ad assicurarsi il monopolio di fatto dei traffici con la Moscovia, da cui importava soprattutto pellami fini che rivendeva a prezzi definiti «altissimi» dai suoi concorrenti (p. 15). Nel 1738 il console veneziano Francesco Milesi riferiva che la ditta Trionfi & C. vantava un capitale di circa 30.000 scudi, faceva affari «per ogni parte in ogni genere per Londra, Amsterdam, Marsiglia, Genova, Venezia, Livorno, Lombardia, Trieste e altri luoghi» (pp. 15 s.) ed era una delle pochissime imprese mercantili dotate di un giro di affari internazionale.
Definito «il più azardoso con fondo proprio e d’altri» (Caracciolo, 1962, p. 16), alla fine degli anni Trenta Trionfi decise di espandere la propria sfera di azione economica in direzione della produzione industriale. A questo fu probabilmente indotto dalle difficoltà che, a qualche anno dalla creazione del porto franco, il commercio anconetano attraversava. La scarsità di merci che potevano costituire i ricarichi – e che si limitavano essenzialmente al grano –, l’arretratezza degli strumenti finanziari di una piazza dove non c’erano, «o di rado in pochissima quantità, lettere di cambio» (p. 18), stavano infatti costringendo a chiudere molte ditte italiane e straniere. Di questo era ben consapevole la Congregazione del porto franco di Ancona, che a più riprese studiò la possibilità di creare un «banco d’imprestanza» per rifornire di capitali i mercanti (p. 19), ma i progetti rimasero sempre tutti sulla carta. La ditta Trionfi & C. non mancava comunque di liquidità e poteva anzi espandere i propri investimenti nel credito soprattutto attraverso lo strumento del ‘cambio marittimo’ all’interesse del 12% per cifre anche piuttosto alte. Con un atto formale stipulato il 12 dicembre 1737, Stefano Venturini, concessionario della privativa per la fabbricazione di manufatti di piombo e in particolare di munizioni, si impegnò a produrre un grosso numero di pallini da archibugio e lastre di piombo per «il sig. Trionfi». L’accordo prevedeva che Trionfi fornisse la materia prima e che Venturini riservasse a lui il commercio su larga scala, limitandosi a smerciare i suoi prodotti al minuto sulle piazze di Ancona e alla fiera di Senigallia. Negli anni successivi il coinvolgimento di Trionfi nell’impresa continuò con l’erogazione di grossi prestiti e i due nomi di Venturini e Trionfi appaiono associati nei registri contabili della Reverenda Camera apostolica. Non stupisce quindi che, anche nella sua veste di console dell’Università dei mercanti, Trionfi appoggiasse la protesta del titolare della privativa contro la concorrenza di produttori ebrei ed è anche a suo nome che nel 1739 Venturini si rivolse a Roma per ottenere un più ampio monopolio su quasi tutti i manufatti di piombo. Le clausole di quest’ultimo appalto prevedevano che il titolare dovesse comprare ogni anno un grosso quantitativo di materia prima da quei mercanti di Ancona che l’avessero commissionato in Inghilterra. Il capofila di questi era, come si è visto, lo stesso Trionfi. La Camera apostolica concedeva inoltre all’appaltatore una tratta annuale per un grosso quantitativo di grano: piombo inglese contro grano pontificio, dunque, com’era appunto nelle corde di Trionfi. Nonostante il ricorso presentato dai produttori minori, messi in ginocchio da questo accordo, la fabbrica prosperò almeno fino al 1763, quando la privativa fu abolita e sostituita da una forte gabella di ingresso. Nel frattempo Trionfi era diventato anche ufficialmente «cessionario della fabbrica di S. Venturini» (p. 26) e, mentre si era dichiarato favorevole all’abolizione della privativa e all’introduzione della gabella sui manufatti di piombo, si era apertamente opposto a quella sulla materia importata dall’estero in nome della «franchigia promessa con pubblico oblatorio editto all’estere nazioni, e contrattata fra il principato e i sudditi» (p. 27).
L’accorto mercante aveva comunque diversificato i propri investimenti entrando in società in una raffineria di zuccheri. Anche in questo caso alle origini dell’impresa c’era stato Venturini, che negli anni Trenta aveva aperto una fabbrica di zuccheri lavorati e biacche. A corto di capitali, nel 1741 aveva però deciso di coinvolgere Trionfi in una società nella quale quest’ultimo forniva il capitale e il primo metteva tutte le attrezzature necessarie insieme al proprio continuo e assiduo lavoro. I 10.000 scudi investiti da Trionfi provenivano ancora una volta da un prestito molto vantaggioso offertogli dallo zio Righetti Lombardi. La fabbrica non si rivelò abbastanza produttiva e nel 1748 venne venduta alla ditta Durati & Forza. Nel 1770 tuttavia Trionfi risulta ancora socio accomandante con un capitale di 10.000 scudi.
