TORNIELLI, Francesco
TORNIELLI (Torniello dei conti Tornielli), Francesco. – Nacque nel 1497, a Lomellina (Novara) nell’allora provincia dell’Insubria, dalla famiglia dei conti Tornielli, che contava già due francescani con il medesimo nome: uno cappuccino, morto nel 1552, l’altro osservante, dottore in teologia e autore di una Summa dei casi di coscienza, scritta all’incirca nel 1460.
A ventun’nni entrò a fare parte della famiglia dei frati minori osservanti nel convento di S. Angelo di Milano, dislocato a quel tempo ancora all’esterno delle mura cittadine.
Terminato l’iter formativo, fu attratto da uno stile di vita più rigoroso, qual era quello del movimento della stretta osservanza, cui avevano dato vita i confratelli Pietro da Varese, Angelo da Milano, Angelo da Vigevano e Benedetto da Manera, insediatisi nel convento di Monte Barro (Galbiate) e in quello di S. Giacomo di Lecco. Fu proprio Tornielli, in seguito, a essere riconosciuto come il principale animatore della medesima stretta riforma milanese (Sevesi, 1922, p. 308). Per consolidare il movimento riformistico, si accordò con i promotori di altri gruppi di riforma, quali Stefano Molina e Bernardino da Asti, appartenenti alla provincia religiosa romana, e Bernardino da Jesi, membro della provincia marchigiana. Recatosi a Roma per definire un’azione comune, volta a ottenere un riconoscimento istituzionale, diede il proprio assenso al piano di affidare a Molina l’incarico di presentare a papa Clemente VII le istanze dei riformatori. La bolla In suprema militantis, firmata dal medesimo pontefice il 16 gennaio 1532, sigilla il successo dell’iniziativa.
Attribuendo ai riformatori il titolo di Fratres strictioris vitae, vulgo riformati, il documento pontificio stabilì che fossero loro assegnati, in ogni provincia religiosa, almeno quattro o cinque conventi, possibilmente limitrofi; autorizzò l’uso di abiti di stoffa più vile, anche rappezzati, e concesse l’uso di andare scalzi; inoltre, diede loro la facoltà di eleggersi un custode, per un triennio, soggetto, però, a conferma del definitorio della provincia, con il diritto di eleggere i superiori dei conventi, provvisti di voce passiva e attiva nei capitoli provinciali. Al ministro provinciale venne anche concessa la prerogativa di visitare i conventi e ricevere novizi (p. 306).
Il desiderio di una vita più rigorosa, soprattutto in materia di povertà, era riemerso subito dopo l’unione delle varie correnti riformate, decretata nel 1517 da papa Leone X, con la bolla Ite vos. A tale aspirazione venne data voce già durante il capitolo generale di Lione, presieduto dall’ex ministro generale, cardinale Cristoforo Numai, che affidò la prima carica dell’Ordine a Francesco Licheto da Brescia (1518-20). L’assise lionese ordinò l’apertura di case di ritiro in ogni provincia, da sottoporre all’approvazione dei rispettivi capitoli provinciali, durante i quali vennero anche stese norme apposite per regolamentare il comportamento dei riformatori. Avamposto dell’iniziativa riformista si dimostrarono le province italiane: abruzzese (26 dicembre 1518), romana (3 gennaio 1519), marchigiana (10 giugno) e umbra (17 giugno), i cui capitoli vennero presieduti, in persona, dallo stesso Licheto. Il ritrovo di Molina e Bernardino d’Asti a Fonte Colombo (Rieti), per concessione del capitolo della provincia romana, diede origine alla tradizione che attribuisce allo spagnolo il titolo di fondatore della riforma italiana. In effetti, il movimento riformista, in Italia, si dimostrò ramificato e spesso indipendente.
L’iniziativa dell’ambasceria a Clemente VII in favore dei riformati, guidata da Molina, alla quale partecipò Tornielli, ricevette l’appoggio di Gian Matteo Giberti, vescovo di Verona, e di altri due riformatori, Gaetano Thiene e Gian Pietro Caraffa (Urbanelli, 1978). Proprio quest’ultimo scrisse al papa «di dare loro modo di far bene quelli pochi frati dabene che voglion observar la regola loro», ritenendosi indispensabile «questa unica e dritta via di riformar: cioè di ridursi et restringersi a quelli pochi li quali fossero et ferventi a voler et apti a seguitar la bona vita» (Concilium Tridentinum, 1930).
Al rientro da Roma, munito della bolla clementina, Tornielli poté ottenere l’assegnazione del convento di S. Vittore di Monte Barro, poi denominato S. Maria di Monte Barro, in Brianza, dove dimorò assieme agli altri aderenti alla riforma (Mutinelli da Valcamonica, 1885, p. 17). Successivamente furono loro affidati anche i conventi di S. Giacomo di Castel di Lecco (1533 o 1534), di S. Maria Annunziata di Treviglio (1540) e di S. Bernardino di Caravaggio (1540). In seguito, vennero aggregati anche i conventi di S. Maria delle Grazie di Maleo e di S. Maria della Misericordia di Romanengo, ma solo temporaneamente, in quanto rioccupati, successivamente, dai frati all’Osservanza (Milano, Biblioteca nazionale Braidense, ms. AF.XII.10, Cronicha, cc. 1-2).
Come custode, per almeno quattro trienni fra il 1532 e il 1552, Tornielli risiedette a Treviglio ma, osteggiato dalle autorità dell’Osservanza, per qualche tempo dovette trovare rifugio presso i cappuccini.
