TORTORINO, Francesco
– Non si conoscono il luogo e la data esatta di nascita di questo «milanese, intagliator ne’ camei et nel cristallo», citato quale autore di vasi con «gli amori dei Dei Marini et dei fiumi» da Giovan Paolo Lomazzo nel Trattato dell’arte de la pittura, scoltura et architettura (1584, pp. 345, 687), né abbiamo notizie circa la sua formazione. La prima testimonianza archivistica risale al 9 settembre 1553, quando Francesco (figlio del defunto Luigi), residente a Milano nei pressi della parrocchia di S. Babila, dava in affitto per i successivi nove anni a Pietro Pozzi (quondam Simone) un terreno e alcuni locali di un «sedime», siti a Bestazzo (oggi frazione di Cisliano, in provincia di Milano), di sua proprietà (Venturelli, in Rabisch, 1998; Venturelli, 2013, p. 183).
L’anno successivo Tortorino iniziò l’esecuzione di uno «specchio di cristallo di rocca» a «guisa di una delle colonne di Roma in forma di trionfo» (Venturelli, 1997, p. 159), un’opera commissionata da Carlo Visconti (1523-65), la cui lavorazione si protrasse sino al 1565, e che è identificabile (ibid.) in quella attestata dal 1704 a Firenze nelle collezioni medicee (Firenze, Tesoro dei Granduchi; Venturelli, 2009, n. 142, pp. 258 s.); evidente citazione della Colonna Traiana, reca complesse raffigurazioni che alludono alla vita dello stesso Visconti, personaggio di spicco nella Milano spagnola, e tra l’altro membro dell’Accademia milanese dei Trasformati, amico di Carlo Borromeo, vescovo di Ventimiglia, eletto cardinale da Pio IV il 2 marzo 1565 e morto a Roma il 13 novembre del medesimo anno (Venturelli, 1997, pp. 140 s.; Venturelli, in Rabisch, 1998, p. 278, n. 86). Nel frattempo Tortorino si unì in matrimonio (circa 1555) con Laura, figlia di Giovanni Maria de Locarno (Venturelli, 2013, p. 183).
Il 31 agosto 1564 venne stipulata la convenzione con il magnifico Scipione della Valle (quondam Damiano), impegnatosi a finanziare la realizzazione di una «taciam» in cristallo di rocca a opera di Tortorino (Venturelli, in Rabisch, 1998, p. 341; Venturelli, 2013, p. 85). Il 24 novembre 1565 Melchiorre Mazenta (figlio di Simone e di Lucia Visconti, nata da Gaspare, il poeta mecenate di Bramante) dettò il suo testamento contenente un legato a favore dell’intagliatore: 50 scudi, da versarsi entro tre anni; l’ultima rata fu consegnata il 3 maggio 1567 da Francesco Ferdinando d’Avalos, marchese di Pescara e del Vasto, a nome del senatore Ludovico Mazenta, fratello di Melchiorre. Alla redazione del testamento presenziò Giovanni Antonio Lomazzo, padre di Giovanni Paolo (Giuliani - Sacchi, in Rabisch, 1998, pp. 323 s., 327 nota 16), sodale dello stesso Tortorino (il «compà Tortorign») nell’Accademia della Val di Bregno, il cenacolo radunatosi ufficialmente intorno al 1560 di cui Giovan Paolo fu «abate», e che ebbe tra i suoi membri letterati, pittori, scultori, ricamatori, musicisti e intagliatori di pietre dure (D. Isella, in Lomazzo, 1993, p. 80).