Altre iniziative manifatturiere riguardarono una fabbrica di sapone, inizialmente avviata dal solito Venturini, e il tentativo, subito arenatosi, di aprire una conceria e di ottenere allo stesso tempo la privativa del commercio dei pellami importati attraverso il porto di Ancona. Trionfi era inoltre proprietario di navi – e anzi era uno dei soli tre mercanti locali che possedessero navi in proprio – e non si limitava a comprare, ma rivendeva anche quelle imbarcazioni che gli fossero state cedute a saldo di debiti.
Nonostante queste sue varie attività la sua fortuna fu legata – come non poteva che avvenire in una comunità di circa 10.000 abitanti (per la precisione 7000 nel 1725, 13.828 nel 1763), con un retroterra rurale altrettanto poco popoloso e con la vicinanza di un fortissimo concorrente come Venezia – agli appalti di entrate pubbliche e in particolare a quello delle dogane, ottenuto per la prima volta nel 1753. La sua buona reputazione presso la Curia romana era legata all’apprezzamento di cui godeva nell’ambiente mercantile e che lo aveva portato a essere console dei mercanti, «deputato a’ negozi», «anziano» e «regolatore» della comunità (Caracciolo, 1962, p. 36). Ma a Roma Trionfi si era fatto conoscere anche come benemerito fornitore di grano per l’Annona. Questo gli permise di non passare per un’asta, ma di ottenere l’appalto delle dogane di Ancona per affidamento diretto. Con questo egli acquisiva «jus e facoltà di esigere la gabella o tassa dell’ancoraggio, della pesa, delli birrocci, e del fondacaggio sopra le merci che restano in dogana, colla gabella inoltre del vino forestiere [...] come anche le pigioni de magazzeni e il fruttato del nuovo lazzaretto» (p. 38) oltre a un’altra cospicua tratta di grano. Alla fine del novennio di durata dell’appalto l’asta che questa volta ne seguì lo consacrò nuovamente vincitore ed egli rimase in carica fino alla viglia della sua morte, avvenuta il 9 marzo 1672. Nello stesso periodo ottenne anche la direzione dei lavori di ingrandimento del porto e la carica di esattore della gabella sulle merci provenienti da località non rivierasche dell’Adriatico, di cui era stato lui stesso promotore.
Di pari passo con il successo economico andò anche quello sociale: nel 1757 ottenne l’investitura a marchese di Rocca Priora, che poco tempo prima (nel 1755) gli era stata assegnata in enfiteusi, insieme all’attigua ricca tenuta di Pojole, attraverso un’asta pubblica indetta dalla comunità di Ancona che ne era proprietaria. Nello stesso periodo acquistò da una vecchia e gloriosa famiglia patrizia anconetana un nobile palazzo che trasformò in uno dei più belli della città.
Sposato con Paola Luigia Valisnieri Vicedomini, ebbe otto figli ma nessuno dei quattro maschi seguì mai le sue orme.
Morì ad Ancona il 9 marzo 1772.
L’inventario dei beni redatto alla sua morte restituisce l’immagine di saloni decorati con stucchi e pannelli, parati di pregiati tessuti orientali, mobili raffinati, preziose porcellane di Sèvres, quadri, argenteria, gioielli, per un valore totale di quasi 50.000 scudi. Trionfi possedeva inoltre una notevole biblioteca di circa 1000 volumi in cui, accanto a opere di devozione, classici latini, libri di storia e relazioni di paesi lontani, figurava una ricca e aggiornata sezione di trattati italiani di economia politica e soprattutto di tecnica commerciale. Una buona cultura economica traspare d’altronde dalla sua corrispondenza, dalle memorie presentate in occasioni di liti giudiziarie, dai memoriali indirizzati a Roma, dalle risposte ai pareri richiestigli dalle stesse congregazioni romane. Avendo sviluppato nel corso degli anni una decisa opposizione nei confronti della Repubblica di Venezia, Trionfi manifestò invece simpatie nei confronti della politica imperiale nell’Adriatico e quando a Roma si cominciò a discutere dell’opportunità di introdurre una gabella generale sulle merci straniere, redasse una memoria a favore della libera circolazione delle merci (Osservazioni sopra li undici articoli contenuti nei fogli rimessi da Ancona, in Archivio di Stato di Roma, Commercio e industria, b. 2) che non rispondeva più solo a fini pratici, ma tradiva una certa ambizione teorica (Caracciolo, 1962, p. 56).
