Torti, Francesco
Si è talora ricollegata la critica dantesca del T. (1763-1842) al pensiero del Vico sulla Commedia: ma se dell'autore della Scienza Nuova il T. sembra avere una conoscenza diretta (un appropriato rimando al Vico s'incontra nel Purismo nemico del gusto, a proposito, però, non di D. ma delle priorità della poesia sulla prosa, e di spirito vichiano è la sua contrapposizione dell'ingegnosità dei concetti secenteschi alle possenti immagini della poesia primitiva, biblica e ossianesca), non tanto il Vico è all'origine del suo interesse per D. o dei giudizi che ne dà nel Prospetto del Parnaso Italiano (Milano 1806) e nel D. rivendicato (Foligno 1825), quanto genericamente la cultura, il gusto e l'esperienza artistica del preromanticismo, in cui poteva per avventura ma non necessariamente aver parte, direttamente o indirettamente recepita, la tradizione vichiana insieme ad altre più vistose componenti. Di fatto entro quell'esperienza di arte e di gusto, che fu della sua giovinezza (e rimase fondamentale in tutta la sua vita), venne ad assumere particolare importanza l'opera di V. Monti; e dal Monti, e più precisamente dal Monti della Basvilliana, gli fu offerta ben più che l'occasione di affrontare il poeta della Commedia. L'apologia del moderno poema tutto contesto di fremente storia contemporanea lo portò a intendere e a mettere in luce quelli che gli sembrarono i caratteri peculiari della poesia dantesca, che l'amico, " Dante ringentilito " anche per lui!, aveva richiamato a nuova vita. Era questo il tema delle Osservazioni sulla Basvilliana, che avrebbero dovuto essere pubblicate insieme al poema montiano, e poi per l'incalzare degli eventi e la conseguente interruzione della Cantica furono da lui abbandonate e distrutte: ma quel ritratto di D., che il Monti in una lettera del carteggio con il giovane amico aveva caldamente elogiato (" niuno aveva mai parlato di Dante così degnamente, niuno ne ha più sottilmente sviluppato lo spirito ", lettera dell'ottobre 1793), serbò per lui valore indipendente dal confronto con la Basvilliana e gli fu facile trarne il capitolo dantesco nel Prospetto del Parnaso italiano.
" Io veggo in Dante un genio robusto profondo e creatore; ma di una specie tutta nuova e propria di lui... egli è originale in tutta la forza e l'estensione di questa parola. Le immense cognizioni che egli aveva acquistato non alterarono giammai il fondo creatore e caratteristico della sua anima. D. ha inventata una nuova specie di poema, come un nuovo genere di poesia; egli è originale nella macchina come ne' dettagli dell'esecuzione; egli è il creatore delle sue idee come del linguaggio con cui le esprime "; e questo è il concetto cardine della sua critica dantesca, conforme agli spiriti del preromanticismo e al singolare pregio che per quel gusto aveva l'originalità, ma personalmente ragionato con appropriate esemplificazioni e scorci storici: come da Omero deriva tutta la poesia dell'antichità classica, così una nuova poesia ha inizio con D., il quale " ha scoperto bellezze sconosciute " ed " espresso le immagini della sua fantasia come i sentimenti del suo cuore con un'energia di cui prima non si aveva idea ". Non diversamente il Vico fin dal Diritto universale aveva celebrato D., " in summa Italorum barbarie sine ullo exemplo proposito, ex sese primum natus, ex sese quoque poeta factus absolutissimus ". Senonché, differenza capitale, per il T. quella barbarie non ha in sé valore positivo bensì negativo, può farci apprezzare maggiormente il genio di D. vittorioso della rozzezza dei tempi, ma resta pur sempre ai suoi occhi un limite, origine di quei difetti che han reso meno sensibili i lettori alla potenza della poesia, e lo han fatto " riguardare come il poeta del goticismo ", come se " le sue bellezze non brillassero tuttora d'una luce divina, nonostante la ruggine gotica che le ricopre ".