L’elargizione del legato dovette coincidere con un momento non felice per Tortorino. Il 3 settembre 1566, per sanare alcuni debiti, contratti per motivi non dichiarati, l’artista fu costretto a vendere per 800 lire imperiali alcuni beni ubicati a Rosate (attualmente in provincia di Milano), acquistati il 22 marzo 1561 investendo 1100 lire imperiali della dote della moglie; tra i testimoni ci fu Bernardino Mazenta (quondam Simone; Venturelli, 2013, pp. 183 s.). Altri problemi sono evidenziati da un atto notarile del 22 ottobre 1567, che documenta la lite con Gaspare Fasolo, console (1569) e «abate» (1586) degli orefici di Milano, attivo per la corte di Monaco di Baviera tra il 1574 e il 1575 (Venturelli, 2013, pp. 36 s. nota 9), desideroso, sin dal novembre del 1565, di vendere la sua quota di proprietà di un vaso di cristallo (metà del valore assegnato al pezzo) iniziato da Tortorino e mai concluso, avendo da tempo trovato acquirenti disposti a comprarlo, sebbene non finito, per 325 scudi d’oro; come periti furono nominati gli intagliatori Gottardo Isacchi, Simone Saracchi e Girolamo Miseroni (Venturelli, in Rabisch, 1998, p. 341; Venturelli, 2013, p. 184). Al marzo del 1571 risale invece la citazione in giudizio su richiesta del già menzionato Scipione della Valle e dell’orafo Giovanni Battista Grandate, scattata a causa di due opere di cristallo, «perfette», realizzate da Tortorino e stimate 170 scudi d’oro ciascuna (una «zaina a guisa de vaso» e una «conchilia»), che l’intagliatore avrebbe dovuto vendere dividendo come pattuito il ricavato e consegnandolo ai due soci; Gerolamo Miseroni figurò come perito, affiancato dal collega Giorgio Gaffuri (Venturelli, in Rabisch, 1998, p. 341; Venturelli, 2013, pp. 84 s.).
Il 17 settembre 1565 era stato rogato a Roma l’atto della donazione a favore dei «padri della compagnia jesuita» effettuata dal cardinale Carlo Visconti, relativa ad alcuni oggetti eseguiti da Tortorino, perché con la loro vendita si potesse «aiutare l’opera del colegio in quel luogo che Iddio gli ispirasse a farlo per soccorso della loro religione»; il ricavato fu destinato alla fabbrica del San Fedele, prima casa dei gesuiti a Milano (Della Torre - Schofield, 1994, pp. 333 s., 337). Oltre allo «specchio» di cristallo di rocca conservato oggi a Firenze, la donazione comprese un «sicchiello di cristallo [...] con certe historie fabulose dentro con un manico d’oro», un «vaso di tutta maraviglia lavorato et più duro ch’el cristallo con varie macchie bellissimo, che altri nominano di calcedonio di nostri paesi, altri lo nominano altrimenti», un «vasetto doppio di cristallo legato in oro, che non è di più grandezza dell’altro nominato di calcedonio» e «altri pezzi» (Venturelli, 1997, p. 150). L’11 marzo 1569 la colonna di cristallo fu venduta a Cesare Grossoglietti, banchiere di origine genovese attivo a Milano (Venturelli, 2013, p. 37 nota 13). Sempre al 1569 risale l’esecuzione di «ein großes kristellenes Glas» per l’imperatore Massimiliano II (Kris, 1929, p. 829), manufatto collegato alla coppa in cristallo con Baccanale, Nereidi e Tritoni, firmata «F. TORTORI», oggi a Vienna (Kunsthistorisches Museum; Kris, 1929, p. 82; Distelberger, 2002, n. 40, pp. 118-120).
Il 20 febbraio 1571 Tortorino dettò le sue ultime volontà, citando la moglie Laura de Locarno e i figli Luigi, Giovanni Maria, Girolamo e Margherita quali suoi eredi (Venturelli, in Rabisch, 1998, p. 341).
Morì a Milano il 21 febbraio dell’anno successivo, «ex febre longa», all’età di sessant’anni, come si dichiara nella relativa registrazione (Venturelli, 2013, p. 186).
Il 10 luglio seguente, la vedova Laura (tutrice dei figli minori Girolamo e Margherita) nominò suo procuratore Giovanni Stefano Albertario, «dictus Matrignanus», presumibilmente un orafo (Venturelli, 2013, p. 75 nota 15), per riscuotere crediti dall’imprenditore genovese Leonardo Spinola (cognato del banchiere Tommaso Marino in quanto marito di Isabella, figlia naturale del fratello di questi, Giovanni Marino), già attestato il 19 ottobre 1566 quale affittuario di beni appartenenti a Tortorino, ubicati a Bestazzo (Venturelli, 2013, pp. 184 s.).
