TORTI, Francesco
– Nacque a Modena il 30 novembre 1658 da Francesco, ufficiale dell’esercito estense, e da Colomba Marchesi.
Fu battezzato, con lo stesso nome del padre, presso la parrocchia urbana di S. Giovanni Evangelista. Dopo i corsi di umanità e filosofia, terminati nel 1675, intraprese gli studi di diritto che tuttavia abbandonò a favore di quelli di medicina; si recò quindi a Bologna dove si laureò il 23 aprile 1678. Dall’anno precedente aveva iniziato la pratica sotto la guida di Antonio Frassoni, medico di prestigio nel contesto cittadino, rimanendovi molto probabilmente fino al 1680.
Nel 1682, il duca Francesco II d’Este istituì due cattedre di medicina nell’Ateneo modenese: la prima fu conferita a Bernardino Ramazzini e la seconda, tre anni più tardi, al giovanissimo Torti. I due colleghi si impegnarono per rinnovare l’insegnamento medico, in contrapposizione ai metodi e alle teorie antiquate ancora in uso. Il principe, inoltre, designò entrambi come propri medici personali. Con grande favore del sovrano, appassionato di musica e di arti, nei primi anni della sua carriera, Torti diede alle stampe alcuni Oratori musicali e dedicò a Francesco II un’ode epitalamica (Il nodo dell’alme), in occasione delle nozze con Margherita Farnese. Dei suoi interessi letterari resta traccia anche nella partecipazione alla polemica tra il marchese Giovan Gioseffo Orsi e il gesuita Dominique Bouhours, nella quale, per difendere la tradizione italiana, si schierò al fianco del nobile bolognese con una Lettera su due versi di Torquato Tasso (1707). Di fatto, Torti non abbandonerà mai la poesia e le composizioni in versi, cui ricorrerà per ironizzare sui limiti della professione e allietare i suoi ritiri in campagna.
Salito al trono Rinaldo I, i suoi successi proseguirono: venne incaricato dal duca di tenere un corso pubblico di anatomia (l’elenco delle sedici lezioni che svolse si trova presso l’Archivio segreto Estense). Per consentire l’insegnamento, fu predisposto un teatro anatomico all’interno del palazzo pubblico, nella cosiddetta Sala della spelta. La struttura fu portata a termine rapidamente, sotto la direzione di Andrea Cortese ed Ercole Castellani, e Torti poté avviare la sua attività il 18 febbraio 1698.
Al contempo, cominciavano a uscire i suoi primi scritti di carattere scientifico: nel 1695 aveva contribuito, su istanza di Ramazzini, alla compilazione delle Ephemerides barometricae mutinenses in cui si discutevano i movimenti del mercurio in relazione al tempo atmosferico. Ma l’opera che lo avrebbe reso celebre fu la Therapeutice specialis ad febres quasdam perniciosas [...] una vero china china, peculiari methodo ministrata, sanabiles, comparsa nel 1712 e anticipata da una Synopsis nel 1709.
Nel trattato il modenese illustrava l’impiego e la somministrazione della china-china (l’alcaloide noto come chinino) per la cura delle febbri. Venivano prese in esame varie tipologie di febbre, classificate nel lignum febrium (l’«albero delle febbri» raffigurato in un’incisione del testo), e la loro reazione alla china-china. Allo scritto replicò il collega di un tempo, Ramazzini, con il De abusu chinae-chinae (1714). Torti gli rispose nel 1715, con le Ad criticam dissertationem de abusu chinae chinae [...] responsiones iatro-apologeticae.
Al di là delle diverse posizioni e del dibattito che si generò, la Therapeutice specialis procurò al suo autore un’ampia notorietà: divenne corrispondente della Royal Society di Londra, dove i volumi di Torti furono acquistati da Isaac Newton perché gli aderenti ne prendessero visione, e fu eletto membro dell’Accademia medica di Valencia e della Albrizziana di Venezia. Ricevette encomi da uomini di scienza e colleghi, che lo soprannominarono l’Ippocrate di Modena. In breve, gli giunsero offerte da rinomati atenei: nel 1717 Vittorio Amedeo II di Savoia lo invitò all’Università di Torino e tre anni dopo lo Studio padovano gli propose la prima cattedra di medicina.
Ciò nonostante, il legame di Torti con la patria ebbe la meglio: il medico restò a Modena e venne premiato dal duca con varie esenzioni, con uno stipendio raddoppiato e la possibilità di scegliersi un sostituto (Ferrante Ferrari, uno dei suoi più promettenti allievi). Le magistrature comunali lo nominarono poi consultore del magistrato di Sanità.