Il T. però non tralascia d'insistere su quella barbarie, su quel ‛ goticismo ': " la lingua e il secolo di Dante erano barbari. Il gusto arido e bizzarro del genio gotico aveva infettato i principi di tutte le arti e deformato tutti i prodotti dell'ingegno e della mano dell'uomo... Ecco perciò il suo genio in preda al grottesco e al bizzarro; eccolo cupo, ineguale e slegato "; sicché il suo pensiero sembra non molto diverso da quello del Bettinelli; ma dal Bettinelli e dai censori settecenteschi di D., egli si distingue per l'accento risolutamente posto anziché sui difetti sulle bellezze, che sono tali da metterli in ombra (" ma in mezzo a queste irregolarità - conclude il passo sopra riportato - egli è sempre il genio di Dante, vale a dire genio d'un'anima ardita robusta e pensatrice "), e più ancora per aver superato la contrapposizione e il calcolo delle bellezze e dei difetti cercando d'indicare quel che era veramente la Commedia, la sua sostanza e il suo fine, il " punto di vista " come egli dice, " da cui deve essere considerato perché sia intesa nella sua grandezza ".
" La Divina Commedia non è, per così dire, che lo sviluppo ed il cimento delle sue avventure pubbliche e private; ed invano vorremmo noi riempirci delle qualità del poeta se prima non abbiamo analizzato l'uomo politico ed il cittadino "; e ancora: " si direbbe che il poema di Dante non è che la vita domestica di una città, dei suoi cittadini e dei suoi nazionali ": poema storico, dunque, essenzialmente, in cui si manifesta " il felice ardire del poeta di tutto riferire la storia del suo secolo e di far servire la pittura dell'altro mondo a rilevare gli eccessi e le malvagità di questo ". Perciò il T. giunge ad affermare che " il suo poema consiste meno nella visione teologica dei tre regni nell'altra vita che nel quadro morale e politico del suo tempo ". Opposizione che ci riporta da una parte al raffronto con la Basvilliana, ma sembra pure anticipare motivi e antinomie della critica dantesca dell'Ottocento.
I medesimi concetti più particolareggiati e svolti anche con spunti nuovi s'incontrano nel D. rivendicato. Lettera al Sig. Cav. Vincenzo Monti, rivendicazione non solo del poeta che egli riteneva di aver meglio di altri compreso, ma anche di sé stesso e della propria critica verso cui il Monti si era mostrato, dopo gli entusiasmi di un giorno, dimentico o indifferente. Ma, a parte il motivo personale che giustifica il tono risentito, dà vivacità e calore a questo scritto, più ancora che al capitolo del Prospetto, l'ammirazione per la poesia dantesca disconosciuta così gravemente dal Monti, che nella Proposta aveva definito la Commedia un poema didascalico. Se non mancano, osserva il T., parti didascaliche nel poema, non in queste sta la grandezza di D.: esse sono l'accessorio sul quale volentieri si sorvola, perché la commedia è nella sua sostanza " un vero poema epico, anche se non alla maniera omerica. ". Il ragionamento s'impernia su queste due definizioni di poema epico e poema didascalico, ma non è per questo una sterile ripresa di dispute cinquecentesche sulla rispondenza o non rispondenza di un componimento allo schema di un genere, perché dà modo al T. di passare in rassegna i vari aspetti e più di un episodio della Commedia come non gli era venuto fatto nel Prospetto.
Perciò più che sulla contrapposizione di poema epico " prodotto dall'ispirazione della natura " e poema didattico " prodotto dall'arte col sussidio della ragione ", e sulla pur efficace irrisione di chi ha scambiato la Commedia " per un poema teologico sopra i tre stati dell'altra vita ", considerando " quel gran quadro epico del secolo decimo terzo ", " quella pittura sì passionante, sì varia, sì felicemente immaginata ", " un lavoro speculativo, un trattato in versi di poesia scolastica ", piace soffermarsi sul tentativo di delineare i caratteri delle tre cantiche nelle quali è presente in misura diversa la fondamentale ispirazione storica (il T. naturalmente ribadisce l'opinione vulgata della superiorità dell'Inferno), sulla lettura attenta di episodi e di passi, informata al motivo dominante della sua critica dantesca.
Così egli offre un bell'esempio di quello che nella Commedia è vigorosamente epico e di quel che è meramente didascalico, il raffronto di If IX 63-105 e XI 79-111: " io veggo nel primo un genio poetico tutto pieno del suo fuoco e della sua poesia: veggo nel secondo un baccelliere delle università del Trecento che si occupa a ripetere le lezioni della sua tesi... Il primo esempio è uno squarcio di epica poesia là dove il secondo non è che una pagina di teologia scolastica "; così della più recente storia come soggetto e motivo precipuo della Commedia (" Dante antepone a tutto l'interesse del suo secolo e della sua natura ", " Egli ha fatto rivivere nell'altro mondo la storia di questo, ma la storia specialmente dei suoi contemporanei ") gli sembra esempio fra tutti cospicuo l'episodio di Farinata su cui si sofferma, non senza qualche fine notazione su Cavalcante, in un'analisi più distesa degna di essere ricordata, fatte le debite proporzioni, accanto a pagine più famose della critica ottocentesca.