Come proprietario terriero Trionfi fu tutt’altro che assenteista e operò una serie di investimenti agricoli, tanto che la tenuta, valutata a 1519 scudi nel 1745, alla sua morte valeva più di 12.000 scudi. Al momento dell’apertura del testamento, il suo patrimonio complessivo ammontava a 420.000 scudi, comprensivi di oltre 120.000 scudi di luoghi di monte, cambi, censi e altri crediti. Fiero di essersi affermato grazie alla «pratica non servile ma generosa della mercatura ch’è degna d’un cavaliere» rivendicò fino alla fine il fatto di aver coltivato in sé stesso e promosso «in altri questo spirito di industria e di traffico» contro «l’ozio del patriziato» (pp. 67 s.). Eppure la sua ditta finì con lui, per sua stessa volontà: «Immediatamente seguita la mia morte – scrisse nel proprio testamento – voglio che si termini e stralci il mio negozio mercantile» (p. 68). Lo stesso testamento conteneva la più tradizionale delle misure nobiliari vincolando i suoi beni con un fedecommesso.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Ancona, b. 1804, Risposta dei negozianti di Ancona; b. 2434 (testamento di Trionfi); Notaio Betti, voll. 1733, pp. 62 e 69, 1734, pp. 14, 134 e 288, 1735, pp. 13 e 325, 1738, p. 233, 1741, pp. 22 ss., 1742, pp. 157, 160, 166-180, 209, 234, 2047, 1746, p. 95, 1747, p. 151, 1756, pp. 42, 61; Notaio Mongai, vol. 3, p. 82; Ancona, Archivio storico diocesano, S. Maria della Piazza, Stato delle anime, 1706; Archivio di Stato di Bologna, Fondo de Bosdari, cassetta 689 (processo di nobiltà di Marianna Trionfi, nipote di Francesco); Casinina, Archivio privato Tina Trionfi, Protocollo dell’asse ereditario del marchese Francesco Trionfi, 1774; Nerviano, Archivio Trionfi, b. 1 (attestato di nascita di Trionfi); Archivio di Stato di Pesaro, Notaio Giuseppe Ricci, 27 ottobre 1753, pp. 101 ss., vol. 15, p. 684; Archivio di Stato di Roma, Annona e Grascia, bb. 528 e 1425; Buongoverno, s. I, b. 42, pp. 228 ss., s. II, bb. 169, 173; Camerale II, Annona, bb. 7, 11, 81; Commercio e industria, b. 2; Dogane, bb. 95, 96, 97, 109; Epistolario, bb. 101, pp. 199, 292, 333, 102; Camerale III, bb. 11, 95, 109, 111 (Chirografo di investitura nel marchesato di Rocca Priora, 1757), 112, 119, 120, 121, 123, 125, 1280, 1281; Cameralia diversa, s. V, b. 28; Congregazione Camerale, Atti e proposte, bb. 58, 89; Congregazioni particolari deputate, bb. 28, 29, 89, 101; Mappe, Coll. 1, n. A151; Trenta notai capitolini, uff. 6, b. 6, pp. 311-328; Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano: Nunziatura di Germania, b. 149 (1755), n. 534 (1737), p. 471; Segreteria di Stato, Lettere di particolari, b. 232, f. 91 e bb. 322, 244, 320; Roma, Archivio privato Anna Trionfi, b. 4: Specchio dimostrativo i pregi e l’antichità delle famiglie nobili della città di Ancona, 1923; Biblioteca dell’Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana, codd. 1162, pp. 208 ss., 277, 1168, p. 248; Archivio di Stato di Venezia, Cinque savi, Consoli, bb. 554, 616, 618.
Alla sagra congregazione particolare deputata dalla santita’ di nostro signore Papa Clemente XIII [...] Anconitana jurium, et appaltus dohanarum. Per il nobil uomo signor marchese F. T. appaltatore camerale delle dogane della città di Ancona, e loro annessi. Contro i signori mercanti esclusi dall’ appalto delle dette dogane, & litis&c. memoriale di fatto, e risposta, Roma 1765; F. Ghedini, Il palazzo T., Ancona 1952, passim; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, II, Città di Castello 1960, pp. 254, 260; A. Caracciolo, F. T., capitalista e magnate d’Ancona, Milano 1962, passim; Id., Le port franc d’Ancône. Croissance et impasse d’un milieu marchand, Paris 1965, passim; R. Pavia - E. Sori, Ancona, Roma-Bari 1990, pp. 35 s.; L. Andreoni, Le «opulentissime facoltà» degli ebrei di Ancona. Appunti per un’indagine su commercio, tassazione e litigi tra XVII e XVIII secolo, in Ebrei nelle Marche. Fonti e ricerche (sec. XV-XIX), a cura di L. Andreoni, Ancona 2012, pp. 95-110.