Il suo approccio si caratterizzò per un’attenzione particolare alla fase diagnostica, favorita dalla spiccata capacità mnemonica di cui era fornito: l’individuazione dei sintomi della malattia era condotta sulla base di un’osservazione particolareggiata del paziente e di un raffronto con sintomi analoghi riscontrati in altri casi. Dovette tuttavia rinunciare alla pratica quando insorsero tremori alle mani, che gli impedivano di misurare correttamente il polso, e problemi di udito, a causa dei quali non riusciva a intendere le voci dei pazienti né ad auscultarli correttamente.
Si ritirò allora nella sua residenza di campagna, a Corlo, a poca distanza dalla città, dedicandosi al riposo e agli svaghi, e specialmente alla caccia. Da lì continuò a offrire consulti ai colleghi che lo interpellavano da tutta Italia: rifiutò però di darli alle stampe perché, come confidò all’amico Ludovico Antonio Muratori, in essi aveva cercato di adattare la risposta ai metodi, non sempre condivisi e talora erronei, di quanti gli scrivevano, oltre ad avere avuto scarsi riscontri sui rimedi di volta in volta suggeriti.
Nel 1731 fu costretto a recarsi a Parma, per dare assistenza a Enrichetta d’Este, invischiata nella vicenda della presunta gravidanza che avrebbe dovuto garantire un successore al defunto marito Antonio Farnese. In quello stesso anno, forse proprio in conseguenza dei faticosi spostamenti, fu colpito da una paralisi alla parte destra del corpo: riuscì a riprendersi con l’uso di fanghi provenienti dalla vicina Sassuolo (le ‘salse di Montegibbio’, già prescritte dal suo maestro Frassoni). Quando nel 1737 la guida del Ducato passò a Francesco III, l’anzianissimo Torti fu nominato protomedico e presidente del collegio medico. In breve, la sua condizione si complicò per una sopraggiunta idropisia.
Nel corso della sua vita si era sposato due volte, prima con Ersilia Rossi (morta nel 1721), poi con Bianca Quattrofrati, senza riceverne figli.
Morì a Modena il 15 febbraio 1741, dopo avere ottenuto i conforti religiosi.
Fu sepolto nella chiesa di S. Agostino, dove riposavano i suoi avi, con un’iscrizione celebrativa (un’altra fu posta nei locali dell’università in cui aveva lungamente insegnato). Un mese dopo la sua morte, fu indetta una funzione pubblica, con grande concorso di popolo e la partecipazione di esponenti della corte, del corpo accademico e dei rappresentanti del collegio medico. Le descrizioni dei contemporanei, tra cui quella di Muratori, ne ricordano lo spirito benevolo, incline al riso e al buon umore. Lasciò i suoi beni al ‘desco dei poveri’ di Modena e istituì a sue spese una terza cattedra di medicina.
Fonti e Bibl.: La lista delle opere, a stampa e manoscritte, di Torti è in P. Di Pietro, Vita ed opere di F. T., medico modenese (1658-1741), in Bollettino della Società medico-chirurgica di Modena, LVIII (1958), pp. 460-478 (che riporta anche la collocazione dei testi inediti e dei carteggi del modenese). Sulla sua produzione satirica, si veda P. Di Pietro, Versi satirici di F. T. sui medici modenesi nel 1700, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche Provincie modenesi, s. 8, VIII (1956), pp. 136-143. Le biografie di Torti, presenti in numerose enciclopedie e dizionari, dipendono perlopiù da L.A. Muratori, F. T. medici mutinensis vita, in F. Torti, Therapeutice specialis ad febres periodicas perniciosas, cui subnectuntur responsiones jatro-apologeticae ad clarissimum Ramazzinum..., Venetiis 1743, pp. IX-XXI. Ripercorre la Vita di Muratori anche G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, V, Modena 1784, pp. 271-277. Particolare attenzione alla figura di Torti in relazione alla storia della medicina in: P. Di Pietro, La corteccia di china ai tempi di F. T. (1658-1741), in Mese sanitario, I (1949), 10, pp. 3-8; Id., Il maestro di F. T., Antonio Frassoni, in Minerva medica, XLIII (1952), pp. 688-692; Id., Contributo alla storia degli studi anatomici in Modena, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 8, IX (1957), pp. 81-87 (che pubblica il catalogo delle lezioni di anatomia di Torti); e, soprattutto, S. Jarcho, Quinine’ predecessor. F. T. and the early history of Cinchona, Baltimore 1993.