Spettò a Giovanni Maria Tortorino proseguire il mestiere paterno, come rivela il contratto del 16 novembre 1573 tramite cui egli accoglieva nella sua bottega per i successivi sei anni l’apprendista Pietro Paolo Magistrani (figlio di Giacomo), facendolo «laborare in eius laborerio a cristallo» (Venturelli, in Rabisch, 1998; Venturelli, 1998, p. 199). Il 10 giugno 1575 Giovanni Maria entrò al servizio del duca Ottavio Farnese con un salario di 12 scudi mensili, aprendo a Parma una bottega per la lavorazione dei «diaspri», cui collaborarono i «lustratori di diaspri» Angelo Antonio Panizzi e Alessandro de Negri; poco dopo la morte del duca (18 settembre 1586) l’atelier venne chiuso (Bertini, 2010, pp. 325 s.). È probabile che fossero stati realizzati proprio a Parma i lavori eseguiti dal non meglio precisato maestro detto «il Tortorino» registrati nell’inventario (1587) della guardaroba del principe Ranuccio Farnese: un «vaso [...] ovato» e una «bacila [...] di assai grandezza ovale», entrambi «d’agata delle montagne di Parma», un «boccale di pietra mischia con il collo et il piede» e un «bicchiere con il piede alto con argento dorato di diaspro delle montagne di Parma» (Campori, 1870, p. 55). È inoltre anche possibile che il «Hieronimo Tortorini» attestato il 10 aprile 1585 alla riunione degli orefici di Milano sia Gerolamo, l’altro figlio di Francesco (Venturelli, in Rabisch, 1998; Venturelli, 2013, p. 187).
Alle scarse notizie biografiche di Francesco Tortorino fa riscontro un altrettanto esiguo corpus di opere. Oltre alla colonna di cristallo di Firenze, realizzata tra il 1554 e il 1565, e alla tazza per Massimiliano II (portata a compimento nel 1569), gli si può attribuire infatti con certezza solo il cammeo con il Sacrificio di Marco Curzio (Vienna, Kunsthistorisches Museum), firmato «F. TORTOR- F.», connesso (Kris, 1929, n. 328, p. 172) al rilievo di Agostino Busti, detto il Bambaia, attualmente a Torino (Museo civico), di identico tema. Per via stilistica gli sono stati ricondotti una coppa con Putti e scena bacchica (Firenze, Tesoro dei Granduchi; Kris, 1929, pp. 83, 173; Venturelli, 2009, n. 87, p. 130), un vaso con Scene di caccia (Madrid, Museo del Prado, Tesoro del Delfino; Venturelli, 1998) e un altro con episodi della Genesi e dell’Esodo (Madrid, Museo del Prado, Tesoro del Delfino; L. Arbeteta Mira, in Arte transparente, 2015, n. 3, pp. 76-79), nonché una coppa con Leda e il cigno, esemplari tutti in cristallo di rocca; gli si assegnano pure una brocchetta d’agata e una brocca di diaspro, provenienti dalle collezioni Farnese, connesse ai manufatti censiti nel citato inventario di Ranuccio (Napoli, Museo di Capodimonte; Martino, 1996, nn. 6.73, 6.78-6.80, pp. 178, 181 s.), e tre cammei, uno con un cavaliere (Coriolano?) a Vienna (Kunsthistorisches Museum; Eichler - Kris, 1927, p. 127; Distelberger, 2002, n. 43, p. 123), un secondo con il Sacrificio di Marco Curzio a Firenze (Tesoro dei Granduchi; Gennaioli, 2007, n. 173, p. 226) e un terzo con Scena di trionfo a Londra (British Museum; Dalton, 1915, p. 204). Credo invece che vada espunto dal catalogo di Tortorino un cammeo recante una dinamicissima e affollata scena di battaglia, in cui compare la data «1578» (Venturelli, in Rabisch, 1998, n. 75, pp. 273 s.), conservato a Firenze (Tesoro dei Granduchi; Gennaioli, 2007, n. 179, p. 289), e ricondottogli da Ernst Kris (1929, n. 333, p. 172), ma stilisticamente molto lontano da quanto proposto in altri lavori da questo intagliatore.