Si distinse come predicatore austero e attento alla riforma del clero secolare, ammonendo gli stessi vescovi, quasi ad anticipare il modello borromaico: «Riprendeva aspramente, e correggeva le trasgressioni de’ Prelati, esortando li curati delle chiese, et ammoniva quelli a vigilare, et haver cura del grege, confortava e consolava li travagliati con tanta giocondità di parole, con tanta destrezza e soavità, che da lui non si partiva alcuno, che non restasse grandemente consolato» (c. 5). Scrisse anche un Trattato sulla unità della Chiesa contro Lutero, manoscritto mai pubblicato, di cui prese nota l’annalista Luke Wadding (1906), avendo avuto l’opportunità di consultarlo nella biblioteca di Treviglio, prima che se ne perdessero le tracce.
L’agiografo Gerolamo Francesco Subaglio delinea innanzitutto, in lui, i tratti del riformatore della vita religiosa, sottolineandone l’umiltà, contraria ai riconoscimenti, dovuti al suo stato nobiliare e alle sue doti di predicatore e di candidato all’episcopato, che egli rifiutava per isolarsi nella vita conventuale e quasi eremitica, senza disdegnare il lavoro manuale. Sotto l’aspetto dell’impegno apostolico, l’agiografo lo presenta, altresì, come un eroe della Controriforma per il suo ardore nella predicazione antiluterana e per i rischi anche fisici ai quali si sarebbe esposto, ma la medesima letteratura sottolinea anche la sua estraneità allo stile inquisitorio. (Milano, Biblioteca nazionale Braidense, ms. AF.XII.10, Cronicha, c. 6).
Quale iniziatore del movimento della riforma milanese, Tornielli è presentato dai primi cronologi della medesima riforma come il custode della memoria delle origini della riforma stessa. Analogamente all’ideale riformistico degli illuminati iberici, modelli del riformismo cappuccino e francescano, anche Tornielli insisteva sulla condanna di ogni esteriorità, ritenuta sinonimo di ipocrisia e mondanità, contraria alla mistica dell’intimità illuminata. La scelta di vivere «ritirati, in solitari luoghi smenticati» non è rappresentata come antitetica con l’impegno apostolico della predicazione e delle confessioni, né avversa agli studi, bensì come orientata a una ridefinizione dei rapporti con la famiglia d’origine e con il relativo ceto sociale, «parenti et amici, in modo che passavano li otto e dieci anni senza vederli e visitarli» (ibid.).
Morì l’8 ottobre 1588 nel convento della Ss. Annunziata di Treviglio, ove gli fu riservata la sepoltura presso l’altar maggiore.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca nazionale Braidense, ms. AF.XII.10, Cronicha della Riforma de’ Minori Osservanti della provincia di Milano composta dal P.F. Gerolamo Francesco Subaglio da Merate dell’istessa Riforma e provincia di Milano, 1643, cc. 1-30, copia in Milano, Archivio provinciale dei frati minori, senza segnatura); sulle origini della riforma milanese fondata da Tornielli, Benvenuto da Milano raccolse 11 volumi di cronache, dei quali 5 si conservano a Milano presso la Biblioteca nazionale Braidense, AF.XII.9-13, e 6 presso la Biblioteca Ambrosiana, AS.I.43 e FS.II.1-6.
Mariano da Orscelar, Gloriosus Franciscus redivivus sive Cronica observantiae strictioris, reparatae, reductae, ac reformatae..., Ingolstadii 1625, p. 605; D. Gubernatis, Orbis Seraphicus. Historia de tribus ordinibus a seraphico patriarca Sancto Francisco institutis..., II, Lugduni 1685, p. 337; B. Mazzara, Leggendario francescano in cui conforme i giorni de’ mesi si rapportano le vite, e morti de’ santi, beati, et altri huomini venerabili, et illustri..., VI, Venezia 1722, p. 49 (4 giugno); C. Mutinelli da Valcamonica, Memorie dei vescovi lombardi de’ Minori riformati, con tre appendici, Brescia 1885, pp. 17-21; L. Wadding, Scriptores ordinis minorum, Romae 1906, p. 94; P. Sevesi, Origine e sviluppo della provincia dei Minori Riformati di Milano. Sunto storico con la serie dei superiori e dei conventi della medesima, in Studi francescani, VIII (1922), pp. 304-324, 463-482 (in partic. pp. 306-310, 467 s.); Concilium Tridentinum. Diariorum actorum epistularum, tractatuum nova collectio, XII, a cura di V. Schweitzer, Friburgi Brisgoviae 1930, pp. 67-77 (in partic. pp. 74 s.); L. Wadding, Annales Minorum seu Trium Ordinum a S. Francisco institutorum, XXII, 1585-1590, a cura di S. Melchiorri da Cerreto, Ad Claras Aquas 1934, pp. 220-222, nn. 51-56 (con indicazioni di altre fonti); Martirologio francescano del p. Arturo du Monstier di Rouen O.F.M. riveduto corretto ed aumentato dai pp. Ignazio Beschin e Giuliano Palazzolo O.F.M. alunni della provincia di Venezia. Prima versione italiana dello stesso p. Giuliano Palazzolo con correzioni ed aggiunte, Roma 1946, p. 314 (8 ottobre); C. Urbanelli, Storia dei cappuccini delle Marche, I, Origini della riforma cappuccina 1525-1536, Ancona 1978, pp. 287-289.