Né dev'essere dimenticato quanto a proposito del bello stile di cui D. si era professato debitore a Virgilio, il T. scrive della fondamentale diversità del genio dei due poeti. " Il genio di Virgilio dolcemente toccato dagli affetti, di una natura nobile e maestosa, conserva in tutti i suoi passi un andamento sempre eguale e decente e sparge in tutto quel che dipinge una luce che rischiara e non un fuoco che abbaglia. Il genio di Dante di un carattere più profondo e più fiero ha in tutti i suoi movimenti più impeto che regolarità, più forza che delicatezza; egli rende sensibile tutto ciò che tocca, e sembra che i suoi colori avvampino piuttosto sulla tela di quello che risplendano ". Ciononostante l'affermazione di D. non è senza fondamento: pur così diverso, " egli imita Virgilio in quella sobrietà di parola, in quella precisione di idee, in quella felice brevità d'espressione che tanto ammiriamo nell'epico latino... Dante aveva veduto nello stile dei poeti della sua età una certa superfluità, una certa ridondanza, una cert'aria di familiarità. Egli trovò in Virgilio il modello più sicuro e più degno del linguaggio delle Muse e diede al suo stile una fermezza ed una elevazione di cui non eravi esempio fra i suoi contemporanei ".
Fin qui giunge il T. che con tutti i suoi limiti non può essere detto " uomo di nessun gusto ", quale parve al Leopardi; né senza eco nel suo tempo restarono quelle sue pagine dantesche, se il Biagioli nella Prefazione al suo Commento del 1820 ebbe a scrivere: " Chi mi perdonerebbe e come potrei io stesso perdonarmi se non facessi cenno dell'opera intitolata Prospetto del sig. Torti di Bevagna nel quale egli parla del nostro autore in modo che non mi pare aver mai veduto chi meglio di lui fissato abbia lo sguardo in quell'Oceano di luce? "; e se nell'annunciare l'edizione della Commedia secondo il codice Bartoliniano che avrebbe riprodotto con prefazione il capitolo dantesco del Prospetto, l'" Antologia " (luglio 1826) faceva menzione del T. con queste parole (del Montani?): " l'Autore del Prospetto, il quale, qualunque sia il giudizio, che i puristi possono portare sul suo stile, per ciò che spetta ai principi della filosofia del gusto merita il primo luogo fra gli scritti critici dei quali fu oggetto il poema dell'Alighieri ". La critica rinnovata dal Romanticismo e dalle nuove esperienze d'arte e di pensiero avrebbe, riprendendo, consapevolmente o inconsapevolmente, la tematica del T., ampliata di tanto la discussione intorno alla Commedia: il T., uomo del secolo decimottavo (" che per essere sempre vissuto in città piccole, non conosce punto il gusto di questo secolo, né lo stato attuale della letteratura italiana ": sono ancora parole del Leopardi) è nella critica in genere e nella critica dantesca in particolare una delle voci più significative del maturo Illuminismo.
Bibl. - F. Torti, Prospetti del Parnaso italiano da D. fino al Tasso, I, Milano 1806, cap. II; ID., D. rivendicato, Lettera al cav. Vincenzo Monti, Foligno 1825; rist. con altri scritti del T. in Antipurismo, ibid. 1829; e a c. e con introduzione di C. Trabalza, Città di Castello 1901.
Sul T.: C. Trabalza, Della vita e delle opere di F.T. di Bevagna, Bevagna 1897; G. A. Borgese, Storia della critica romantica, Milano 1920, 1949²; B. Croce, Problemi di estetica, Bari 1949, 121, 122; M. Fubini, Arcadia e Illuminismo, rist. in Dal Muratori al Baretti, ibid. 1966³; ID., D. e l'età del razionalismo, in " Terzo Programma " (1965) 172-183; E. Bigi, Dal Muratori al Cesarotti. Critici e storici della poesia e delle arti nel secondo Settecento, Milano-Napoli 1960, 843-857; ID., T. critico preromantico, in " Rassegna Lett. Ital. " LXIII (1951) 177-183.