Rimangono da comprovare le affermazioni di Pietro Maria Guarienti, secondo cui il «signore marchese di Albrantes in Lisbona» – città dove Guarienti soggiornò tra il 1733 e il 1736 – possedeva «un vaso di cristallo di monte in forma di grande tazza con quantità di figure» intagliato da Tortorino, che avrebbe anche eseguito per Filippo II «moltissime figure nel Santuario dell’Escorial» (Abecedario pittorico..., 1753, p. 203; Venturelli, 1998, p. 195).
Fonti e Bibl.: G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, Milano 1584, pp. 345, 687; P. Morigia, La nobiltà di Milano..., Milano 1595, p. 294; Abecedario pittorico del m.r.p. Pellegrino Antonio Orlandi bolognese [...] in questa edizione corretto e notabilmente di nuove notizie accresciuto da Pietro Guarienti..., Venezia 1753, p. 203; G. Campori, Raccolta di cataloghi e di inventarii inediti..., Modena 1870, p. 55; O.M. Dalton, Catalogue of the engraved gems of the post-classical periods [...] in the British Museum, London 1915, p. 204, ; F. Eichler - E. Kris, Die Kameen im Kunsthistorischen Museum, Wien 1927, p. 127; E. Kris, Meister und Meisterwerke der Steinschneidekunst in der Italienischen Renaissance, Wien 1929, pp. 82 s., 172 s., 829; G.P. Lomazzo, Rabisch, a cura di D. Isella, Torino 1993, p. 80; S. Della Torre - R. Schofield, Pellegrino Tibaldi architetto e il San Fedele, Como 1994, pp. 12, 333 s., 337; L. Martino, in La collezione Farnese. Le arti decorative. Museo nazionale di Capodimonte, a cura di N. Spinosa, Napoli 1996, nn. 6.73, 6.78-80, pp. 178, 181 s.; P. Venturelli, Uno «specchio in cristallo di rocca intagliato da messer F. T.» (1554-1565), in Artes, V (1997), pp. 138-159; Ead., «Nel buon gusto greco». F. T. e un vaso di cristallo al Prado, in Itinerari d’arte in Lombardia dal XII al XX secolo. Scritti offerti a Maria Teresa Binaghi Olivari, a cura di M. Ceriana - F. Mazzocca, Milano 1998, pp. 195-206; Rabisch. Il grottesco nell’arte del Cinquecento. L’Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese (catal., Lugano), a cura di M. Khan Rossi - F. Porzio, Milano 1998 (in partic. M. Giuliani - R. Sacchi, Per una lettura dei documenti su Giovan Paolo Lomazzo, «istorico pittor fatto poeta», pp. 323-335; P. Venturelli, F. T., p. 341); R. Distelberger, Die Kunst des Steinschnitts. Prunkgefässe, Kameen und Commessi aus der Kunstkammer (catal., Wien 2002- 2003), Milano-Wien 2002, pp. 118-120, 123; R. Gennaioli, Le gemme dei Medici al Museo degli argenti. Cammei e intagli nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2007, nn. 173, 179, pp. 226, 289; P. Venturelli, Il Tesoro dei Medici al Museo degli argenti. Oggetti preziosi in cristallo e pietre dure nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2009, pp. 130, 258 s.; G. Bertini, Ottavio Farnese, la bottega dei Miseroni a Milano e l’intagliatore di diaspri Giovanni Maria Tortorino a Parma, in Aurea Parma, XCIV (2010), 3, pp. 321-328; P. Venturelli, Splendidissime gioie. Cammei, cristalli e pietre dure milanesi per le corti d’Europa, Firenze 2013, pp. 33-38, 83-85, 183-187; Arte transparente. La talla del cristal en el Renascimiento milanés (catal., 2015-2016), a cura di L. Arbeteta Mira, Madrid 2015.